FRANCESCO PALAZZO
L'antimafia lancia un allarme sulla mafia che non spara più ma è sempre presente avendo evidentemente trovato accordi, più o meno unitari, più o meno duraturi, pensando agli affari. La mafia continua a fare il suo mestiere.
Lo vediamo in ogni operazione antimafia. Da ciò che esce fuori anche nelle intercettazioni pare si sia tornati all'ancien regime di Cosa nostra. Con parole d'ordine che sembravano sepolte. Invece si torna a prima che la mafia stragista, eliminata da indagini, condanne, ergastoli e dalla morte di quasi tutti i capi, prendesse il sopravvento. L'impressione è di trovarci non di fronte ad un cadavere, tutt'altro, ma al cospetto di una organizzazione che, pur fiaccata e indebolita, presenta ancora un certo dinamismo. La partita è ancora aperta. Anche in considerazione che ci sono scarcerazioni di boss non di secondo piano, richieste di passaggi a un regime carcerario più morbido rispetto al 41 bis e nessuna traccia di collaboratori di giustizia di grosso calibro. Sembra, quella dei collaboratori in grado di pregiudicare le fondamenta di Cosa nostra, una stagione chiusa.
Aggiungiamoci pure che tra gli imprenditori taglieggiati pochissimi denunciano. Sullo sfondo gli affari criminali classici e i rapporti storici sembrano ancora tutti molto presenti. Tra droga, appunto estorsioni, presenza costante nel mondo economico, dalla piccola impresa alla grande finanza, gestione dei territori dove le singole cosche sanno rinnovarsi dopo gli arresti e le condanne, rapporti con il potere economico e politico e consenso tra il popolo, la carta d'identità di Cosa nostra è sempre abbastanza riconoscibile. Ma siccome al rosso del sangue si è sostituito, nel segno della continuità, il bianco degli affari, Cosa nostra fa meno paura. Anche se si potrebbe tornare a un passato molto buio. Ci sono dei segnali precisi in tal senso. Come quello del giornalista Salvo Palazzolo che deve essere scortato. Da tempo non avveniva che un giornalista avesse bisogno della scorta per ciò che scrive. Si farebbe bene a non sottovalutare il fatto. Insomma la mafia, che molti collocavano in transito tra la rianimazione e l'obitorio, pare sia stata dimessa. È ammaccata, claudicante, ma ancora abbastanza dentro le dinamiche sociali. E l'antimafia? Qua abbiamo tre fronti. Repressione, politica e antimafia che possiamo denominare sociale e associativa. Dal punto di vista dell'azione congiunta di magistratura e forze dell'ordine, il contrasto a Cosa nostra prosegue senza sosta. Al netto ovviamente di qualche pagina problematica, vedi processi per la strage di Via D'Amelio e gestione dei beni sequestrati. Se consideriamo la politica che si svolge nelle assemblee elettive e negli esecutivi a diverso livello, pare che la questione contrasto alla mafia, alle mafie, sia scomparsa dai radar. Impegnata esclusivamente com'è, la politica che governa e che compone le assemblee legislative, dal livello nazionale al più piccolo comune, ad affrontare impellenti emergenze con i conti pubblici sempre in rosso. Per quanto riguarda i partiti oramai, mandate nella soffitta della storia le dinamiche dei vecchi partiti di massa, ci troviamo al cospetto di pure macchine elettorali. Impegnate per lo più in guerre interne per abbattere le varie leadership del momento. Partiti siffatti, composti più che da ideali condivisi, da singoli potentati personali che passano da un partito a un altro con una disarmante facilità e frequenza, non possono certo avere nelle loro agende la lotta alle mafie, che infestano ancora metà del paese e hanno importanti agenzie nell'altra metà, quale priorità. Se ne occupano quando c'è qualche emergenza o un singolo fatto eclatante. Poi c'è l'antimafia sociale ed associativa. Quella che nel dopo stragi aveva assunto un rilievo molto importante. A un certo punto è iniziato il riflusso, la stagnazione. Anno dopo anno si è verificato uno sfilacciamento che è poi sfociato in percorsi diversi e divisioni. Che plasticamente, le divisioni, si sostanziano in occasione dei due appuntamenti più importanti e significativi. Il 23 maggio e il 19 luglio. Insomma, ci aspettavamo di celebrare le esequie dei padrini e invece dobbiamo scrivere quasi un necrologio dell'antimafia non legata alla repressione giudiziaria e investigativa. La sola rimasta in campo. A tale quadro dobbiamo pure sommare l'incerta, per usare un eufemismo, azione della chiesa a quasi trentadue anni dall'omicidio per mano mafiosa di don Puglisi. La cui pastorale non è diventata acqua corrente in tutte le parrocchie della diocesi e della regione, ma liquido stagnante nella stessa Brancaccio. Dove da tempo, ad esempio, è scomparso il parroco di San Gaetano e non se ne nomina ancora un altro. Come se si trattasse dell'ultima piccola parrocchia dell'ultimo paese della diocesi. Un prete in grado, finalmente, di riprendere quanto fatto da don Pino in parrocchia e di rivitalizzare il Centro Padre Nostro, quello fondato da don Pino proprio di fronte la parrochia, che doveva agire all'unisono con la comunità parrocchiale. E che tanta paura fece alle cosche tanto da sparare quel colpo alla nuca contro il presbitero palermitano in una calda serata di settembre nel 1993. Insomma, indagini, arresti e processi a parte, un'antimafia che brilla per debolezza, gioca a dividersi e poi si preoccupa del calo di tensione sulla mafia. Come se questo calo, a tutti evidente, non fosse il risultato più logico se non si lavora per unire e per rimettere al centro dell'agenda la questione criminalità organizzata. Una volta, in piena stagione stragista, si chiamò Palermo Anno Uno la società civile che provò a stare insieme, riuscendoci, contro Cosa nostra. Ora forse si dovrebbe purtroppo chiamare Palermo anno zero o sottozero. Pare che vi sia in atto da tempo la divisione delle carriere. Da un lato quelle dei singoli leader antimafia, talvolta sempre più leader di se stessi. Dall'altro quella di un blocco sociale che dovrebbe agire all'unisono e invece si trova polverizzato e perciò sostanzialmente inerme. Va aggiunta una postilla a questo ragionamenti. Abbiamo già vissuto stagioni in cui erano soltanto alcuni magistrati, diversi esponenti delle forze dell'ordine e un drappello di giornalisti a combattete la mafia. Sappiamo com'è finita. È venuto il tempo che l'antimafia popolare del dopo stragi, anche senza stragi, torni a battere un colpo.Francesco Palazzo
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