Male la prevenzione e le cure territoriali, va meglio invece l’area ospedaliera L’assessore: «Occorre potenziare la capacità di raggiungere gli obiettivi»
Andrea D’Orazio
Bene per l’area ospedaliera, male per la prevenzione e per le cure territoriali, in un quadro che, se si considera la media delle tre voci, piazza l’Isola al terzultimo posto del ranking nazionale, superata in basso solo da Calabria e Valle d’Aosta, mentre i virtuosismi di Piemonte, Lombardia e Veneto confermano, se ce ne fosse ancora bisogno, il gap tra Nord e Sud del Paese per offerta di salute. Sono le nuove pagelle della Sicilia in materia di Lea, i Livelli essenziali di assistenza sanitaria, stilate come ogni anno dal ministero delle Salute attraverso il Comitato permanente di verifica, utilizzando il nuovo «Sistema di Garanzia»: uno strumento di valutazione elaborato da appositi tavoli tecnici con rappresentanti istituzionali ed esperti, formato da 88 indicatori e da un sottoinsieme di 22 parametri – cosiddetti «Core» – suddivisi in tre macro-aree e in grado di cogliere sinteticamente l’erogazione di cure e prestazioni mediche nei territori.
Ebbene, in una scala che va da 0 a 100, con la sufficienza rappresentata da quota 60, la Sicilia è tra le otto regioni che si trovano sotto soglia in uno dei tre capitoli in questione e tra le quattro bocciate in due aree. Il risultato peggiore, in termini di graduatoria finale, riguarda la «prevenzione collettiva», una voce che comprende, solo per fare qualche esempio, la copertura vaccinale nei bambini oppure l’incidenza di popolazione che ha accesso agli screening oncologici, e che al di qua dello Stretto totalizza solo 49 punti, il giudizio più insoddisfacente dopo quello registrato in Calabria. Non va meglio per gli indicatori raggruppati nell’insieme «assistenza distrettuale», che rappresentano la medicina territoriale in senso ampio, tra liste d’attesa per esami e visite, tasso di pazienti trattati in assistenza domiciliare, numero di anziani non autosufficienti in trattamento socio-sanitario residenziale e altro ancora: un’area in cui la Sicilia si ferma a quota 44, perdendo ben 14 punti rispetto ai 58 del monitoraggio precedente e piazzandosi al terzultimo posto, a poca distanza dalla cenerentola Valle d’Aosta. Certo, nell’area prevenzione, che come il capitolo delle cure di prossimità sconta ancora gli effetti della pandemia, rispetto ai 47 punti del 2022 si registra un lieve miglioramento, ma c’è poco da esultare, anche perché nel 2019, cioè nell’era pre-Covid, la regione sfiorava la sufficienza mentre alla voce «assistenza distrettuale» superava i 75.
Accanto alle ombre, però, ci sono pure delle luci, tutte concentrate nella macro-area ospedaliera, dove l’Isola risulta promossa con voto 80 e due tacche in più al confronto con tre anni fa, classificandosi tredicesima in una graduatoria in cui, peraltro, solo la Valle d’Aosta prende meno di 60. La pagella siciliana, nel suo complesso, resta però appesa sotto la sufficienza, segno che «bisogna velocizzare la nostra organizzazione e potenziare la capacità di raggiungere gli obiettivi», commenta l’assessore regionale alla Salute, Daniela Faraoni, puntando il dito anche sul sistema di rilevazione locale, «che talvolta, per un mancato afflusso o aggiornamento dei dati, non dà la giusta rappresentazione di tutte le attività che si svolgono nei vari distretti. Non sto dicendo che il quadro siciliano sia sottostimato, ma di certo dobbiamo perfezionare la raccolta e l’alimentazione delle informazioni relative alle prestazioni sanitarie. A cominciare dallo screening, rispetto al quale serve pure una capillare campagna di sensibilizzazione verso i cittadini, coinvolgendo tutti gli attori in gioco, dal medico di base ai consultori familiari».
Decisamente più severa la valutazione del capogruppo M5S all’Ars Antonio De Luca, componente della commissione Salute di Palazzo dei Normanni, secondo il quale «la sanità dell’Isola è al collasso: come il Titanic, la nave sanità affonda mentre l’orchestra di Schifani suona imperterrita la stessa musica dicendo che va tutto bene. Per questo è indispensabile un dibattito pubblico in aula, alla presenza del presidente della Regione e del neo assessore alla Salute». Va anche detto che il giudizio sui Lea, quantomeno per quel che riguarda le cure territoriali, in scala nazionale risente della lentezza nel raggiungimento dei target fissati dal decreto ministeriale 77 del 2022, che ha ridisegnato la medicina di prossimità istituendo Centrali operative territoriali, case e ospedali di comunità. La Sicilia, su questo fronte, è un po’ meno indietro di altre regioni: ha realizzato tutte le sue 50 Cot e ha speso il 18% del finanziamento totale per le 155 case e i 43 ospedali previsti contro il 9% di media tricolore, attivando quasi tutti i cantieri. Per arrivare a meta c’è tempo fino al 31 marzo del 2026. (*ADO*)
GdS, 27/2/2025
Nessun commento:
Posta un commento