martedì, febbraio 11, 2025

Palermo, i boss scarcerati riorganizzano i clan: maxi blitz, 181 arresti. Summit nella chat criptata


di Salvo Palazzolo

Nella notte, sotto assedio le roccaforti di Cosa nostra, in città e provincia. Un’indagine della procura distrettuale antimafia ha svelato affari e complicità dei boss, che adesso utilizzano i criptofonini per i loro incontri

Oggi, Palermo si è svegliata prima dell’alba. Quando era ancora buio. Fra sirene, lampeggianti e il rumore insistente di un elicottero. Prima nel cuore della città, alla Zisa; poi fra i palazzoni della periferia ghetto dello Zen; poi dall’altra parte, fra i giardini e le ville di Santa Maria di Gesù. E ancora oltre, a Bagheria. 1200 carabinieri, provenienti da tutta la Sicilia e da altre regioni meridionali, hanno occupato la palude mafiosa che ancora stringe Palermo: 181 persone sono state arrestate sulla base di sette provvedimenti, si tratta di cinque ordinanze di custodia cautelare e di due fermi che portano la firma del procuratore Maurizio de Lucia e del suo pool. L’ultima inchiesta dei carabinieri del nucleo Investigativo colpisce i mandamenti di Tommaso Natale-San Lorenzo, Porta Nuova, Pagliarelli e Bagheria; i militari della sezione anticrimine hanno invece indagato sul clan di Santa Maria di Gesù.

E’ un altro colpo alla riorganizzazione mafiosa. Nel dicembre 2018, un maxi blitz aveva fermato la nuova Cupola, la commissione provinciale, che era tornata a riunirsi dopo tanti anni. Ma processi e sequestri di beni non hanno fermato l’espansione di Cosa nostra siciliana, che mostra una grande capacità di resilienza.

I protagonisti dell’ultima riorganizzazione sono ancora una volta i boss scarcerati: lunghi periodi trascorsi in cella non hanno isolato personaggi di calibro, che hanno subito ripreso le loro attività non appena tornati in libertà. Eccoli, i nomi più importanti finiti in manette questa notte: Tommaso Lo Presti (al vertice del mandamento di Porta Nuova), Nunzio Serio (reggente del mandamento di Tommaso Natale), Guglielmo Rubino (reggente del mandamento di Santa Maria di Gesù), Cristian Cinà (capo della famiglia di Borgo Vecchio).

Ci sono affari e tesori mai sequestrati da gestire. Tesori che sono aumentati a dismisura grazie agli investimenti massicci nel settore del traffico di droga, il vero volano dell’organizzazione mafiosa in questa fase storica. Ma, adesso, i boss si sono fatti più prudenti, utilizzano i criptofonini per i loro summit. E anche per le comunicazioni con il carcere. Passato e presente continuano a intrecciarsi in modo vorticoso nella Palermo mafiosa. 

La chat criptata

I carabinieri hanno scoperto la chat criptata grazie alle microspie piazzate nelle abitazioni e nelle auto dei capimafia: quando scrivevano, dicevano a voce alta il contenuto della conversazione segreta. Ma, purtroppo, la chat resta ancora impenetrabile, il sistema di criptazione non è stato ancora “bucato”. Gli investigatori dell’Arma ne hanno scoperto l’esistenza seguendo il reggente di Tommaso Natale Nunzio Serio e il suo fidato Francesco Stagno. C’era stato un problema nel funzionamento della chat, e i boss ne stavano impostando un’altra. Così quel giorno citarono gli altri partecipanti della chat: non solo Lo Presti, Rubino, Cinà e un trafficante calabrese, ma anche altri, ancora da identificare. In quella chat si discuteva dei lucrosi affari di droga in arrivo dalla Calabria. In particolare, Serio aspettava un carico in arrivo dal porto di Gioia Tauro.

Complici e alleanze

Ora è caccia agli altri misteriosi utenti della chat: Orso, Nipote, Robert De Niro e l’Uomo ragno. Segno che si è tornati ai drammatici anni Settanta e Ottanta, quando le famiglie si mettevano d’accordo per acquistare carichi dall’estero. «Vi faccio comandare Palermo», diceva Serio. Con la droga puntava a fare alleanze prima ancora che affari. Anche se proprio la droga rischia di far tornare la violenza a Palermo, come alla fine degli anni Settanta. Per litigi all’interno dei clan. Nei mesi scorsi, i palermitani della chat discutevano di un debito di 300 mila euro maturato nei confronti della famiglia mafiosa di Agrigento: «Dobbiamo mettere un punto a questa vicenda per il bene di tutti», diceva un altro boss. E invocava un principio che sta molto a cuore di questi tempi i clan: «E’ importante tenere l’unione fra noi tutti». Uniti contro lo Stato, tra vecchie tradizioni e nuove tecnologie.

Affari, pestaggi e nuove leve

Cosa nostra sta tornando sempre più sul territorio. Non solo per governare gli affari, ma anche per riconquistare consenso sociale. L’indagine parla di pizzo a tappeto: uno dei capimafia scarcerati imponeva i suoi prodotti ittici ai ristoranti delle borgate marinare di Sferracavallo e Mondello. Mentre altri clan rilanciano il settore delle scommesse on line grazie alla complicità di insospettabili imprenditori. E’ sempre più una mafia imprenditoriale quella che continua a infiltrarsi nel tessuto economico e sociale. Con l’obiettivo di assicurare anche la protezione a commercianti e imprenditori amici: un ladro fu pestato a sangue. Evidentemente su richiesta di qualcuno che chiedeva giustizia. Ma non si rivolse alle forze dell’ordine, piuttosto ai boss. Il vero aspetto drammatico resta la voglia di mafia che attraversa ancora pezzi della società siciliana. E la mafia diventa un’agenzia di servizi.

La Repubblica, 11 febbraio 2025

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