domenica, dicembre 25, 2022

Brigantaggio postunitario. Così scoppiarono le rivolte in Sicilia


A innescare le prime reazioni le promesse disattese da Garibaldi, l’eroe dei due mondi

Nunzio Dell’Erba

NNegli anni successivi all’unità d’Italia il Meridione divenne teatro di vere e proprie rivolte sociali. Alla maggioranza dei suoi abitanti l’unificazione apportò la leva obbligatoria (sette anni di durata), sconosciuta durante il regime del borbone Francesco II, un inasprimento delle tasse e nessun beneficio immediato. Si creò così un terreno favorevole alla diffusione del brigantaggio, già presente per un concatenarsi di fattori, tra i quali spiccava il malgoverno borbonico.

Il fenomeno del brigantaggio, che turbò gran parte del Mezzogiorno nei primi anni postunitari, nasceva dal malessere dei contadini, ma fu stimolato da forze politiche in parte estranee ai loro interessi. Le prime reazioni si ebbero a causa delle promesse disattese da parte di Garibaldi, ma furono strumentalizzate da agenti borbonici senza l’appoggio dei quali sarebbe stato impossibile la formazione delle prime bande.

In quest’ambito storico operarono il brigante Crocco (1830-1905) e il militare sabaudo Emilio Pallavicini di Priola (1823-1901), che si scontrarono in una guerra feroce in nome di obiettivi diversi. Le biografie dei due personaggi sono ora ripercorse da Carmine Pinto nel volume «Il brigante e il generale. La guerra di Carmine Crocco e Emilio Pallavicini di Priola» (Laterza, Roma-Bari 2022, pp. 260). Una lettura del brigantaggio e della società meridionale che riprende le ricostruzioni già presentate nel precedente volume «La guerra per il Mezzogiorno. Italiani, borbonici e briganti 1860-1870» (2019).

La lettura storica di Pinto ripropone una nuova documentazione tratta da archivi locali (Potenza, Salerno, Torino), ma utilizza libri usciti dopo la famosa e fortunata «Storia del brigantaggio dopo l’Unità» (1964, 1966, 1976) di Franco Molfese. Merito dell’autore è quello di arricchire il quadro delle rivolte sociali che si erano verificate nel 1820 e nel 1848, la situazione economica dei contadini oberati da esose imposte dal sovrano Francesco II e il ruolo dell’indipendentismo siciliano nel crollo del regime borbonico. Con il nuovo regime unitario, i Savoia conoscevano questa situazione e sapevano che ad ogni mutamento politico si sarebbero avute sommosse sociali, che avrebbe determinato l’insorgere del brigantaggio.

Ne nacque una guerra, forse sarebbe stato meglio dire «una guerriglia», a cui ricorsero i «galantuomini» per difendere i loro privilegi e utilizzare le bande di briganti spesso in funzione antiunitaria. In Sicilia i contadini si schierarono a favore del nuovo sovrano e dell’impresa garibaldina, ma – quando videro sfumare i loro obiettivi (abolizione della tassa sul macinato, divisione dei demani comunali) – essi ricorsero nuovamente alle sommosse sociali represse duramente dall’esercito sabaudo: la rivolta di Bronte fu il caso pù eclatante.

Durante quest’operazione repressiva, caratterizzata dalla presenza di 120 mila militari, furono inviati corpi d’armata contro i ribelli definiti banditi: Pietro Fumel, Ferdinando Pinelli, Enrico Cialdini dimostrarono una ferocia inaudita, non minore a quella dei briganti. Tra i militari di professione troviamo Pallavicini, di cui l’autore ricostruisce la vicenda biografica, che da sottufficiale nella spedizione di Crimea (1853-56) diventa nel 1860 il protagonista della lotta al brigantaggio e al brigante Carmine Crocco. Le stampe dell’epoca lo raffigurano come un «aristocratico baldanzoso», partecipe al gran ballo tenuto a Palermo e immortalato nelle pagine del «Gattopardo» di Giuseppe Tomasi di Lampedusa e nel film girato a Palazzo Valguarnera-Gangi del capoluogo siciliano. Il colonnello appare nel film come un individuo coraggioso e guascone, autorevole ed esaltato, ma non simpatico all’aristocrazia siciliana.

Carmine Crocco è presentato come un uomo rozzo e vigoroso, che accudiva ai lavori campestri della ricca famiglia dei Fortunato di Rionero in Vulture. Lasciato quel lavoro, egli si arruolò nell’esercito borbonico fino a diventare caporale. Le traversie cominciarono dopo una sanguinosa lite con un commilitone, che portò al suo arresto e alla traduzione in carcere, da dove riuscì a fuggire per diventare brigante. Cominciò così la sua attività criminosa, dedita alle ruberie, ai saccheggi e ai sequestri di persona perpetrati nelle cascine dei benestanti locali. Fu arrestato e incarcerato, ma riuscì ad evadere grazie alla potente famiglia dei Saraceno e dei Fortunato.

Di quest’ultima famiglia, che darà i natali al grande meridionalista Giustino Fortunato (1848-1932), Pinto segue vicissitudini e peripezie, ascesa e declino fino agli ultimi lustri del XIX secolo. Egli racconta gli intrecci malavitosi, le «vite parallele» dei collaboratori di Crocco, da Giuseppe Caruso a Nicola Summa denominato Ninco Nanco. Il pentitismo di alcuni briganti contribuì alla sconfitta del brigantaggio: fu infatti Giuseppe Caruso, il braccio destro di Crocco a rivelare i covi segreti del suo capo. Le sue rivelazioni furono messe in risalto per la prima volta nel libro «Gli ultimi briganti della Basilicata» del 1903, laddove il medico Eugenio Massa diede un’immagine nuova di Crocco, presentato come un eroe deciso a difendere i deboli angariati dal dominio dei potenti.

Tuttavia a creare il «mito del brigante eroe» contribuirono gli studi di Giustino Fortunato, che giovinetto era stato spettatore delle loro storie e che nel 1880 considerò la lotta tra Pallavicini e Crocco come «una vera e propria guerriglia» con un numero di vittime assai maggiore a tutte le guerre del Risorgimento. Il mito del brigante continuò nei primi anni del secolo XX grazie ai contributi di scrittori, letterati e giornalisti come Salvatore Di Giacomo (1860-1934), destinato come poeta e drammaturgo a lasciare un’impronta indelebile nella cultura meridionale. È questa la parte finale del libro, in cui l’autore rileva l’interesse seguito alla morte di Crocco, a cui si interessarono antropologi come Cesare Lombroso e Salvatore Ottolenghi. Più che al brigante patriota o rivoluzionario, essi erano interessati a ricercare le anomalie dell’uomo come soggetto privilegiato nella ricerca delle ragioni psicologiche della delinquenza.

GdS, 24/12/2022

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