mercoledì, agosto 03, 2022

Perché queste elezioni non siano un uovo di Pasqua


di GIUSEPPE SAVAGNONE

Responsabile del sito della Pastorale della Cultura dell'Arcidiocesi di Palermo, www.tuttavia.eu.

Scrittore ed Editorialista


Una politica che si identifica con le persone

La campagna elettorale procede, in questi giorni, sull’onda di piccoli e grandi scontri tra fronti opposti e, all’interno di essi, tra partiti alleati. L’ultimo è quello relativo alla presunta influenza della Russia sulla caduta del governo Draghi, che vede la Lega sotto attacco da parte del PD e sostenuta da Fratelli d’Italia e Forza Italia. Ma anche nei confini del centro-destra si sono appena risolti i dissidi sui rapporti di potere, legati alla scelta del futuro premier, e nel centro-sinistra non sono stati ancora definiti i confini dell’ex “campo largo”, ribattezzato “campo aperto”. Per non parlare dei 5Stelle, attaccati da tutti e divisi al loro interno.

In questa ridda di voci dissonanti, la sola cosa che manca, da tutte le parti, è un progetto politico da proporre agli elettori e su cui gli italiani siano chiamati a scegliere il proprio futuro. I programmi sembrano essere l’ultimo problema dei partiti.

In primo piano sono le persone dei rispettivi leader. Non è una novità. Tutta la storia della Seconda Repubblica è stata dominata dalla figura di Berlusconi. Impossibile parlare della sua politica a prescindere dalla sua vicenda personale di imprenditore, più precisamente di fondatore in Italia di quella televisione commerciale che ha rivoluzionato la vita degli italiani sostituendosi alla TV “pedagogica” di Bernabei e dei tempi della Democrazia cristiana.

Prima ancora di essere un importante uomo politico – suo il governo più duraturo della Seconda Repubblica – Berlusconi è stato, in un certo senso, un educatore (non è questa la sede per giudicare se in senso positivo o negativo), il cui influsso culturale per il nostro Paese è stato decisivo nel passaggio dalla fine del Novecento al nuovo millennio.

Da una programmazione che in prima serata trasmetteva i drammi di Pirandello o di Claudel e gli sceneggiati tratti dai grandi romanzi della letteratura mondiale, con le sue televisioni si è passati a una fondata sulla pubblicità e quindi necessariamente legata alla domanda della maggior parte degli spettatori, tendenzialmente propensa ad altri generi.  E il movimento è stato così inarrestabile che la stessa televisione pubblica alla fine ha dovuto adeguarsi. Lo stesso Berlusconi è stato in qualche modo la proiezione dei sogni di tanti che, frustrati spesso da una vita mediocre, hanno visto in lui l’immagine ideale dell’uomo di successo. Tutto questo è rifluito sulla sua folgorante carriera di politico che, dal nulla, ha dato vita a un partito – Forza Italia – capace nel giro di pochissimo tempo di andare al governo.

Più che di programmi scritti a tavolino, le sue scelte politiche sono sempre state espressione immediata della sua inventiva e del suo fiuto nel cogliere le situazioni. E i suoi nemici più che combattere le sue idee, hanno attaccato la sua persona. Perfino la sua vita privata più intima è diventata oggetto di discussione pubblica.

Come rilevanza pubblica hanno avuto i numerosi processi che gli sono stati intentati – dando origine alla sua convinzione di essere perseguitato dalla magistratura – , e uno dei quali gli è costata una condanna definitiva, senza per questo bloccare la sua carriera politica, proseguita fino ad oggi.


Il declino delle idee e il primato dell’economia

Ma Berlusconi è stato solo l’emblema di un stagione politica in cui il declino delle ideologie ha corrisposto anche a quello delle idee. Il grande scontro che aveva dominato il Novecento e che aveva visto contrapposte la visione liberale, quella della destra totalitaria e quella comunista, si è progressivamente svuotato di senso, nella seconda metà del secolo scorso, con la sconfitta militare del nazi-fascismo e il crollo economico dell’Unione Sovietica.  

Il solo protagonista rimasto in campo, il neocapitalismo, ha potuto farsi scambiare per l’unica soluzione possibile, malgrado le isolate e inascoltate proteste di qualche papa, come Giovanni Paolo II («Centesimus annus») e Francesco («Laudato si’»).

Questo nuovo quadro internazionale ha prodotto i suoi effetti anche in Italia. Non ci sono stati più progetti di grande respiro, in grado di far intravedere una società diversa. Lo scontro tra i partiti è avvenuto nel clima rissoso dei talk show televisivi o nei linciaggi mediatici su Facebook. E le scelte si sono fatte prevalentemente in base a stati d’animo polarizzati da individui – Renzi, Grillo, Salvini, oggi la Meloni – le cui immagini sono state enfatizzate dai giornali, dalle televisioni e da Internet, dando pochissimo spazio ai contenuti delle loro proposte politiche.

Il terreno ideale per un populismo che disprezzava gli intellettuali e che, come anche i fatti hanno ampiamente dimostrato, non aveva molto chiare neppure le idee. A riempire il vuoto politico, in questi ultimi anni, è stata l’economia. Sono stati i parametri stabiliti a Maastricht, e più in generale le linee stabilite dall’Unione Europea, a fornire ai nostri governi le piste obbligate su cui procedere. Non è un caso che il nostro più solido e apprezzato esempio di governante sia stato Draghi, un banchiere. Anche se ci si dovrebbe ricordare che l’economia riguarda i mezzi e non i fini, e che questi ultimi dovrebbero essere stabiliti dalla politica. Salvo a essere di fatto perseguiti occultamente, senza passare al vaglio del giudizio popolare, come vorrebbe una democrazia degna di questo nome.

Il risultato di questo meccanismo economico sganciato da una reale progettualità politica e affidato alla logica degli interessi privati è sotto i nostri occhi. L’ultimo rapporto Istat denuncia la presenza, in Italia, di più 5milioni e mezzo di persone in condizioni di povertà assoluta. E già in precedenza era segnalato un progressivo approfondirsi del divario tra ricchi e poveri. I 40 italiani più ricchi possiedono oggi l’equivalente della ricchezza netta del 30% degli italiani più poveri.


I partiti di fronte alla scadenza elettorale

Questa carenza di progettualità propriamente politica si risente pesantemente alla vigilia delle imminenti elezioni. Che cosa propongono in realtà i partiti per convincere gli elettori a preferirli? Da tempo la sinistra, orfana del marxismo, è tutta presa dalle sue battaglia per i diritti individuali e sembra aver rinunziato a proporre un’alternativa, radicale o anche moderata, alla prospettiva liberale e al sistema capitalistico.

Il fatto stesso che il PD si rifaccia in modo esclusivo all’“Agenda Draghi”, pur essendo comprensibile, data la gravità della congiuntura economica, è un segno evidente di questa rinunzia. Non meno vaghe sembrano le proposte dei 5Stelle, partiti con una grande carica innovatrice, ma attualmente incapaci, sembrerebbe, di proporre serie riforme del sistema.

A meno che non si voglia considerare tale il reddito di cittadinanza, che, secondo l’ultimo rapporto Istat, è senz’altro servito a limitare l’impoverimento della popolazione, ma non è certo un correttivo strutturale ai meccanismi che lo producono. 

Quanto alla destra, anch’essa appare, alla vigilia di queste elezioni, ossessionata da un problema settoriale – quello delle migrazioni – che, per quanto importante, non può sostituire un orizzonte progettuale globale. Da parte sua, la Meloni sembra per ora soprattutto preoccupata di dimostrare, ripetendolo a ogni pie’ sospinto, di non voler rompere con la tradizionale fedeltà all’atlantismo dell’Italia. In mancanza di una proposta d’insieme chiara, la politica estera diventa l’unico punto di riferimento. Ma non basta certo a dire qual è il suo progetto politico complessivo.

La probabile ascesa al governo della leader di Fratelli d’Italia rischia così di assomigliare a un uovo di Pasqua, in cui solo alla fine salta fuori la sorpresa. Ma siamo sicuri che sia questo il corretto funzionamento di una democrazia? Nessuna meraviglia che un numero crescente di italiani si sia stancato di una politica ridotta a questo show senza contenuto.

Dopo gli anni della Prima Repubblica, in cui l’astensionismo era rimasto entro limiti molto contenuti, passando dal 7,1% nel 1968 al  7,4% nel 1996 (0,3 in più in quasi trentanni), esso ha avuto un’impennata nella Seconda, arrivando al 27% nel 2018 (20 punti in più nel giro di poco più di vent’anni!). 


No, non è questa la democrazia. Vogliamo sapere che cosa il nostro voto produrrà. Che uso verrà fatto, a lunga scadenza, dei soldi dell’UE, non solo per rattoppare i buchi, ma per dare un orientamento al nostro Paese (e questo l’agenda Draghi non può dirlo). Che cosa intende fare la Meloni se davvero si realizza il suo sogno di prendere il potere.

È ora che gli interessati diano queste risposte. Non ci bastano le loro facce sorridenti sui manifesti elettorali. Il Paese ha diritto di conoscere i loro programmi e di sapere che essi si impegnano a rispettarli. Perché queste elezioni non siano come un uovo di Pasqua.

tuttavia.eu, 29/7/2022

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