mercoledì, agosto 03, 2022

Elogio della fragilità

 


di AUGUSTO CAVADI

Il desiderio di vincere – di azzerare o per lo meno di ridurre al minimo – la propria fragilità è antico quanto l’essere umano. Le correnti del post-umano sono la risposta attuale a quell’antico desiderio: immagazziniamo in un supporto magnetico i contenuti cerebrali di un soggetto e, dopo la sua morte biologica, lo trapiantiamo in un hardware indistruttibile. Non è un caso che la pandemia ha sconvolto più le popolazioni benestanti del pianeta, proiettate verso una sopravvivenza sempre più lunga e sempre più sana, che le restanti, ancora amaramente conviventi con le malattie, le sofferenze, la morte. 

Dico subito che -condividendo in prima persona questo desiderio di vivere a lungo e in condizioni dignitose – non farò finta di indignarmi per il desiderio di immortalità: in ogni caso, è il sintomo di una volontà di vita più forte del dissolvimento. E una convincente smentita delle retoriche nichilistiche imperanti: se l’esistenza umana fosse davvero così assurda e insignificante, perché ci saremmo tanto attaccati anche nei periodi più bui?


Sopperire alla propria fragilità, ma dopo averla cordialmente accettata

Ciò premesso per evitare equivoci, dobbiamo aggiungere che il rifiuto – o la sola dimenticanza – della propria fragilità è il primo passo verso la ybris, la tracotanza: quella che, secondo la parola di Sofocle, gli dei non amano (né tra i loro congeneri né tanto meno nei mortali). Il sogno della forza, della (sia pur relativa, parziale) invincibilità, deve dunque contemperarsi con la cordiale accettazione della propria fragilità. 

Tale accettazione ci sarà tanto più facile quanto più a fondo sapremo sondare tutti gli aspetti della fragilitas che è sì soggezione alla rottura, all’indebolimento, al frazionamento; ma non solo. E’ anche delicatezza, tenuità, gracilità che induce alla tenerezza e all’accudimento. Come è a molti noto, la tecnica giapponese kintsugi consiste nell’evidenziare con polvere d’oro le fratture incidentali in manufatti di ceramica: con ciò stesso tali manufatti si riparano e si impreziosiscono. Essa, infatti, aggiunge valore a ciò che si ripara. Il risultato è sorprendente: il manufatto rimane striato da linee d’oro che lo rendono diverso, pregevole. La ceramica prende nuova vita attraverso le linee delle sue “cicatrici” impreziosite e impreziosenti !

Un insegnante di chimica, rievocando una lezione in laboratorio, riferendosi agli alunni ha dichiarato una volta: “Hanno potuto apprezzare l’importanza delle impurezze: nessuno sapeva che i bellissimi colori dello smeraldo, come del rubino, dipendono da piccole impurezze ospitate negli spazi interstiziali dei cristalli, che altrimenti sarebbero incolori; nessuno aveva colto il paradosso della contaminazione della conchiglia da parte del granello di sabbia, che diventerà la sua perla preziosa grazie all’interazione che vi nasce. Esempi magnifici di come la vulnerabilità e l’esposizione alla contaminazione in natura diventino fonte e ragione di bellezza” (P. Bagni in P.Buondonno – P. Bagni , Suonare in caso di tristezza. Dialogo sulla scuola e la democrazia, PM edizioni, Varazze 2021, pp. 109 – 110).

Anche nella nostra esperienza esistenziale sappiamo che una relazione d’amicizia, un rapporto d’amore, una fase di creatività artistica…ci sono tanto più care quanto più acutamente ne percepiamo la fragilità. Quanta vita sprecheremmo – ancor più di quanto ne sprechiamo già – se sapessimo che fosse infrangibile? E quanta saggezza nelle persone che, invitate a nascondere con creme e altri trucchi le rughe del viso, si rifiutano di farlo affermando, con Anna Magnani, di essere affezionate a ciò che hanno tesorizzato gradualmente nel corso di un’intera esistenza !


Il dono della produzione simbolica

Alla fragilità dobbiamo anche il dono della poesia, della filosofia, della scienza, del diritto. Se infatti miti e ragionamenti speculativi nascono dal thaumazein, non si tratta di un innocuo ‘stupirsi’, bensì di un meravigliarsi angoscioso davanti a un mondo soverchiante e minaccioso: “Le forze scatenate della natura, un vulcano in eruzione, un terribile uragano, ci affascinano e ci spaventano perché possono smembrarci e inghiottirci in un attimo. In questa grandiosa rappresentazione il ruolo che giochiamo noi, piccoli esseri fragili, continuamente esposti alla sofferenza e alla morte, è totalmente irrilevante. Ecco che il racconto, la spiegazione, sia essa mitica o religiosa, filosofica o scientifica, mentre dà conto della meraviglia, in quel preciso momento ci conforta e rassicura; mette ordine nella sequenza incontrollabile degli eventi e così facendo ci protegge da angoscia e terrore. Questo racconto, in cui tutti hanno un ruolo e ciascuno gioca la sua parte, assegna un senso al ciclo grandioso dell’esistenza. Siamo rassicurati perché ci sentiamo protetti, e si attenua la nostra paura di morire” (G. Tonelli, Genesi. Il grande racconto delle origini, Feltrinelli, Milano 2019, pp. 208 – 209). 


Accettare la propria, non l’altrui fragilità 

Tra i paradossi della fragilità non va dimenticato che dobbiamo essere tanto più tolleranti con la nostra quanto intransigenti con l’altrui: abbiamo il diritto, e sino a un certo punto il dovere, di sopportare le nostre ferite, non le piaghe dolorose degli altri viventi. E’ sintomo di grandezza morale stringere i denti quando si soffre, ma ancor di più quando ci si commuove per il dolore altrui e ci si china a sollevare al proprio petto ‘materno’ chi è stato prostrato dalla durezza della storia. 

Dunque non sempre e in ogni caso, non in sé, la fragilità va elogiata, ma solo se, e quando, e nella misura in cui, essa suggerisca ‘umiltà’ e ‘accompagnamento’. Che splendide parole, di cui pure abbiamo dimenticato il significato etimologico sino a usarle banalmente, quando non spregiativamente! ‘Umiltà’: non codardia e servilismo, ma consapevolezza di essere humus, impastati di terra. E proprio perché siamo vasi di creta tra vasi di creta, non sopporteremo la prepotenza né in noi né in altri rispetto a noi. L’umiltà è maestra di dignità, di forza interiore e di coraggio relazionale. Ma è anche maestra di solidarietà, di condivisione: di ‘accompagnamento’, cioè di disponibilità a farsi compagni, a mangiare con (cum) gli altri il pane ( panis) quotidiano.

Augusto Cavadi

(“Le nuove frontiere della scuola” n. 58, Maggio 2022)

www.augustocavadi.com


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