domenica, giugno 13, 2021

Intervista al sindaco di Palermo. Leoluca Orlando: "La mia missione è ormai compiuta ma non lascerò mai"


di CARMELO LOPAPA

«Io so che la mia missione è compiuta. Se morissi stanotte morirei soddisfatto, contento, non ho nulla da rimproverarmi e continuo per l’ultimo anno col sorriso. Dimettermi perché in minoranza? Non ci penso proprio. Sembra che sia stato eletto nel 2017 per cinque anni. Chi vuole mandarmi a casa ha uno strumento: la sfiducia. Lo utilizzi pure». Leoluca Orlando si presenta nella redazione di Repubblica al tramonto, che poi è la fase che politicamente ormai gli viene affibbiata come un’etichetta, sorta di lettera scarlatta di fine mandato. 

Un anno dal voto. Il culmine di una crisi che è soprattutto amministrativa, gestionale, ma anche politica. Questo giornale — con un’inchiesta in cinque puntate — ha cercato di richiamare la giunta alle sue responsabilità sui vari fronti scoperti: dai rifiuti all’emergenza sepolture, dal traffico al bilancio che non c’è. 

Perché non gettare la spugna, sindaco? Dove pensa di andare con 11 consiglieri su 40? Hanno iniziato a sfiduciarle anche gli assessori. 

«Sa perché? Perché se mi ricandidassi l’anno prossimo, fosse pure con la vecchia Rete, vincerei. A mani basse». 

Ne è davvero convinto? 

«Di fronte a questo stato confusionale del Consiglio comunale apparirei comunque l’unica àncora di salvezza. I palermitani lo sanno, mi conoscono. Passerà Orlando, ma non la sua visione. Io non chiedo aiuto ai consiglieri che oggi si sentono maggioranza, io spero che si diano aiuto da soli, per il bene della città. Anzi, esprimo loro la mia solidarietà». 

Non teme la sfiducia? 

«La presentino. Non entro nel merito. Non mi lascio distrarre da mozioni contro un assessore o contro il sindaco. Io quello che avverto è un disagio personale, umano, generato dal mio amore verso Palermo. Soffro nel non poter dare le risposte che vorrei». 

Perché ormai è in minoranza, appunto. Ha le mani legate. 

«Posso permettermi di dire che lo stesso disagio lo stanno vivendo anche i consiglieri comunali? Me lo confidano in privato, anche quelli di colore politico diverso e lontano dal mio, il loro è uno stato confusionale che va avanti ormai da otto mesi. Io faccio tutto quello che posso fare. Ma se poi la mia delibera non viene approvata, anzi, non viene nemmeno esaminata, beh, allora... Tutto questo danneggia la città. E non costruisce un’alternativa di governo». 

Palermo appare in ginocchio, spenta. Anche per colpa della crisi pandemica, certo non solo sua. 

«Ma si sta già risollevando, sta riprendendo la sua vocazione turistica, Punta Raisi è tornata a essere frequentata da 18mila passeggeri al giorno, erano 180 poche settimane fa. Riaprono alberghi, da Villa Igiea alle Palme, e ristoranti. Altri non ce l’hanno fatta, drammaticamente. Il governo nazionale ha sbagliato: anziché ristori avrebbe dovuto erogare rimborsi». 

Il Comune di Palermo invece non può fare nulla: bilancio ancora non approvato, a giugno, 80 milioni mancanti per quadrare i conti. Come pensate di farcela? 

«Nessun grande Comune è in grado di chiudere il bilancio. Il federalismo fiscale ha fallito. Stato e Regione non erogano più risorse. 

Qui il Consiglio non c’entra. Il ragioniere generale del Comune non può chiudere i conti. Possiamo uscirne solo con un intervento dall’alto in aiuto dei Comuni». 

Per questo aumentate le imposte, come la Tari sulla spazzatura? I palermitani non ve lo perdonano. 

«Colpa degli extracosti derivati dagli anni passati». 

Mentre la città è sommersa dai rifiuti. È sporca, sindaco. 

«Lo vedo anch’io e faccio segnalazioni di continuo alla Rap. Abbiamo ceduto risorse alla Regione per la realizzazione della settima vasca di Bellolampo, speriamo di averla entro fine anno per non dover portare più i rifiuti in altri comuni. La tenuta finanziaria della Rap è buona, ma l’efficienza è inadeguata. Per questo abbiamo cambiato management. Stiamo stressando la dirigenza perché incentivi la differenziata. Ma gli aumenti della Tari sono inevitabili se non si vuole far fallire l’azienda». 

Il Comune invece ha già fallito sull’emergenza bare. Ieri al cimitero dei Rotoli se ne contavano 936 in deposito. Siamo quasi a quota mille. Possibile che in un anno non siete stati in grado di riparare un forno crematorio? 

«Abbiamo finalmente sbloccato l’accordo con Sant’Orsola. Dalla prossima settimana trasferiremo da 20 a 40 bare al giorno. Il vero problema riguarda l’inumazione e per quello stiamo recuperando campi. Pensate che non ritenga grave giungere alla fine del mio mandato con tante salme a deposito?». 

State pedonalizzando tutto il centro, adesso la novità della rambla. Ma il traffico impazzito nelle vie circostanti? Non potevate studiare un piano, prima di partire? 

«Il caos iniziale è il costo da pagare per il cambio culturale al quale i palermitani sono chiamati. Chi si ritrova imbottigliato oggi nel traffico, domani userà un mezzo pubblico o strade alternative. E ci sarà il cambio di passo. È stato così anche per le altre isole pedonali». 

A Palermo si è tornato a sparare dopo quattro anni. Un morto alla Vucciria. Quindici boss scarcerati a Brancaccio. Non avverte un clima che torna a farsi pesante come nei momenti più bui di questa città? 

«No, c’è un’atmosfera che si fa pesante semmai per le famiglie mafiose». 

Che vuol dire? 

«Che queste organizzazioni criminali sono perdenti nei confronti dello Stato. E sono perciò nervose. Segno che non c’è un ordine mafioso. Le operazioni dei carabinieri o della polizia hanno impedito la ricostituzione della commissione di Cosa nostra». 

Come ha vissuto la liberazione di Brusca? 

«Con grande sgomento, ma al tempo stesso con la consapevolezza che quello sia il prezzo che tutti insieme abbiamo scelto di pagare per sconfiggere la mafia. Senza pentiti come Brusca o Buscetta saremmo ancora qui a dire che la mafia non esiste. La domanda semmai è un’altra. Brusca ha detto tutto quel che sa o quanto basta per usufruire dei benefici di pena? Questo temo che non lo sappiano nemmeno i magistrati». 

Sindaco, ancora una volta sta per lasciare Palazzo delle Aquile senza eredi politici. Senza aver costruito una classe dirigente. 

Pronto a consegnare la città di nuovo alla destra? 

«Ho un rispetto sacro per la libertà. Non mi impongo a nessuno. Non c’è una sola persona che sia tenuta a obbedire a un mio ordine e di questo mi vanto. Una classe politica si sta formando. E poi si vota tra un anno e in un anno cambia il mondo. Con Fabio Giambrone (suo vice, (ndr) ho un rapporto di lealtà e fiducia. Ma sarà lui a decidere liberamente che fare e a cercarsi eventualmente i consensi». 

Non avrà nemmeno la soddisfazione di salire sul carro di Santa Rosalia in questo ultimo Festino. 

«Sono reduce da un incontro con il vescovo Corrado Lorefice proprio sull’organizzazione del Festino. Che sarà festa comunque, anche senza spettacoli, ma con i tre elementi che la caratterizzano: Santa Rosalia, le luminarie, il mare. Dal 9 luglio a settembre tutto il centro storico sarà abbellito dalle luminarie. Il Carro lo stiamo restaurando. Sarà festa anche senza il sindaco che grida "Viva Palermo e viva Santa Rosalia"». 

Non si attribuisce alcuna colpa? 

«Se io resto è perché sono convinto che la mia missione può continuare. L’anno prossimo Palermo non finirà in mano alla destra. Sono pronto a firmare una cambiale. E mi permetto di dire che se si troverà un candidato o una coalizione che esprima la mia stessa visione, si vincerà. Potranno insultare Orlando, ma i palermitani non potranno fare a meno di questa visione di città a di futuro». 

La Repubblica Palermo, 13/6/21

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