domenica, giugno 27, 2021

Gli Stati generali della Sicilia democratica da ricostruire sulle macerie della politica


di CARMELO LOPAPA
Cosa resta del centrosinistra in questa terra? Cos’è rimasto delle battaglie democratiche di Pio La Torre, del popolarismo cattolico di Luigi Sturzo, della lotta alla baronia (oggi diremmo all’imprenditoria) mafiosa di Placido Rizzotto? Della forza di rompente dei primi sindaci eletti direttamente dal popolo negli anni Novanta? Su quali gambe camminano nel 2021 le loro idee, il loro coraggio, le legittime aspettative dei siciliani in cerca di benessere, giustizia, legalità, lavoro? Nei giorni che ci attendono, a prescindere dallo sblocco dei licenziamenti del primo luglio, le mille vertenze imprenditoriali aperte in un tessuto socio economico già lacerato rischiano di sfociare in migliaia di licenziamenti. 

Il dopo pandemia minaccia di essere se possibile altrettanto drammatico. A fronte di tutto questo, nell’indolenza dolosa del governo della Regione, quale mobilitazione sta producendo l’area politica che dovrebbe essere più sensibile alle questioni sociali? Nei giorni che ci lasciamo alle spalle, la destra - che pure è stata e forse è ancora maggioranza a queste latitudini - ha saputo offrire giusto lo spettacolo sconfortante di un presidente uscente oltremodo fiaccato alla sua stessa inadeguatezza e perciò disperatamente attaccato alla poltrona. Quel Nello Musumeci, disposto a tutto pur di strappare il lasciapassare finora negato dagli alleati che hanno disertato, e non a caso, la kermesse piccola piccola e invero modesta, per proposte e contenuti. La due giorni si è ridotta ad uno scarso e si è conclusa ieri con un’autocandidatura del presidente uscente che sa tanto di prima tappa della lunga via crucis che lo attende con la sua coalizione.

 

La partita è ancora aperta, in un centro destra che si è ritrovato ancora una volta trafitto nei giorni scorsi da nuove e vecchie inchieste su politica e malaffare. Dal caso di Girgenti acque, che grida vendetta soprattutto agli occhi degli agrigentini assetati, alle ultime rivelazioni spara-fango del finto antimafioso Antonello Montante. Al cospetto di tanta pochezza, il centro sinistra siciliano dov’è? Chi lo rappresenta? Cosa fa? Quali proposte alternative avanza? Il nulla. Dall’emisfero sinistro giunge un silenzio assordante, se si fa eccezione per la voce istituzionale del sindacato. Se lo sguardo volge da quella parte si scorge solo il deserto, al più macerie. 

 

Appena tre settimane fa, domenica 6 giugno, Giuseppe Provenzano, il volto più autorevole e fresco che i democratici dell’Isola abbiano saputo offrire in questi anni, da vicesegretario pd, da siciliano, ha lanciato dalle colonne di questo giornale una proposta aperta. Non solo ai partiti tradizionali, ma a una vasta area politica, estesa perfino al Movimento 5 stelle. Con l’obiettivo di dar vita a un’alleanza che pur di sconfiggere le destre abbatta gli steccati di sempre. Un appello che, tanto per cambiare, il pigro cinismo di una classe dirigente antipatica perfino a se stessa si è curata di lasciar cadere nel vuoto.

Del resto, non desta clamorosamente alcuna reazione nemmeno la lenta e dolorosa agonia politica di Leoluca Orlando a Palermo, che sembra aprire la strada, come già avvenuto, in assenza di una classe dirigente erede, all’avvento della destra dei nuovi falchi o, al più, al ritorno al potere del peggiore conservatorismo di stampo cuffariano.

I 5stelle che qui forse più che altrove hanno saputo intercettare la richiesta forte di cambiamento, ora si sono persi anche loro lungo il cammino. Tanti siciliani avevano creduto nel progetto, loro hanno tradito ogni aspettativa: in preda, perfino i grillini, all’ignavia gattopardesca che tutto fagocita. Non si spiega altrimenti l’ennesima riproposizione dell’eterno Giancarlo Cancelleri, neanche fosse l’unico volto spendibile di una galassia ormai svanita.

Tra poche settimane, da settembre, qui sarà piena campagna elettorale, proiettata verso gli appuntamenti decisivi del 2022, dalla Regione alle amministrative in centri decisivi, a cominciare dal capoluogo. Il centrodestra in qualche modo, rabberciato, come sempre, ci sarà. Fosse pure con un claudicante Musumeci. A Palermo con l’assessore regionale erede del blocco di potere centrista, Roberto Lagalla. Qual è l’alternativa spendibile?

Arrendersi all’inevitabile non è un’opzione data. Questa è la terra in cui nei primi anni Ottanta una buona parte dei sindaci si è stretta in un abbraccio virtuale: sotto il cartello d’ingresso dei loro paesi è comparsa la scritta "Comune denuclearizzato" ancora visibile in alcuni casi. Quale straordinario segno di riscatto e di speranza sarebbe se i loro successori in tutta l’Isola oggi ne facessero affiggere altri, con la scritta a caratteri cubitali: " New generation Ue area"! Un vessillo, per schierarsi dalla parte dei giovani che non devono fuggire, per urlare che l’Europa e le sue indispensabili risorse saranno le armi del riscatto che ci attende, per dire che noi ci crediamo. Di più, che l’enorme fiume di denaro in arrivo da Bruxelles non arricchirà quel che resta di Cosa nostra ma sarà patrimonio ed eredità destinata ai nostri figli. Ne avremo cura, vigileremo, non lasceremo che se ne occupino incompetenti, se non peggio.

Ecco, tutto questo passa per la politica. Ma la democrazia - e non solo ai massimi sistemi - per funzionare, per respirare, ha bisogno di due polmoni. Se in Sicilia pomperà solo quello destro, come avvenuto finora, non si andrà lontano. È giunto il momento di rompere il silenzio. Di scuotere le acque. Di far saltare la diga del torpore atavico. Tutti, senza distinzione, senza furbe sottrazioni, hanno il dovere morale di sedere attorno al tavolo e rimboccarsi le fatidiche maniche. Ma non alla ripresa di settembre, magari per attendere il rientro da comode e lunghe ferie parlamentari. C’è un mondo che pulsa e che soffre e che sta morendo fuori dal Palazzo. Società civile, sindacati, accademici, sindaci, amministratori locali, la ridotta dei partiti hanno una sola strada da intraprendere. Quella che deve portare in tempi rapidissimi alla convocazione degli "Stati generali della Sicilia democratica", popolare e - perché no, se c’è ancora - progressista. È una strada che corre lungo l’asse ideale Palermo- Caltanissetta- Caltagirone, che unisce i destini e le storie vive più che mai di Pio La Torre, di Giuseppe Alessi primo presidente della Regione e di Luigi Sturzo.

Sedete a quel tavolo. Guardatevi in faccia per scoprire chi siete e cosa vi unisce. Se ci siete ancora. E come dei reduci o dei sopravvissuti troverete la forza e le ragioni per ricominciare. Per salvare il salvabile in questa terra, per i nostri figli. Prima che sia troppo tardi.

La Repubblica Palermo, 27 giugno 2021

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