sabato, aprile 15, 2023

Angela Pizzitola: “Verrà il tempo in cui le vittime degli abusi, come quelle della mafia e dell’olocausto, andranno in giro a raccontare, perché simili crimini non abbiano più ad accadere?”

L’intervento di Angela Pizzitola

Pubblichiamo l’intervento di ieri pomeriggio (nella sala “C. A. Dalla Chiesa” al Cidma di Corleone) della prof.ssa Angela Pizzitola alla presentazione del libro di Giovanni Di Marco “L’avversione di Tonino per i ceci e i polacchi”, con cui l’autore denuncia la pedofilia nella chiesa cattolica. 

Insieme a lei sono intervenuti don Luca Leone, parroco della parrocchia di S. Leoluca e l’autore Giovanni Di Marco. Ha moderato l’incontro, durante il quale sono intervenuti diversi cittadini, Dino Paternostro, direttore di Città Nuove. Ha letto brani del libro la d.ssa Patrizia Di Miceli. 


di ANGELA PIZZITOLA

Non ce la faccio più, non ce la faccio più, …due pagine  fitte di quaderno con questo grido di aiuto. È il grido di un bambino, interpretato, volutamente o meno, dalla scuola, dalla famiglia, dalla società in modo superficiale ed epidermico, ed attribuito alla causa più evidente e più scontata: la condizione di orfano, una condizione, comunque  che viene più consolata che sostenuta, protetta  ed accompagnata nel tortuoso cammino del riscatto. Giovanni Di Marco  in “L’avversione di Tonino per i ceci e i polacchi,”  raccoglie ed approfondisce questo grido ,dando voce  a chi non ne ha avuto e, purtroppo non ne ha ancora, a Tonino  e ad altri bambini  per i quali “l’allegria dovrebbe essere una condizione naturale più che una parente stretta  di una dolorosa conquista” .

(GUARDA LA GALLERIA FOTOGRAFICA)

Tonino Deogratias , un bambino intelligente, vivace e felice, intorno ai sette anni vede mutare  in modo traumatico e sconvolgente  la sua vita; la morte di parto della madre e  l’ambiente luttuoso   e “mutanghero” in cui si ritrova a vivere lo rendono un soggetto  fragile e vulnerabile , facile esca per don Alfio, il prete del paese, che, abusando di lui sessualmente, ne segna irrimediabilmente l’esistenza. Nel romanzo , il protagonista, in prima persona , in retrospettiva, narra il doloroso percorso che ha segnato la sua crescita , ripercorrendone tutte le tappe e rivivendone tutte le sofferenze, l’angoscia, le torture, il tormento che le caratterizzarono. La scelta letteraria  dell’io narrante , attraverso la focalizzazione interna,  riducendo la prospettiva  a quello che sente e vede il personaggio , agevola il lettore  nel condividere tutti gli aspetti della vicenda , anche quelli più crudi o apparentemente poco significativi , permettendogli  di identificarsi del tutto  nel protagonista , di viverne gli stessi incubi e le stesse angosce , di soffrire, di ribellarsi e di perdersi con lui .La storia di Tonino , frutto della fantasia dell’autore , richiama tante altre storie similari, oggetto di cronaca , di critica  e di indiscutibile indignazione . Ma la verosimiglianza , mi pare , che si possa considerare non solo un fatto di storie ma anche un fatto di poetica, che , seppure non esplicitamente dichiarata, sottende la stessa scelta narrativa dell’autore. La cronaca, infatti,  segnala casi di abusi e di violenze,  psicologi e sociologi ne analizzano  effetti e conseguenze, ma entrare in modo empatico  nel soggetto e coglierne il calvario  in un eventuale  percorso di sopravvivenza , questo è compito  dell’arte e della letteratura  e Di Marco lo fa  in modo preciso e coinvolgente ponendosi dalla parte della vittima, della quale registra evoluzioni ed involuzioni  in un tessuto di reti e grovigli  che  ne soffocano lo sviluppo da bambino,  e che gli permettono, da uomo,  di interpretare criticamente le sue tristi esperienze.  Una simiglianza , sapientemente accresciuta  da fatti ed episodi  storici degli inizi degli anni 80 ,  dall’attentato a Papa Woytila , ai mondiali di calcio del 1982 , dall’ancora incontrastato potere della DC , ai nomi dei calciatori , ben noti al protagonista,  o ad eventi particolari, quali, ad esempio, la giornata della gioventù,  promossa dallo stesso Woytila. Teatro della vicenda  un piccolo paese dell’entroterra siciliana , Caselverde al Golgota , un luogo quasi fossilizzato in una condizione  fatalisticamente tradizionalista, in cui gli uomini passano il loro tempo  tra il lavoro  e il bar con qualche spunto calcistico o pornografico , dove le donne devono stare a casa , accudire alla famiglia , invecchiando precocemente tra obblighi di lavoro quotidiano  e chiacchiericcio sui fatti altrui, anche i più delicati, o partecipare  ad impersonali rituali religiosi che le rendano “timorate da Dio” e sottomesse ai  mariti; dove i vecchi  oziano al bar  giocando a briscola o biliardo , sbirciando a turno la gazzetta dello sport o il Giornale di Sicilia  e i bambini  si divertono  a prendere in giro i coetanei  con “ngiurie”  o con qualche scazzottata . In questo  contesto  si consuma  il dramma  del protagonista, di Tonino che il 13 Maggio del  1981  deve assistere impietrito e sconvolto dal dolore al funerale della madre con la quale aveva sempre avuto oltre al naturale rapporto di affetto madre-figlio,  una sorta di serena complicità. La madre , come per tutti , è, per Tonino la figura più importante al mondo. Come è possibile, si chiede Tonino, che tutte le attenzioni del paese, della stampa e della televisione siano rivolte all’attentato al Papa e non a sua madre?  Forse che  quel Papa  polacco è più importante di sua madre al punto  da non lasciarle neppure un rigo sul giornale di Sicilia ? Da quel momento scatta  in Tonino l’avversione  per i polacchi , qualunque sia la loro condizione , dal Papa alla squadra di calcio della Polonia  e ai suoi giocatori , che avversa sempre in tutti i modi , perfino ai polacchini , gli stivaletti nuovi che il cugino Santino gli ha regalato per il suo dodicesimo compleanno( il nome polacchino ricorda polacco!!!!!!) ; avversione che  rimarrà  anche per i ceci , la disgustosa zuppa di legumi che ha dovuto mangiare  la sera del funerale della madre  e che nel gusto,  nella vista e nel nome,  incrudelisce, quasi una memoria proustiana, sulle ferite mai rimarginate. Il vuoto, lasciato dalla morte della madre ,è ,per Tonino totale, devastante, fisico” quasi una fame, ma di una intensità più violenta”. Di grandissimo effetto non solo i ricordi della vita quotidiana , ma soprattutto i momenti  in cui stretti, guardavano il mare; analogia bellissima che dice  in pochissime parole il senso e il valore di quel rapporto: infinito il mare e sempre lì, infinito l’amore e la dolcezza di quella madre che Tonino sapeva essere sempre lì; la madre all’improvviso non c’è più ed il mare presenta” pesci morti ed alghe secche”,metafora di quel cuore secco, morto , battuto dal vento di un dolore incolmabile. Se in questo quadro  andiamo a leggere  il sistema e la funzione dei personaggi , così come costruiti nel romanzo, ci rendiamo conto che tra aiutanti ed oppositori  si crea non solo il tessuto narrativo ma soprattutto quello relazionale. Oppositori del protagonista, non perché lo ostacolino, ma perché non lo capiscono e non lo aiutano, i familiari , dal padre” mutanghero” alla sorella depressa che deve accudire  il bambino appena nato, Salvatore,  che Tonino non fatica a chiamare Ammazzatore, dalla zia Nunzia  che  è più attenta al decoro e al risparmio che alla cura del povero ragazzino , alla stessa scuola  e ai compagni che, con la sola e semplice compassione, acuiscono il senso di solitudine ed alienazione. Il vero personaggio aiutante è Tania , una giovane donna di origine tedesca , trasferitasi a Castelverde col marito Alfredo. La vita stantia e soffocante di Castelverde le sta proprio stretta; lei è bella,  ama uscire da sola, truccarsi , essere libera, divertirsi, in una parola ama vivere; il marito assente e geloso,  la cattiva fama  di cui gode in paese,  la rendono una “diversa” come Tonino, ed assume non solo la funzione di aiutante del protagonista  ma quasi di coprotagonista. Con Tonino è dolce, affettuosa, comprensiva , come una mamma ; figura sempre presente , pronta ad ascoltare, confortare, battersi per lui, quasi il suo doppio speculare. Ed è proprio dalla comune diversità  che nasce  una solida relazione  che possa sostituire i reciproci vuoti: la madre per Tonino, e per Tania il figlio che lei forse non potrà mai avere. Falso aiutante del protagonista è don Alfio; egli sembra volersi prendere cura del giovane orfano, lo va a trovare a casa della zia, gli regala figurine , lo difende se , da ribelle , aggredisce qualche compagno, sembra voglia portare conforto a quella famiglia  colpita dall’immane disgrazia; ma a poco  a poco  emerge il suo vero intento; gli inviti sempre più frequenti in parrocchia, le carezze, i baci,  ipocritamente fatti passare come manifestazione di affetto, l’apparente complicità in un lavoro condiviso,  sfociano  nell’abuso sessuale . Il falso aiutante , tradendo la fiducia di chi si aspettava aiuto, diventa il  vero e proprio antagonista.  Una sorta di rovesciamento  che pone le relazioni  come il contrario di quello che dovrebbero essere; un capovolgimento che  già l’autore preannuncia nell’epigrafe iniziale: “ogni volta che  avete fatto  queste cose  ad uno solo  di questi miei fratelli più piccoli, lo avete fatto a me”. Il versetto del Vangelo di Matteo  ovviamente si riferisce  ad opere di bene , alla carità, non all’azione criminale realmente   perpetrata . Don Alfio è un traditore che tradisce non solo la fiducia di quel ragazzino ma anche il Vangelo che invece dovrebbe annunciare; quel più piccolo dei miei fratelli, quel  bambino fragile ed oltremodo vulnerabile  diventa la vittima  prescelta per violenze ed abusi che possono rimanere segreti, considerato anche il contesto familiare  e sociale,   incapace di cogliere ed interpretare i segni del malessere .La manipolazione  e l’utilizzo mistificatorio di argomenti spirituali,  l’imposizione del silenzio con giuramento sulla Bibbia, l’ipocrita rassicurazione che “i preti non possono peccare” rendono ancora più pressante nel bambino il senso di  solitudine  e l’incapacità di ribellarsi agli abusi. Man mano che si va delineando  nella vittima  la consapevolezza di quanto subito, si determinano in lui  i sensi di colpa, gli sconcerti, le angosce, gli incubi,  la vergogna, l’autosvalutazione , il disprezzo di sé; il tutto accresciuto dal segreto e dalla  paura di rivelarlo. Gli inspiegabili stati febbrili che somatizzano il disagio  sono la manifestazione  della profonde ferite che  hanno lacerato l’anima ed il corpo.; a tratti solo il calcio gli da  momenti  di sfogo  e l’isolamento , a volte cercato a volte detestato. L’unica ad intuire  il malessere di Tonino è Tania  che , avendo avuto una certa familiarità col problema ,  lo spinge alla confessione; una confessione dolorosissima , sofferta, angosciante ed angosciata  che suscita l’indignazione  e la rabbia di Tania,  ( come anche quella del lettore ), e ne pianifica l’azione di denuncia. La sua pervicacia  e la sua insistenza riescono ad allontanare il prete dal paese ( continuerà forse altrove )  ma per il resto , nessuna giustizia, nessuna punizione, anzi il suo accanimento  rimbalza contro un muro di gomma  che offende lei stessa e la sua dignità. Se il vescovo, dopo aver fatto orecchi  da mercante, inveisce contro di lei, minacciando una controdenuncia, le forze dell’ordine, a loro volta,  scoraggiano l’azione giudiziaria .Interessante ed oltremodo significativa appare la relazione onirica  di Tonino con la madre che in immagini e contesti sempre diversi, diventa una sorta di rispecchiamento  dello stato d’animo del protagonista  , anche attraverso opportune e ben individuate analogie: pregare in una chiesa con la cupola sventrata, sottende  quasi tutto lo spirito della narrazione e prepara il sogno chiarificatore  del dialogo tra Woytila  e la madre , tra il “Papa con i Ray-Ban” e la madre diventata bellissima con la pelle luminosa e il vestito bianco.   Anche stavolta , come tutte le altre volte , il sogno si dilegua e le lacrime riportano Tonino alla realità , una realtà cruda  da cui è impossibile affrancarsi  e ricostruire un rapporto normale con la vita. Il protagonista , ripercorrendo a ritroso la sua esistenza  può affermare a chiare lettere che “le violenze e gli  abusi subiti  sono ferite sempre aperte  che generano altri abusi ed altre violenze” . La divisione del romanzo in due parti  esplicita, anche strutturalmente ,che il tradito diventa traditore, la vittima diventa carnefice di se stesso e degli altri e che in fondo,  dal compiere  nei confronti di altri innocenti gli abusi che sono stati compiuti su di  sé, ci si può anche autoassolvere. La scoperta del sesso che   per i ragazzi  normali può essere  motivo di curiosità , magari maliziosa, ma comunque piacevole,  per la vittima  diventa motivo di violenza e di aggressione , il male produce altro male,  altre vittime, altro dolore. Il cinismo, quasi una corazza  per  nascondersi e difendersi, diventa  l’ulteriore prova  di un danno irreversibile , di un dramma interiore  che affonda le sue radici in un passato  assolutamente incancellabile .La trasgressione , vissuta come rivalsa  o volontà  di definire un’identità,  non può annullare il senso di colpa , anzi lo amplifica  e la recita di un confesso,  a discolpa,  non assume funzione liberatoria  ma di ulteriore colpevolizzazione Perdersi, annullarsi, scomparire , forse volendo espiare  in questo modo colpe subite  e commesse, rimane  la scelta di un soggetto  disperato che non è riuscito a rimarginare  le ferite infertegli  da chi lo avrebbe dovuto proteggere. “Resisti , Antonino,  resisti, figlio mio,”  è la risposta a quel grido iniziale , non ce la faccio più  , è l’input a sopravvivere , a tentare di superare   vergogna, sensi di colpa  e frustrazioni   di  chi, da innocente,  è stato segnato  dai crimini commessi  da esseri  spregevoli  e dall’omertà  di una società  e di istituzioni  tanto disattente quanto conniventi .Un romanzo, quello  di Di Marco condotto con una prosa chiara, nitida, toccante nei dialoghi, abile nelle descrizioni, capace di coniugare memoria e realtà   in un binomio virtuoso  che, dilatando spazio e tempo, permette al lettore di cogliere in un unicum  racconto e vita vissuta. Le scelte lessicali  a volte gergali, a volte  colorite , a volte alleggerite  da finissima ironia  non sono mai fini a se stesse  , ma finalizzate  alla rappresentazione plastica  della narrazione e perfettamente inerenti al soggetto trattato. L’avversione di Tonino per i ceci e i polacchi è un romanzo coraggioso , di aperta ed audace denuncia   dell’omertà conseguente   reati che possono venire da ogni situazione sociale, dalla  chiesa, dalla scuola , dalla famiglia ,dal mondo dello sport, da individui  insospettabili  e  ritengo, che già il solo parlarne possa essere una forma di difesa, un incoraggiamento alla denuncia senza se e senza ma , e una richiesta pressante di sostegno alle vittime, che spesso devono sostenerne da sole le conseguenze .Il pessimismo che contraddistingue la visione della realtà  è un pessimismo attivo e d’opposizione , rimarca la fede nella verità e nella giustizia  e lascia uno spiraglio di speranza di salvezza. In fondo Tonino, sia pure mal ridotto  , riesce a sopravvivere ,e potrebbe trovare  nel racconto di sé  la strada per un percorso di recupero  non solo individuale ma anche sociale. Verrà il tempo in cui  le vittime  degli abusi , come quelle della mafia e dell’olocausto andranno in giro  a raccontare,  perché simili crimini non abbiano più  ad accadere ? e se dovessero verificarsi aperta accoglienza alla denuncia e alla giusta punizione dei colpevoli . Lo speriamo , intanto, come diceva Vittorini,  la cultura  pone  problemi ed esigenze proprie dell’uomo; il compito delle istituzioni, ad ogni livello, religiose o politiche , che siano, è quello di attivarsi  per superarli e risolverli .   Di Marco col suo romanzo ha già fatto abbondantemente la sua parte. 

Angela Pizzitola 


GALLERIA FOTOGRAFICA















Nessun commento: