domenica, aprile 30, 2023

L’Italia è una repubblica di debole costituzione. A scuola con Gherardo Colombo


di Francesco Alì

Due giornate intense e formative con Gherardo Colombo a Reggio Calabria. Un tour per parlare di democrazia e Costituzione con gli studenti del Liceo Scientifico “A. Volta” e del Liceo Statale “T. Gulli”. Per un confronto sui temi a lui cari della giustizia, dell’inclusione, dell’accettazione della diversità, affrontati con gli studenti degli Istituti comprensivi “Vitrioli – Principe di Piemonte” e “Cassiodoro – Don Bosco”. 

Per discutere nella storica libreria AVE della città dello Stretto, del suo ultimo libro, edito da Garzanti: Anticostituzione. Come abbiamo riscritto (in peggio) i principi della nostra società. Approfondire i temi della democrazia è sempre un esercizio impegnativo. Ma importante perché la democrazia c’è se i cittadini hanno voglia di partecipare alla gestione e

all’amministrazione della loro comunità e della cosa pubblica. Invece, la tendenza è sempre più quella di delegare ad altri, di disinteressarsi. Finendo per organizzare una società di sudditi e di sovrani piuttosto che di cittadini che partecipano.

 

Gherardo Colombo, per oltre trent’anni, ha fatto il magistrato presso il Tribunale, la Procura della Repubblica di Milano e la Corte di cassazione, ha condotto e collaborato ad inchieste divenute celebri, dalla Loggia P2 a Mani Pulite, dal delitto Ambrosoli al processo IMI-SIR. Nel 2007 ha lasciato la magistratura per dedicarsi ad incontri formativi nelle scuole, dialogando negli anni con migliaia di ragazze e ragazzi sui temi della giustizia e del rispetto delle regole. Abbiamo fatto i conti, incontra circa 50 mila studenti all’anno che, moltiplicati per 16 anni, diventano più o meno 800 mila. «Sarei potuto andare avanti fino al 2022 – ci racconta – perché quando mi sono dimesso i magistrati andavano in pensione a 75 anni. Sono andato via perché secondo me è necessario lavorare altrove. Per 33 anni sono stato in magistratura e, per quanto impegno ci si mettesse, non c’era niente da fare, la giustizia funzionava malissimo. Allora mi sono chiesto se non ci sia da fare qualcosa prima di arrivare nei palazzi di giustizia. Perché per fare in modo che la giustizia funzioni bisogna capire il rapporto che noi abbiamo con le regole. Abbiamo la Costituzione, ma se non la capiamo perché mai dovremmo osservarla? E allora mi sono dimesso e vado in giro a parlare con i ragazzi». Che sono il nostro presente, prima che il nostro futuro.

 

La ricorrenza per discutere del suo nuovo libro è assai significativa, sono passati 75 anni dall’entrata in vigore della Costituzione. E siamo alla vigilia della Festa della Liberazione. Il 1° gennaio 1948 per l’Italia cominciava simbolicamente una nuova era: nell’art. 1 della Costituzione veniva definita, per la prima volta, una «Repubblica democratica». Le madri e i padri costituenti, grazie alla Resistenza, si sono posti come obiettivo quello di riscrivere, con la Carta costituzionale, il DNA del Paese dopo la tragedia del fascismo e della Seconda guerra mondiale. Tuttavia, la Costituzione, che ha come fine la realizzazione della pari dignità universale e la tutela dei diritti, non trova applicazione nella vita di tutti i giorni. Così, Gherardo Colombo, rilevando la distanza tra teoria e prassi, nel suo ultimo libro, ha riscritto (in peggio) la Costituzione. Accanto a quella vera, quella formale, quella scritta dai costituenti, ha scritto quella ufficiosa, quella più praticata, quella occulta seguita da molti italiani. Così ha fatto emergere l’Anticostituzione. Lo ha fatto con spirito provocatorio e deciso, come sa fare. Ma anche con l’animo carico di speranza. La speranza di chi incontra, motiva e forma, ogni giorno, ragazze e ragazzi per proporre loro gli strumenti necessari a costruire una società solidale, a comprendere attraverso la conoscenza e, quindi, a rifiutare ogni tipo di illegalità, abuso o privilegio. La speranza di chi prova a trasmettere loro, con umanità, garbo e sobrietà, il senso ideale della giustizia e del rispetto delle regole, per metterli nelle condizioni di saper scegliere la cultura della Costituzione.

È un lungo viaggio nella e verso la democrazia il suo ultimo saggio. Si parte dalla riscrittura dell’art. 1 della Costituzione, mettendo a confronto quello vero, quello giusto, «l’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro. La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione», con quello che l’autore ha riscritto leggendo la realtà, «l’Italia è una Repubblica democratica a tendenza monarchico-feudale, fondata sul lavoro e sulla rendita. La sovranità appartiene al popolo, che tende a evitare di esercitarla per non essere chiamato a risponderne».

E via, via, si passano in rassegna tutti gli altri.

L’art. 2, «La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale», che viene comparato con la prassi così codificata: «La Repubblica riconosce e garantisce ‘alcuni’ diritti inviolabili dell’uomo […] ‘purché non si tratti di immigrati irregolari o in attesa di regolarizzazione, di poveri, di detenuti, di vaste categorie di disabili’ […]».

E l’art. 3, «Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese» che, messo allo specchio con quello ufficioso, suona così «Solo i cittadini e gli stranieri abbienti hanno pari dignità sociale […] e sono eguali davanti alla legge, con più o meno contenute distinzioni di genere, di etnia, lingua, religione, opinioni politiche, condizioni personali e sociali […]».

Gherardo Colombo nel suo ragionamento parte da un’affermazione: «La Costituzione è entrata in vigore rovesciando la struttura sociale che esisteva prima». Poi va avanti con una serie di esempi: «Fino a poco tempo prima la discriminazione è stata alla base della società. Le donne, prima della Costituzione, non votavano perché erano considerate indegne di partecipare alla gestione della società, potevano occuparsi solo di ciò che riguardava la casa, i figli. Se si sposavano dovevano obbedire al marito, spostare la propria dimora ovunque lui decidesse di spostarla, era reato penale l’adulterio femminile e non quello maschile. E questo, però, è andato avanti anche dopo l’entrata in vigore della Costituzione perché la riforma del diritto di famiglia è del 1975. Per arrivare allo Statuto dei lavoratori ci sono voluti 29 anni; 27, invece, per arrivare all’ordinamento penitenziario».

È’ passato molto tempo dall’entrata in vigore della Costituzione alla realizzazione di quelle modifiche strutturali necessarie per fare in modo che quelle discriminazioni che esistevano prima venissero eliminate. Eppure, continua l’ex magistrato «che la discriminazione va bandita, lo dice con chiarezza estrema l’art. 3 affermando che tutte le persone hanno pari dignità sociale, che sono tutte degne allo stesso modo. E se tutti sono degni, tanto quanto gli altri, le loro specificità che riguardano il genere, la lingua, il sesso, la religione, le opinioni politiche, le condizioni personali di qualunque tipo, le condizioni sociali, non possono creare discriminazioni». Per comprendere questa discrasia, dovremmo provare a contestualizzare e chiederci come reagì la cittadinanza all’entrata in vigore della Costituzione. «Reagisce – sottolinea Colombo ‒ cercando di conservare quello che esisteva prima».

È per questo che l’autore ha «pensato di ‘codificare’ le regole che seguiamo al posto di quelle scritte nella Costituzione». Il libro graficamente si presenta così: a sinistra c’è l’articolo della Costituzione, a destra la rivisitazione e la riscrittura sulla base della realtà. Quindi, il commento e le ragioni: «È necessario evidenziare questa differenza – sottolinea Gherardo Colombo – anche per poter avere gli elementi per fare una scelta. Se stare cioè dalla parte della Costituzione o dalla parte della discriminazione». Perché questa è l’alternativa che abbiamo di fronte. «Se vogliamo avere un futuro – prosegue l’ex magistrato – è necessario che la Costituzione la osserviamo». E se vogliamo comprendere bene questo passaggio dobbiamo avere presente che «questa domanda se la sono fatta i costituenti proprio per via delle esperienze di vita che hanno vissuto, quasi tutti. Due guerre mondiali (una da giovani e una da adulti), la shoah, la bomba atomica che è stata un cambiamento epocale perché è intervenuta nel corso della loro vita, cambiandogli il futuro». E quindi i costituenti hanno dovuto farsi una domanda del genere: «Come possiamo avere un futuro? Come possiamo salvarci?». E la risposta è stata la Costituzione. «Se non la seguiamo – Colombo interroga prima sé stesso – chi lo sa se ci salviamo? Perché non soltanto di indizi, ma di elementi per dubitare che il genere umano possa continuare ad esistere ne abbiamo tanti».

Allora l’interpretazione del significato di democrazia solo come governo del popolo non può bastarci. Occorre, invece, che ognuno di noi assuma un ruolo consapevole e attivo, che non ci si accontenti di delegare chi ci rappresenta. «Se arriva qualcuno che dice non preoccupatevi che penso a tutto io (a Milano), me la vedo io (a Reggio Calabria) – prosegue Gherardo Colombo – immediatamente ha successo. Ma quando decide qualcun altro, significa che ci viene sottratta la libertà. Potremmo addirittura essere contenti perché la nostra responsabilità in questo modo viene accantonata. Ma il prezzo è la libertà». Allora occorre anche educare alla cittadinanza perché l’impegno personale è necessario affinché la parola democrazia non resti teoria, ma si trasformi in pratica effettiva.

 

Ciò che emerge nel libro di importante e coinvolgente è il contrasto tra ideale e reale, tra il dover essere e l’essere. Contrasto che Gherardo Colombo fa vedere chiaramente con la strategia della riscrittura degli articoli della Costituzione. Una riscrittura che potrebbe dar luogo a dei fraintendimenti: riscrivere la Costituzione vuol dire sminuire l’importanza dei principi fondamentali su cui essa si fonda? Vuol dire suggerire alla politica di modificarla in modo da renderla più coerente possibile alla vita reale? È quello che potrebbero pensare tutti coloro che negli ultimi anni non hanno fatto altro che disprezzarla. Oppure, la riscrittura è solo un modo per far comprendere al lettore che la realtà si colloca ad una distanza siderale da ciò che la Costituzione ci indica come percorso da seguire? E a quali riflessioni conduce la constatazione di tale distanza tra essere e dover essere? Credo che, da un lato, ci dica che si è perso lo sguardo critico sul presente (per ignoranza, cinismo, rassegnazione, indifferenza, paura) e, dall’altro, che si è persa parte di quella tensione morale che caratterizzò i costituenti. L’evidenza è dunque una rottura determinata dalla fragilità umana che però non può essere un alibi per rinunciare a scegliere, ma il punto di forza su cui rifondare il nostro rapporto con la Costituzione, quindi con la democrazia e con noi stessi. Sapendo che la democrazia è un fatto esistenziale che si gioca nella nostra semplice quotidianità e, dunque, si può difendere solo se ci sentiamo chiamati in causa in quanto parti in causa.

L’Anticostituzione, dunque, è anche un monito. Un libro che, oltre ad indicare la strada giusta, mette di fronte anche a quella sbagliata. E ci interroga su quanta attenzione riponiamo sul presente, sugli altri. Ma la domanda, forse più difficile e pericolosa, è quella che ci chiede se crediamo ancora nei valori a fondamento della Costituzione e soprattutto nel loro significato di essere mete verso cui tendere il nostro sguardo e le nostre azioni. Se la risposta è sì, allora bisogna impegnarsi, fare quello che dice l’art. 1, «l’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro», che vuol dire che l’Italia può essere una democrazia soltanto se gli italiani lavorano perché sia una democrazia. E lo sapevano benissimo coloro che hanno scritto la Costituzione perché dopo aver detto nell’art. 3, «tutti i cittadini hanno pari dignità sociale, che sono uguali davanti alla legge, senza distinzioni» aggiunge «è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli […] che impediscono il pieno sviluppo della persona umana», superare cioè tutto quello che impedisce che la prima parte sia vera. Ma la Repubblica siamo noi, insieme agli altri. Quindi siamo noi che dobbiamo lavorare per superare la situazione di fatto, per introdurre quelle modifiche nella cultura e nelle Istituzioni per far sì che sia vero che tutte le persone sono degne quanto le altre.

 

Gherardo Colombo, Anticostituzione. Come abbiamo riscritto (in peggio) i principi della nostra società, Garzanti, 2023, pp. 180

Treccani.it, 24 aprile 2023

Nessun commento: