mercoledì, aprile 05, 2023

IL REPORT DI SAVE THE CHILDREN. Stranieri e sfruttati I lavoratori bambini dei campi di Vittoria


di Paola Pottino 

Si tratta soprattutto di manodopera proveniente dalla Romania e dal Nord Africa impiegata nell’agricoltura 

Hanno meno di sedici anni, eppure lavorano nei bar, nei ristoranti nei negozi, ma anche nelle campagne e nei cantieri. Sono 336 mila i bambini e gli adolescenti italiani tra i 7 e i 15 anni ( pari al 6,8 per cento) , che hanno avuto esperienze di lavoro. Lo rileva la nuova indagine nazionale condotta da Save the Children, a dieci anni di distanza dalla presentazione dell’ultima ricerca sul lavoro minorile in Italia. Tra i territori indagati dall’organizzazione (presi come campione in base al criterio della distribuzione geografica e delle caratteristiche sociali, economiche e del mercato del lavoro) insieme a Napoli, Prato e Treviso c’è anche Vittoria in provincia di Ragusa.

Dall’indagine svolta, proprio a Vittoria è emersa una diffusa condizione di sfruttamento lavorativo a scapito soprattutto di minori migranti, per lo più provenienti dalla Romania e dal Nord Africa, impiegati nel lavoro agricolo, e la presenza di famiglie, spesso migranti, che vivendo fuori al centro urbano, si ritrovano escluse dall’accesso ai servizi primari, come quelli abitativi, sanitari ed educativi. «Oltre ai casi di minori che aiutano nei campi – dice un’operatrice che ha lavorato al focus group su Vittoria – abbiamo segnalazioni di bambini “ sospesi”, invisibili, che attendono ore e ore nelle auto mentre i genitori lavorano, isolati e sovraesposti alla tecnologia come intrattenimento». 
Un circolo vizioso che lega il fenomeno del lavoro minorile, per lo più sommerso in assenza di rilevazioni statistiche ufficiali, alla dispersione scolastica e alla giustizia minorile. Da qui, l’urgenza , come nel caso di Vittoria, di considerare non solo il minore, ma il nucleo familiare disagiato, investendo anche nei servizi di collegamento per le zone periferiche distanti dalle scuole e «di ripensare in modo radicale pedagogie e modelli di relazione educativa – si legge nel report – contrastando la discontinuità, per riabilitare una scuola spesso percepita dai ragazzi dei quartieri difficili, come «una gabbia da cui si fugge». Ma, indipendentemente dal contesto sociale dei nuclei familiari, cosa spinge i giovani a rinunciare alla scuola o a rimanere fuori, per periodi più o meno prolungati, dal contesto scolastico e lavorativo? In quali casi e in base a quali aspettative il lavoro si presenta come opzione preferibile o necessaria? Per rispondere a queste domande, i ricercatori hanno elaborato il cosiddetto metodo di ricerca “tra pari” ( peer research) con il quale hanno posto quaranta interviste a un campione di ragazzi di quattro città italiane, tra le quali Palermo. Dall’indagine è emerso che, nel capoluogo siciliano, sono soprattutto le ragazze che sacrificano la propria adolescenza in funzione del lavoro. Come è accaduto, per esempio, a una giovane di 17 anni che ha raccontato di avere lavorato in un campeggio quando aveva soltanto 13 anni. «Facevo cose stancanti per una persona della mia età – ha detto – Lo puoi fare soltanto per un breve periodo, ma dopo un po’ crolli, non ce la fai. Non hai una vita sociale, non puoi godere la tua adolescenza». 
I giovani avvertono l’urgenza di disporre del denaro. È un altro degli aspetti del fenomeno emersi nel corso dell’indagine. Necessità che, inevitabilmente, conduce a una frammentazione e a una evoluzione dei percorsi lavorativi come ad esempio il commercio sul web, una forma relativamente nuova di lavoro che viene percepita come più “facile” e meno rischiosa di altre. 

La Repubblica Palermo, 5/4/2023

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