martedì, aprile 25, 2023

Il 25 aprile a Corleone. Dino Paternostro (Cgil, Anpi): "Ricordiamo tutti i nostri partigiani che volevano un'Italia libera per tutti, unita. Riaffermiamo il valore della concordia, dell'amore per la Costituzione fondamento della libertà"

L’intervento di Dino Paternostro 

DINO PATERNOSTRO*

L’anno scorso abbiamo realizzato un sogno, che sta continuando anche quest’anno: festeggiare il 25 aprile 2023 ricordando i Partigiani corleonesi in uno dei luoghi più belli e significativi della nostra città, la Villa comunale, il nostro giardino pubblico frequentato da tutti i cittadini. E li ricordiamo davanti ad un monumento semplice, una pietra delle nostre campagne, per questo ancora più significativa, dove sono incisi i nomi dei partigiani corleonesi.
Eccoli, in ordine alfabetico: Tindaro Accordino (1922 – 2013); Giovanni Colletto (1908-1996); Giovanni Raimondi (1922-1945); Placido Rizzotto (1914-1948);Giuseppe Siragusa (1921 – 2008); Antonino Verro (1911-1943); Michelangelo Zabbia (1920 – 2017).


Placido Rizzotto è stato il primo corleonese ad essere conosciuto come partigiano. Non in Carnia, nel Friuli, come per tanto tempo abbiamo creduto, ma a Roma, nella banda clandestina del “Gruppo Napoli” comandata dal col. Barbara, ed in contatto diretto con il capo squadra cap. Agostinucci. Sappiamo tutti che Rizzotto animò la sua seconda resistenza a Corleone contro la mafia e il padronato agrario. Per questo fu ucciso nel 1948
Poi abbiamo scoperto anche gli altri partigiani:
Michelangelo Zabbia,  partigiano combattente nella X Brigata Giustizia e Libertà “Nicola Panevino”, operativa nella zona di Savona nome di battaglia “Paciacca. 
Giuseppe Siragusa, partigiano combattente nella divisione “Valtoce” (Piemonte), col nome di battaglia “Sira". 
Antonino Verro, capitano d’artiglieria presso il 17º Reggimento Fanteria, Divisione Acqui, fucilato dai tedeschi a Cefalonia il 21 settembre 1943. 
A Cefalonia combatté un altro corleonese d’adozione, il maresciallo di PS Tindaro Accordino, nato a S. Giorgio di Gioiosa Marea (Me), ma vissuto a Corleone ininterrottamente dal 1961 fino alla sua morte nel 2013. Fece parte di quel gruppo di eroi, che alla intimazione di arrendersi e consegnare le armi data dal comando tedesco rispose con un orgoglioso MAI. Catturato, fu internato in un campo di prigionia da cui riuscì ad evadere restando latitante con i partigiani greci. 
Nel comune di Belveglio (Asti) il 29 marzo 1945 venne fucilato il corleonese Giovanni Raimondi, partigiano della 100° brigata, VIII divisione Garibaldi Asti.
Infine, Giovanni Colletto, che fu partigiano a Zocca nel modenese, comune medaglia d’oro della Resistenza. 
Li ricordiamo tutti e, insieme a Carlo Azeglio Ciampi (un Presidente della Repubblica, che abbiamo avuto l’onore di ospitare qui a Corleone) diciamo: «Volevano un’Italia libera per tutti, unita. Il loro ricordo non vuole alimentare divisioni, vuole insegnarci la concordia, l’amore per la Costituzione, fondamento delle nostre libertà».

Purtroppo, quest’anno al 25 aprile arriviamo in mezzo a tante polemiche animate anche da esponenti delle istituzioni.

A cominciare da un dirigente scolastico del liceo classico “G. Leopardi” di Aulla, che lo scorso 21 aprile ha disposto con una circolare che il 27 aprile tutti gli studenti, accompagnati dai loro insegnantui, si rechino in orario scolastico presso la sala consiliare del comune per partecipare ad un incredibile dibattito che avrà per tema: “Noi riteniamo che non sia più opportuno che il 25 aprile venga celebrato come una festività nazionale”.
MA PERCHÈ PUÒ ACCADERE UNA COSA SIMILE?
Un simile clima purtroppo è stato costruito ed alimentato da importanti personaggi delle istituzioni, addirittura dalla seconda carica dello Stato, come il presidente del Senato, che nei giorni scorsi ha detto: «Guardate che nella Costituzione non c’è scritta la parola antifascismo».
È vero, nella Costituzione non c’è scritta la parola “antifascismo”, ma è ben presente la parola “fascismo”, legata al divieto radicale di riportarlo in vita. La 12ma disposizione transitoria della Costituzione, infatti, fa divieto di ricostituzione del disciolto partito fascista, sotto qualunque forma. È importante la frase “sotto qualunque forma”: i nostri padri costituenti erano ben consapevoli che era una questione di sostanza, non di forma. Come se ci dicessero: non fermatevi alle parole, ma guardate in profondità».
«L’antifascismo non è in Costituzione, perché l’antifascismo è la nostra Costituzione».
Per colpire i partigiani, lo stesso presidente del Senato aveva fatto l’infelice rivisitazione dell’eccidio di via Rasella: «Quelli uccisi furono una banda musicale di semi-pensionati e non nazisti». Salvo poi correggersi e chiedere scusa. Bisogna avere l’onestà intellettuale e morale di dire che tutti i caduti per i loro valori vanno onorati, ma si deve saper distinguere anche quale era la parte giusta e quale era la parte sbagliata. La parte giusta erano i partigiani, la parte sbagliata i nazi-fascisti.
Dobbiamo augurarci tutti che il 25 aprile, festa della Liberazione (insieme al Primo Maggio, festa del Lavoro, e al 2 giugno, festa della Repubblica, possano essere vissute con autentico spirito repubblicano, come date che uniscono gli italiani e non li dividono.
Affinchè ciò avvenga è necessario che le commemorazioni delle date fondative della nostra storia antifascista si svolgano nel rispetto della verità storica condivisa.
Per fortuna i cittadini italiani sono più avanti dei loro governanti. Da un recente sondaggio, risulta che il 73% degli italiani vorrebbe che per l'anniversario della liberazione, i maggiori esponenti del Governo e delle Istituzioni fossero presenti alle celebrazioni. E oltre il 60% pensa che tutti i componenti dei partiti, del Governo e delle Istituzioni, dovrebbero dichiararsi apertamente antifascisti.

In questi giorni anche un ministro della Repubblica ha scatenato una polemica sui pericoli di una sostituzione etnica per i continui sbarchi di immigrati, salvo poi chiedere scusa pure lui per l’ignoranza dimostrata. Sostenere falsità storiche e poi chiedere scusa pare che stia diventando una sorta di sport nazionale.
Per giustificare la “guerra” contro gli immigrati (i numeri dicono che non esiste l’invasione) viene spesso strumentalizzata la parola “prossimo” di cui parla Gesù nei Vangeli. “Prossimo” sono le persone a noi più vicine – i familiari e i connazionali – e non gli africani, sostengono noti esponenti di governo, rivelando scarsa familiarità con il testo sacro.
Ho letto recentemente sul quotidiano “Avvenire” che quando Cristo enuncia quello che per lui è il cuore del suo messaggio, l’amore per Dio e per il prossimo, e un interlocutore gli chiede: «Chi è il mio prossimo?», la risposta del Signore è un racconto in cui si parla di un ebreo ferito ai margini della strada e di un samaritano che si ferma a soccorrerlo e se ne prende cura. Ora, ebrei e samaritani erano di stirpi diverse e avevano una lunga storia di inimicizia reciproca. Questa caduta dei muri che dividono i popoli è inscindibile dall’annuncio evangelico.
D’altra parte, per sapere cos’è stato il fascismo, basta leggerne la sua autodefinizione, tratta dall’articolo 4 dello Statuto del Pnf.
L’identità fascista si riassume in tre parole: credere, obbedire, combattere.
Questa visione etico-politica è radicalmente antitetica all’etica costituzionale. La nostra Costituzione non chiede di “credere”, ma al contrario garantisce il pluralismo delle idee e dell’informazione. Secondo la Costituzione bisogna “obbedire” alla Carta e alla legge ad essa conforme, non a un capo.
Infine, a proposito del “combattere, la Costituzione proclama solennemente l’esclusione della guerra come strumento di affermazione nella scena internazionale, al contrario dei fascismi e dei nazionalismi.
Concludo con le affermazioni di Gianfranco Fini, ultimo segretario del MSI, che ha detto: "Non capisco la ritrosia per la parola antifascismo. La destra i conti li ha fatti, Giorgia Meloni dica che libertà e uguaglianza sono valori democratici, sono della Costituzione, sono valori antifascisti: non capisco la ritrosia a pronunciare questo aggettivo. La capisco ma non la giustifico".

Il 25 aprile 1945 è un passaggio fondamentale nella storia del nostro Paese: il Comitato di Liberazione Nazionale dichiarò a Milano e in tutto il Nord Italia lo sciopero generale; la popolazione insorse e i partigiani occuparono le città; l’Italia riconquistò definitivamente la libertà, la democrazia e il proprio onore e il nazi-fascismo venne definitivamente sconfitto aprendo le speranze di un mondo senza guerre, senza genocidi, senza razzismi.
Ciò ha portato il nostro Paese a libere elezioni, al voto delle donne, all’Assemblea Costituente eletta dal popolo, alla promulgazione della Costituzione che affonda le proprie radici nella Resistenza contro il fascismo, dove sta scritto nel suo primo articolo che “L’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro”. Una Costituzione che va applicata integralmente. Che va difesa dai tanti attacchi che subisce e che va fatta invece vivere nella sua pienezza.
Dice Carlo Ghezzi, vicepresidente vicario nazionale dell’Anpi: “Facciamo del 25 aprile il giorno della speranza, ripartendo dalla memoria di coloro che si sono battuti pagando prezzi pesanti per ridare la libertà a chi c’era, a chi non c’era e per garantirla anche a chi si batteva contro. Uomini e donne ai quali la democrazia italiana deve moltissimo”.

* Responsabile Dipartimento Archivio e Memoria storica Cgil Palermo; rappresentante dell'Anpi.

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