sabato, febbraio 18, 2023

La tana di latitanti e pentiti tra lago Maggiore e lago d'Orta


Attilio Bolzoni

Dopo l'arresto di Messina Denaro sono emersi nuovi dettagli sulle figure che si sono incrociate in Piemonte nel periodo successivo alle stragi. Il gelataio Baiardo abita ancora in questa zona, tra lago d'Orta e lago Maggiore

Stavano tutti là, fra due laghi. Latitanti, pentiti, sicari, generali. E tutti allo stesso tempo, nei mesi successivi alle stragi di Palermo. Valli, montagne e misteri riaffiorano trent'anni dopo in un luogo lontano dal sangue che si spargeva sulle strade siciliane, un angolo d'Italia apparentemente tranquillo, forse anche troppo per ciò che stiamo apprendendo dopo la cattura di Matteo Messina Denaro . Dettagli trascurati o ignorati. Perché fra il lago d'Orta e la sponda piemontese del lago Maggiore, si nascondono più segreti di quanti ne possiamo immaginare.

Esche e truffe

Abita ancora da quelle parti quello che è diventato il gelataio più famoso e conteso dai tribuni televisivi, quello che sa tutto e niente, che sottintende, insinua, l'indovino Salvatore Baiardo che ha clamorosamente annunciato l'arresto del boss di Castelvetrano a Massimo Giletti dagli studi de La 7.

Nella sua casa di Omegna ha offerto riparo a Giuseppe e Filippo Graviano in fuga dalla Sicilia, in compagnia delle loro mogli e di "altre persone" di cui nulla sappiamo. Nemmeno se sono vive o morte, nemmeno se siano mai realmente esistite. Abita sempre lì, ad Omegna, 14mila abitanti, 293 metri sul livello del mare, 105 chilometri da Milano e 155 da Torino, situata nella parte superiore del lago d'Orta nella provincia di Verbano-Cusio-Ossola.

Aveva una gelateria in via Mazzini che adesso ha rilevato sua moglie, in un passato remoto è stato consigliere di quello che nell'altro secolo era il partito socialdemocratico, papà emigrato da Palermo in Piemonte come ferroviere, alle spalle condanne anche per piccole truffe, una pena incomprensibilmente irrisoria – quattro anni – per il favoreggiamento ai mandanti delle bombe di Capaci e di via D'Amelio. Ma soprattutto, questo signor Baiardo è uno specialista nel gettare esche.

E lo fa e l'ha sempre fatto da Omegna. Che non è certo Rosarno, nella piana calabrese, un comune che rispetto alla sua popolazione ha almeno il doppio dei mafiosi di Palermo. Non è neanche Campobello di Mazara, il paese dei covi a vista piazza dove Matteo Messina Denaro quando si sentiva insicuro in uno si spostava nell'altro che era nel vicolo accanto. Non è Corleone e non è Locri però, e i fatti sono in fila a dimostrarcelo, di cose un po' strane ne sono successe tante ad Omegna.

Chiaroveggente

Della sua profezia sul fermo di Matteo Messina Denaro se n'è parlato abbondantemente in queste settimane. L'avviso ai naviganti Baiardo l'ha diramato il 5 novembre 2022, l'intervento del Raggruppamento operativo speciale dell'Arma nella clinica palermitana La Maddalena è del 16 gennaio 2023.

Della sua sorprendente conoscenza del pentimento di Balduccio Di Maggio due settimane o più dal giorno in cui lo stesso Di Maggio è stato fermato in un'officina di Borgomanero, abbiamo scritto a inizio mese su Domani.

Di Maggio, che era il boss che ha portato i carabinieri sulle tracce del capo dei capi Totò Riina, ufficialmente è stato arrestato l'8 gennaio del 1993. Ma il gelataio Salvatore Baiardo – a detta di Giuseppe Graviano che ha reso testimonianza in aula a Reggio Calabria nel processo sulla ‘ndrangheta stragista – ne sarebbe stato al corrente precedentemente, di sicuro prima del Capodanno del 1993 quando nessuno sapeva chi fosse Balduccio Di Maggio e del suo ruolo nella caduta del boss di Corleone.

La casa del pentito Drago

C'è dell'altro nelle oscurità di Omegna. Ed è sempre dentro le carte delle stragi siciliane, verbali di interrogatorio dei procuratori di Firenze e di Caltanissetta, i magistrati che indagano sulle uccisioni di Giovanni Falcone e di Paolo Borsellino e sugli attentati in continente.

È la testimonianza di Fabio Tranchina – ai fratelli Graviano ha fatto da autista, da corriere, da sbrigafaccende – che quando si pente racconta che fu proprio Giuseppe Graviano a premere il pulsante del telecomando che fece saltare in aria il procuratore Paolo Borsellino.

L'uomo di fiducia dei Graviano rivela anche che, proprio Baiardo (sempre lui) gli avrebbe pure segnalato la "casa sicura" dove aveva trovato rifugio il pentito Giovanni Drago, uno dei più pericolosi rappresentanti dell'Anonima assassini dei Corleonesi. Dopo le stragi anche Drago si pente.

E dove lo portano per garantire la sua incolumità? Non è uno scherzo: sul lago d'Orta, ad Omegna. Dove c'è Salvatore Baiardo, dove ci sono Giuseppe e Filippo Graviano, dove sale e scende Fabio Tranchina.

La testimonianza di Tranchina al procuratore di Caltanissetta Stefano Luciani e ai procuratori di Firenze Alessandro Crini e Giuseppe Nicolosi: «Sono stato ad Omegna perché si pensava che lì vivesse il collaboratore Giovanni Drago, il luogo mi fu segnalato da Salvatore Baiardo che mi indicò il balcone della sua abitazione».

Il gelataio era molto informato. E aggiunge Tranchina: «A Baiardo portai dieci o 20 milioni di vecchie lire per conto di Giuseppe Graviano.

Era un riciclatore, mise su una gelateria con la novità all'epoca del gelato allo yougurt, Baiardo lo conobbi a casa dei miei suoceri, lui è parente di mio cognato».

È un groviglio di legami familiari. Baiardo è cugino tramite moglie del boss di Brancaccio Cesare Lupo, che è anche cognato di Tranchina. Tutti sono ai piedi di Giuseppe Graviano.

E tutti, in un preciso periodo, gravitano su Omegna. È la loro tana.

La villa del generale

Ricapitoliamo. Il gelataio offriva latitanza ai Graviano e intanto aveva notizie riservatissime su Balduccio Di Maggio, su Giovanni Drago e su Fabio Tranchina. Sarà fumoso, sarà truffaldo come qualcuno lo descrive, sarà inattendibile come viene dipinto, ma Baiardo è un personaggio che indiscutibilmente sa. E che continua a camminare libero per l'Italia mandando avvertimenti a destra e a manca.

Dà l'idea di essere quasi un intoccabile, o comunque protetto da qualcuno. Non c'è solo Omegna fra il lago d'Orta e il lago Maggiore.

Baiardo aveva la sua gelateria lì ma la residenza ufficiale a Lesa, proprio sulle sponde piemontesi del lago Maggiore. Scendendo dalla statale del Sempione ci vogliono sette chilometri e poco meno di dieci minuti per arrivare da Lesa a Meina, poco più di duemila anime, un susseguirsi di parchi e di ville.

Chi era il proprietario di una di queste dimore negli anni dopo le stragi? Il generale Francesco Delfino, carabiniere di origini calabresi, coinvolto in faccende non proprio limpide e soprattutto quell'ufficiale a cui si rivolge Balduccio Di Maggio per incastrare Totò Riina.

Sarà di sicuro una coincidenza (un'altra) ma in quel fazzoletto di terra fra i due laghi è successo di tutto. Anche la vicenda di Balduccio Di Maggio, arrestato "casualmente" a Borgomanero è dentro i confini enigmatici di questo teatrino siciliano andato in scena in Piemonte.

Borgomanero è poco più sotto di Omegna e di Meina, ed è veramente insolito che un boss di San Giuseppe Jato si sia fatto prendere lassù dai carabinieri e che poi abbia chiesto «di parlare con l'ufficiale più alto in grado in Piemonte». Che, coincidenza vuole, era il generale di brigata Francesco Delfino.

I pezzi mancanti

C'è puzza di combine, di giochi fatti a tavolino. Rimettere al loro posto i pezzi mancanti della storia non è facile, per il tempo passato e per la vischiosità dei protagonisti. E chissà che altro è accaduto fra quei due laghi, che non ci è ancora dato sapere. Anche su episodi a prima vista forse secondari o forse no, come quelli ripescati in una vecchia informativa di polizia.

Siamo nell'ottobre del 1993 e i poliziotti della Stradale di Novara trovano in un tombino di Arona, sul lago Maggiore, la targa di un'auto accartocciata e portata in superficie dalla pioggia.

La targa è "PA 831763", dai primi accertamenti risulta appartenere a una Fiat Croma di proprietà di Rosa Vernengo, una donna palermitana che però non è una donna qualunque ma è nipote di Pietro Vernengo, boss di Sant'Erasmo. Rosa è anche la prima moglie di Francesco Marino Mannoia, il chimico della mafia che poi fa la sua cantata con il giudice Falcone.

La targa nel tombino

I poliziotti della stradale ipotizzano che quella targa sarebbe stata occultata nel tombino qualche mese prima. Segnalano la scoperta agli investigatori del servizio centrale operativo della polizia, s'incrociano le informazioni.

E si scopre che in zona, ad Arona, era stato avvistato Michele Traina, un palermitano nella cui officina si erano precipitati i boss Giovanni Brusca e Leoluca Bagarella subito dopo l'arresto di Totò Riina.

Si scopre che l'auto targata "PA 831763" era guidata qualche anno prima da due pregiudicati siciliani, uno dei quali aveva preso una multa «in località Meina», a un passo dalla villa del generale Delfino. E che l'altro abitava ad Omegna. Si scopre pure che l'auto era stata acquistata a San Giuseppe Jato, lo stesso paese di Balduccio Di Maggio. Ce n'è abbastanza per parlare di misteri fra due laghi.

Attilio Bolzoni

Domani.it, 19/2/2023

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