sabato, febbraio 11, 2023

Sicilia, la vergogna dei deputati regionali che si aumentano di 890 euro al mese i loro già lauti stipendi


L’emendamento «riparatore» annunciato in pompa magna è arrivato sui dorati scranni di sala d’Ercole un po’ dopo le 3 di notte, insieme a quelli che stanziano contributi per il festival dei fuochi d’artificio e per i carnevali. Ma a differenza di questi è stato bocciato. Così, nella notte e col sistema del voto segreto, ca va sans dire, i 70 onorevoli hanno salvato gli aumenti di stipendio da 890 euro al mese che si erano concessi appena martedì scorso. 

L’aumento è scattato senza tanto clamore, inserito in una voce del bilancio interno dell’Ars che è cresciuta da 10 milioni e 450 mila euro a 11,2 milioni: i 750 mila euro in più sono la copertura assicurata a un incremento in busta paga che serve a compensare l’inflazione galoppante. Una misura anticrisi (per i deputati, of course) decisa nel 2014 in contemporanea a un taglio di stipendio che così si ammorbidisce di anno in anno recependo automaticamente l’indice Istat. 

È così che, senza un solo voto contrario, è maturato martedì l’aumento da 890 euro al mese, cioè 10.700 euro all’anno, per ciascun deputato. Ed è così che è scoppiato lo scandalo, amplificato dall’indignazione generale fuori dal Parlamento. Segnali di insofferenza che il quartier generale di Fratelli d’Italia a Roma aveva fiutato giovedì mattina, al punto da dare l’input al presidente dell’Ars Gaetano Galvagno, punta istituzionale del partito nell’Isola, di fare rumorosamente marcia indietro.

E la marcia indietro doveva scattare poco dopo le 3 di notte di giovedì. Ma da qui in poi è andato in scena un gioco delle parti che ha visto tutti i protagonisti urlare in pubblico e tramare sotto traccia. 

Ha iniziato Cateno De Luca, ormai ex rivoluzionario: ha perfino bruciato sul tempo Fratelli d’Italia presentando l’emendamento alla Finanziaria che doveva cancellare gli aumenti di stipendio. Salvo poi non votarlo. Il report ufficiale dei presenti in aula diffuso dall’Ars indica che degli 8 deputati del vulcanico De Luca non hanno votato in 7, usciti dall’aula e risultati assenti: Ismaele La Vardera, Ludovico Balsamo, Alessandro De Leo, Salvatore Geraci, Giuseppe Lombardo, Matteo Sciotto e Davide Vasta. 

I grillini danno per scontato che De Luca sapesse che sul suo emendamento sarebbe stato chiesto il voto segreto. Cosa puntualmente avvenuta. Lo hanno chiesto, facilitando il gioco dei franchi tiratori difensori degli aumenti, gli autonomisti Giuseppe Carta e Giuseppe Castiglione, i forzisti Nicola D’Agostino, Michele Mancuso, Gianfranco Micciché e Gaspare Vitrano e il leghista assessore regionale Mimmo Turano. 

A quel punto la difesa di quell’aumento da 890 euro al mese è stata un gioco da ragazzi. Tanto più che il dibattito che ha preceduto la votazione aveva già messo in mostra che Forza Italia non avrebbe votato il taglio. Miccichè ha difeso così gli aumenti: «Con l'indennità da parlamentare arrivo a fine mese e chiedo scusa a chi purtroppo non ci arriva. Ma non ho ville, non ho yacht e non rubo, si è montato un polverone su un automatismo. Avrei evitato di chiedere il voto segreto, purtroppo però in quest'aula ci sono colleghi che hanno paura della demagogia». Anche il Pd aveva espresso riserve (malgrado gli annunci ufficiali a sostegno del taglio): per Antonello Cracolici «questo Parlamento subisce attacchi ingiustificati per un automatismo previsto dalla legge e fatto anche in Lazio, Trentino e Sardegna. Sono un uomo libero e non mi vergogno di dire che sono contro l'abolizione della norma». Apertamente contrari l’assessore Roberto Di Mauro (Mpa), i leghisti e il capogruppo della Dc Carmelo Pace.

Il report ufficiale dice che a votare a favore del taglio sono stati in 24. E a Giusy Savarino è stato facile calcolare che sono stati i 13 di FdI e gli 11 grillini. Anche se pure Valentina Chinnici del Pd ha detto «di aver votato convintamente per l’abolizione dell’aumento». Il fronte trasversale di chi ha voluto salvare gli aumenti ha avuto la meglio per appena 5 voti. E secondo il report a non aver votato né in un senso né nell’altro sono stati la leghista Marianna Caronia, Francesco Ferrara (FdI), Riccardo Gennuso, Bernadette Grasso e Margherita La Rocca di Forza Italia, Serafina Marchetta (Dc). Non ha votato neppure il presidente Schifani, in quel momento fuori dall’aula.

Galvagno lascia intendere che ci riproverà con un disegno di legge autonomo. E la stessa cosa annuncia, di nuovo in modo roboante, Cateno De Luca. Sempre consapevole che si voterebbe ancora col sistema segreto.

Così il Parlamento più antico d’Europa ha salvato gli aumenti. Erano già le 4,30 di mattino. E i deputati, chiusa la fastidiosa parentesi stipendi e certi di aver salvato «l’autonomia dell’Ars», si sono rituffati nel voto delle ultime centinaia di emendamenti alla Finanziaria senza rinunciare a concedere contributi per milioni che dovrebbero riempire Comuni piccoli e grandi (e collegi elettorali) di festival, sagre, campi sportivi e qui e lì qualche chiesa. L’alba è arrivata così, con una pioggia di contributi e gli aumenti di stipendi ormai salvi.

Giacinto Pipitone

GdS, 11 febbraio 2023

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