sabato, febbraio 04, 2023

La presentazione del libro “La rosa dei venti” di Benedetta Marcianti. Maria Monica Di Rosa: “Sono pagine pregne della sua sensibilità di cittadina, di docente, di madre, di donna”

L’intervento della prof.ssa Maria Monica Di Rosa

MARIA MONICA DI ROSA
 docente I.I.S.S. Don G. Colletto Corleone

È per me un onore ed una grande emozione contribuire, questa sera, alla presentazione del libro della professoressa Marcianti, la mia docente di greco al Liceo.

Quando ho iniziato a leggere il suo libro, sentivo che in esso avrei trovato, avrei riscoperto e sentito viva, la personalità forte e dolce ad un tempo dell’autrice. Ero cioè sicura che tra quelle pagine, sarei stata condotta dall’autrice nella sua anima, nel suo mondo valoriale, fatto di rigore morale, severità di giudizio, ma anche di capacità di comprensione umana e di immedesimazione e non sono stata delusa.

Perché l’autrice restituisce ai lettori una rappresentazione schietta e senza fronzoli del suo modo di percepire la realtà, e già tra le prime pagine del testo emerge la personalità di una docente che ha svolto la sua professione con la stessa passione che aveva anche quando era lei ad imparare, e sentiva come un privilegio quello di andare a scuola per apprendere ogni giorno qualcosa di nuovo, e altresì viveva come un’opportunità mancata un giorno di assenza. Sono certa che alle generazioni di studenti che lei ha formato, è rimasta dentro quella medesima piacevole sensazione di apprendere insieme, di crescere ogni giorno arricchendoci e sapendo di condividere una fase meravigliosa e gioiosa della nostra vita.

Nel testo, ai giorni scanditi quasi ad uno ad uno, si intrecciano i ricordi e le riflessioni di una donna colta, garbata, che ha fatto sua quella humanitas che proprio lei insegnava a noi studenti: il senso altissimo della dignità propria e degli altri; il valore interiorizzato del bene collettivo, per il quale si deve sacrificare l’interesse egoistico individuale; la cura verso gli altri, ma soprattutto, a mio parere, emerge dalle pagine del libro, quel sentire come vitale il valore del ricordo, che genera il dolce piacere di custodire nell’anima i momenti più delicati, più intensi della propria vita familiare, ma nel contempo il ricordo ammonisce per il futuro, mantiene desta la capacità di indignarsi e di reagire alle umane brutture: e perciò l’autrice tiene stretti al cuore e alla ragione, non solo i momenti della propria vita privata,  ma anche quelli che poi sono divenuti sequenze o frammenti di una memoria collettiva, intrisa di dolore.

Ed ecco che, nelle prime pagine, rimango travolta e quasi sopraffatta dal primo ricordo, che era rimasto sepolto nel cuore, un ricordo intenso e pungente: papa Francesco che, in piena emergenza Covid, celebra la messa in una piazza San Pietro desolatamente vuota, in una giornata piovosa e noi, poveri umani, sotto questo cielo, nelle nostre abitazioni, che preghiamo con lui, impauriti e bisognosi  di speranza.

La nostra autrice  ci fa ripercorrere le tappe dolorose della pandemia, filtrate dalla lente della sua coscienza civica e morale: da cui deriva l’indignazione per i cittadini non rispettosi delle regole imposte per tutelare la salute pubblica, i furbetti; da cui deriva la contemplazione stupefatta, ed intrisa di profondo dolore, di quella fila di camion militari che trasportavano le bare dei morti per Covid; ed il pensiero sempre costante rivolto a quegli anziani travolti dalla malattia e morti nella solitudine; ai nonni tanto preziosi e così poco tutelati dalla tempesta della pandemia.

La quotidianità e la riflessione su di essa sono generate da precise circostanze di tempo, che ne delimitano l’arco temporale: l’avvio è dato dal tempo della pandemia, che incide profondamente sullo stato d’animo, che segna in modo indelebile la coscienza e i sentimenti, e la conclusione di questo arco temporale è il tempo della guerra in Ucraina, che genera nella scrittrice un amaro stupore, una desolante tristezza che quasi la lascia senza parole.

In un’opera in cui si intrecciano continuamente il microcosmo familiare, intimo, dell’autrice con il macrocosmo della storia recente dello stato italiano e, lasciatemi dire, del popolo italiano,  ogni elemento del reale, è filtrato dall’intelligenza e dalla sensibilità di Bettina, la quale intreccia alle sue riflessioni, le parole degli autori latini e greci da lei amati, da lei percepiti come anime affini: Seneca, Cicerone, Orazio; il suo è un inesauribile e costante dialogo di una donna moderna con gli uomini antichi, vissuto con il desiderio di indagare sulle profonde e ataviche ragioni dell’agire umano, che forse è sempre lo stesso, ieri come oggi.

E così, quando si giunge al tempo recente della guerra in Ucraina, la nostra scrittrice fa sua una frase di Tacito, tratta dall’Agricola, che svela come alla violenza crudele della guerra l’uomo abbia sempre legato quella che Sciascia, nell’opera Il consiglio d’Egitto, chiama impostura, la menzogna e la mistificazione della realtà operata dalle parole: “Rubano, massacrano, rapinano (…) e dove fanno il deserto, dicono che è la pace”.

Ma poco prima ho parlato anche del piacere di custodire i ricordi: Leopardi sosteneva che i piaceri del sentimento consistono nella rimembranza, tanto più quando essa addolora dolcemente, e così la rimembranza genera tutto ciò che è poetico.

La rosa dei venti è impreziosito da tutti i ricordi personali dell’autrice, dei luoghi a lei sempre cari, e dei familiari sempre sentiti come vicini, anche questa affettuosa rimembranza genera quella poesia del quotidiano che sentiamo a noi così vicina: i ricordi colmi d’affetto del suo paese nativo, Giuliana, con la sua piazza e la sua caratteristica palma; ricordi del padre, della festa di San Giuseppe e del pranzo accuratamente preparato e della carissima mamma, sulla spalla della quale lei vorrebbe ancora la testa e sentirne la voce; fino a giungere al ricordo struggente di due sorelle che, finalmente, dopo l’emergenza, si guardano da vicino e, in silenzio, piangono. Non posso non citare infine dei ricordi dolci, nel senso letterale del termine! Perché ripensare alla festa del Corpus domini a Corleone significa avere negli occhi e nel cuore i colori e il gusto della cubaita in bella mostra sulle bancarelle!Oppure la frutta Martorana e i pupi di zucchero dei nostri cari a Novembre: quello zucchero, oltre che nei denti, è impresso nei nostri ricordi di infanzia, che riviviamo insieme con l’autrice.

Il piacere di leggere questo libro deriva proprio da questo:

attraverso una scrittura che è insieme fonte di chiarificazione interiore e mezzo di ricerca di senso della vita umana, la voce narrante delicata, malinconica, severa ma anche spiritosa di Bettina, ci accompagna nei giorni; ed ogni data, ogni giorno è un sentimento nuovo, oppure qualcosa che avevamo riposto nei cassetti della memoria e che riaffiora ai nostri sensi con vigore.

Cara Bettina, concludo dicendoti che ci auguriamo che a La rosa dei venti facciano seguito altre pagine pregne della tua sensibilità, di cittadina, di docente, di madre, di donna.

Maria Monica Di Rosa

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