sabato, febbraio 04, 2023

La presentazione del libro “La rosa dei venti” di Benedetta Marcianti. Angela Pizzitola: “La storia, ribadisce l’autrice, è grande maestra ma purtroppo ha trovato alunni disattenti e svogliati”

L’intervento di Angela Pizzitola 

ANGELA PIZZITOLA
- già docente I.I.S.S. don G. Colletto - Corleone 

Umberto Saba  in un suo articolo scritto per la rivista “La Voce”, ma pubblicato dopo, nel 1959, affermava che la poesia è il frutto dell’emozione che nasce spontanea dalla vita vissuta, dalle esperienze e dai ricordi, dalle occasioni apparentemente banali, dal “buon senso o dal “senso pratico”, non per attirare le masse, ma per fare chiarezza per sé e per gli altri.

Letto in quest’ottica, La Rosa Dei Venti, si presenta come un affresco su cui si stagliano in un continuo succedersi immagini, ricordi, figure, personaggi, accomunati non solo dal fluire della vita ma soprattutto dalla sensibilità dell’autrice che ne coglie gli aspetti salienti quali riflessi su di sé e sulla sua esistenza. Altro che “bazzecole” come lei le definisce nella conclusione.

E, se non può definirsi un romanzo nel senso tradizionale del termine, lo diventa nella misura in cui  il personaggio principale, la vita, nasce e scorre dentro l’autrice che di volta in volta riannoda le fila di quella avventura meravigliosa, alla luce di coordinate costanti, frutto della sua formazione e della sua emotività. Ed è proprio il coraggio di dar voce alle proprie emozioni, cosa per niente facile e scontata, che permette al lettore di sentirsi coinvolto ed interpellato in una sorta di personale riflessione che gli fa dire ”che fosse così non ci avevo mai pensato, ma, guarda è proprio così”; intervento questo non indifferente, specie se si considera la fretta e, perdonatemi, la superficialità con cui talvolta affrontiamo l’esistenza; per cui  ogni disagio, ogni dolore, ogni sofferenza, ogni ansia diventano anche versi di una “poesia  ricercatrice di verità”, di dolore ma anche di amore. In tal senso la scrittura che l’autrice definisce terapeutica per sé, diventa terapeutica anche per il lettore che  esorcizza la negatività, riappropriandosi di un suo vissuto emozionale, talvolta ignorato, volutamente o no, e “La Rosa dei Venti” può essere l’ubi consistam, il punto di riferimento per comporre in una sorta di calma interiore il contrastare delle passioni, dei venti, appunto. L’occasione fornita dalla pandemia prima, e dalla guerra poi, attraversa come un filo rosso tutto l’evolversi dell’opera in un alternarsi di notizie filtrate dalla riflessone e di ricordi di tempi migliori volti a placare l’urgenza di un presente insicuro e a volte angosciante. Bastano vecchie foto di famiglia per rivedere un passato, forse più felice, anche nella semplicità e nell’ingenuità dei giudizi, o per rivivere la spensieratezza  e la gioia della tavolate di san Giuseppe, delle tradizioni paesane o della vita  allora forse monotona, ora rimpianta con nostalgia, del piccolo paese con le sue comuni abitudini ed i suoi indimenticabili profumi. E quando non appagano abbastanza i ricordi personali e familiari, subentra in tutta la sua grandezza il mondo classico con i suoi eroi, i suoi poeti, le sue tragiche storie, le sua allegorie e le sue immagini. Il Papa, nella solitudine di una piazza deserta e nella sacralità della sua persona, gravata dal peso dell’umana sofferenza, sembra accomunarsi  ad un eroe della tragedia classica e le numerose immagini delle navi sbattute dal vento e dalla tempesta quali emergono dalla letteratura latina e greca, sembrano ricalcare quella della nave del Vangelo proclamato nel silenzio assordante di quel pomeriggio piovoso. Stessa solitudine e stessa altezza morale del Presidente della Repubblica che, da solo, sale all’altare della patria; ma qui è il ricordo della Resistenza e l’orgoglio di una Italia risorta dalle macerie del fascismo e della guerra, che confortano e suggeriscono parole di speranza; perché nelle riflessioni e nei pensieri che di volta in volta costituiscono l’opera, non prevale mai l’abbandono, la disperazione, l’angosciante tristezza che gli eventi portano con sé, ma si intravede sempre una luce, una speranza un input positivo che uniscono passato e presente in un binomio costruttivo di nostalgica serenità. Se pure non viene mai  negata la fragilità della condizione umana, la consapevolezza del limite, l’impotenza  dell’uomo di fronte alla forza degli eventi naturali, si coglie in ogni affermazione il coraggio della verità, la forza di non cedere all’illusione nella certezza di una fede non solo religiosa ma anche profondamente laica. Le frequenti citazioni del Vangelo che, danno un senso ed una risposta agli interrogativi che gli eventi pongono, testimoniano una fede vissuta, una formazione profondamente cristiana che, al di là di riti e formule standardizzate, riconosce la vera portata rivoluzionaria del Cristianesimo, nella sua forza inclusiva ed universale, sulla scia del Magistero di Papa Francesco. Quale sarà il miglior Natale?, si chiede l’autrice  nella ricorrenza del dicembre 2021. Non saranno certo le immagini di addobbi, di luci coreografiche stile americano, di  decorazioni varie  o  della pubblicità di panettoni più o meno elaborati o gustosi, immagini che stridono con i barconi nel Mediterraneo o l’infinita tristezza dei bambini della Bielorussia che non hanno neppure una capanna per ripararsi dal freddo. Della festa resterà il vuoto nell’anima, dalla povertà della capanna di Betlemme un messaggio di speranza per tutti gli uomini, nessuno escluso, nella certezza che da quella capanna inizia la salvezza per tutta l’umanità, non solo per quelli che fanno i presepi nelle scuole o per quelli che, in nome dell’inclusione, vorrebbero  vietarli, ma soprattutto  per quelli che, pur non conoscendo luci e presepi, soffrono  privazioni, pene, torture, fame e morte. Episodi e figura tratti dal Vangelo vengono opportunamente posti come punti di riferimento per il comportamento e l’essere quotidiano. Che dire del ricordo del samaritano, esempio e testimonianza di carità fraterna, o del rapporto tra Marta e Maria, quale riflessione sull’importanza dell’ascolto di sé e degli altri contro la frenesia dell’azione ad ogni costo spesso frustrante e fine a se stessa. La speranza che viene dalla fede si coniuga spesso con la stima, l’apprezzamento, la testimonianza e le conseguenti emozioni che suscitano l’impegno di quanti, sfidando contagi e pericoli, si prodigano per portare sostegno, aiuto economico e morale a chi si trova nella difficoltà e nel bisogno, a partire dai francescani di Assisi, alla missione di Biagio Conte.  

Solidarietà, tolleranza, capacità di dialogo e di ascolto, cura dell’altro, empatia, valori fondamentali delle relazioni umane, costituiscono quella fede laica che, nonostante tutto, illumina un quotidiano stretto nella morsa del contagio prima e della guerra poi. La speranza che alla fine della pandemia saremo migliori e godremo della raggiunta normalità con altro animo, con altro spirito e con valori altri, viene emotivamente superata dall’empatia dell’autrice nei confronti di quanti, vittime della guerra, sono costretti ad abbandonare le loro case e la loro terra. L’empatia, seppur vissuta a livello onirico, lascia lacrime vere, sofferenza condivisa ed emozioni indescrivibili. Per chi è abituato ad una vita normale, anche fatta di semplici cose e comodità, il suono di una sirena, di un allarme antiaereo è il risveglio più terribile che si possa immaginare. 

Cosa metto in valigia, si chiede l’autrice? Poche cose importanti, vitali, forse necessarie per continuare a sopravvivere che, però, occupano lo spazio disponibile; un ultimo sguardo alla casa e agli oggetti che hanno assorbito le cure quotidiane, immagini da imprimere nella memoria come ricordi perenni, e via. Il sogno è svanito per l’autrice ma la realtà è rimasta per i tanti che hanno vissuto, purtroppo non in sogno, quel trauma e la condivisione si esprime con le lacrime e con la sofferta immedesimazione nella loro dolorosa condizione. La guerra, seguita quasi quotidianamente dall’autrice con riflessioni a volte sofferte a volte più speranzose, quando si potevano intravedere piccoli barlumi di negoziati, viene vissuta in tutta la sua drammaticità: dalla pena per i bambini accolti all’ospedale “Bambin Gesù” di Roma, alla commozione del risuonare di note musicali nelle città assediate, quali flebili voci per mantenere il senso della vita di fronte alla devastazione e alla morte. Il rapporto passato–presente, proprio sulla guerra, si fa più chiaro e più significativo. La guerra di oggi richiama tante altre guerre che hanno distrutto città e popoli, a partire dalla guerra di Troia fino alla terribile Seconda Guerra Mondiale, alla Resistenza e all’olocausto, le cui emozioni, ancora vive nell’autrice, si dispiegano, non solo nelle ricorrenze dell’anniversario, ma anche nelle immagini impresse nel cuore e negli occhi, conseguenti la visita al campo di sterminio di Auschwitz. La cultura e la letteratura classica posseduta, assimilata e digerita dall’autrice, costituiscono una costante che permette di recuperare il passato quale condizione necessaria per la comprensione del presente e di evitare una visione del mondo appiattita sul presente. La storia, ribadisce ancora l’autrice, è grande maestra ma purtroppo ha trovato alunni disattenti e svogliati. I continui e sapienti richiami al mondo greco e latino, lungi dall’essere ricerca di erudizione o di curiosità, confermano e storicizzano le emozioni, le esigenze e le attese dell’uomo di oggi come quelle dell’uomo di ogni tempo: dall’espediente delle donne protagoniste delle commedie di Aristofane per imporre la pace e far cessare la guerra, alle innumerevoli citazioni senecane sul valore del tempo e sull’importanza di viverlo bene, ricercando dentro di sé la serenità e l’equilibrio necessario. Ed è proprio la presenza di tanti richiami letterari che attenua l’urgenza e spesso lo scoraggiamento di fronte ai tanti spesso inspiegabili fatti di cronaca. Come tacere dell’attualità del mito di Medea di fronte a tanti bambini vittime innocenti di vendette trasversali che, se lasciano il cuore sanguinante per gli efferati delitti, aggiungono interrogativi e responsabilità che interpellano tutta la società. Ovviamente i temi e le conseguenti riflessioni sul presente sono moltissimi, frutto dell’attenta osservazione quotidiana dell’autrice; dal tema dell’inquinamento che si staglia sull’orizzonte della mitologia anche eziologica, contrapponendo la sacralità dei fiumi per gli antichi alla distruzione dell’ambiente propria della moderna cultura consumistica,  a quello della scuola di  cui , da , addetta ai lavori, l’autrice parla con grande esperienza e competenza.

Mi piace però sottolineare che in tutto questo non c’è la nostalgia temporis acti, di chi contrappone il passato tutto bello, quasi un’età dell’oro ad un presente tutto negativo ed ormai irrecuperabile; c’è, a mio avviso, il desiderio di una donna di oggi di vedere realizzati, almeno nelle relazioni sociali, taluni valori classici e quindi umani, quali la pace, il rispetto dell’ambiente e della persona la cui dignità non dovrebbe essere in nessun modo negoziabile, e perché no, la normalità di una nuova saggezza che porti al recupero dell’essenziale e dell’indispensabile, contro il superfluo ed il vacuo, “spostare il baricentro dall’io al noi” come afferma l’autrice in una sua riflessione. Non nostalgia del passato, quindi, ma speranza per il futuro. E anche quando leggiamo talune denunce di inadempienze o corruzioni, prediamo atto che l’autrice tiene un tono garbato e contenuto, lontano da polemiche o sterili colpevolizzazioni. Non mancano  poi nel corso dell’opera alcuni punti più leggeri e spesso di fine umorismo: dalle citazioni tra le righe, agli aneddoti di cui ha ricordi piacevoli legati al piccolo paese natale, la cui caratteristica è coglibile in spunti e memorie anche sottesi. Nella lettura mi è capitato di sorridere ma anche di ridere di cuore trovando occasioni di relax e di riposo. I lettori sicuramenti troveranno molto di più e gusteranno di volta in volta il piacere di una lettura agile, lineare, chiara priva di inutile retorica ma ricca di tanta umanità. E sicuramente vi troveranno, come è stato per me, il segno di quella poesia “onesta” che come diceva Saba, da un lato guarda alle cose belle o meno belle della quotidianità e dell’altro al dolore, alla pietà verso chi soffre. E se non è facile immergere l’io nella vita di tutti giorni, rimane l’aspirazione propria dell’uomo all’amore. “La Rosa Dei Venti” aiuterà il lettore a recuperare nel suo vissuto e nelle sue relazioni il senso dell’esistenza, rapportato ai suoi interessi e alle sue esigenze, grazie alla complessità,  alla varietà e alla ricchezza delle tematiche.  

Un grazie all’autrice per averci fatto dono di questa possibilità. No, cara Bettina, non hai fallito come dici nella “fine servizi”, hai reso invece un servizio utile e meritorio sperando che anche una sola persona abbia il coraggio di non voltarsi dall’altra parte.

Angela Pizzitola 

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