domenica, luglio 17, 2022

IL PERSONAGGIO. Antonio Balsamo: “Commissioni d’inchiesta per la verità sulle stragi”

Il giudice Antonio Balsamo, presidente del tribunale di Palermo (foto Igor Petyx) 




di Salvo Palazzolo

Gli studi con Di Matteo i primi giorni al palazzo di giustizia con Di Lello e Borsellino, i silenzi sul 1992: parla il presidente del tribunale di Palermo

In questi giorni di gran caldo, Antonio Balsamo, presidente del tribunale di Palermo da quasi un anno, ha ricordato quando studiava per prepararsi al concorso in magistratura: «Con Nino Di Matteo passavamo intere giornate a ripetere diritto penale e diritto amministrativo, nella sua casa di Santa Flavia. – racconta – Anche l’estate del 1990 fu molto calda». 

C’era spazio per un bagno, ogni tanto? 

«No, il nostro era un impegno esclusivo. Era appena stato approvato il codice di procedura penale e mentre studiavamo ci raggiunse la notizia dell’uccisione di Rosario Livatino. Un evento che ha segnato tutta una generazione di magistrati, quella dei “ragazzi del 1991”, della quale facevano parte Roberta Serio, Lia Sava e Roberto Conti». 

Che idea avevate allora della figura del magistrato? 

«Nelle nostre discussioni emergevano soprattutto due caratteristiche che ritenevamo importanti: l’umiltà e il coraggio». 

Quando arrivaste al palazzo di giustizia di Palermo come uditori? 

«Era il 3 settembre 1991. Nel primo giorno di tirocinio venni affidato subito a Peppino Di Lello, allora gip, che ci fece una lezione indimenticabile sull’importanza del rispetto assoluto dei diritti umani da parte dello Stato anche nei momenti più drammatici della violenza mafiosa. Mentre facevamo il tirocinio, presidente dell’associazione nazionale magistrati di Palermo era Paolo Borsellino: lo ricordo attivissimo e sempre disponibile con i colleghi più giovani. Anche l’ultimo arrivato sentiva di essere entrato in una società di uguali. Tema di grande attualità per la magistratura che purtroppo sembra andare verso una verticalizzazione». 

Che situazione ha trovato al tribunale di Palermo al momento del suo insediamento? 

«Sapevo già di bravissimi colleghi che operano in questo palazzo di giustizia, ma le carenze di organico del tribunale restano pesanti: manca oltre il 13 per cento dei giudici». 

Quanto incide questa scopertura di organico nelle attività di ogni giorno? 

«Il Pnrr chiede al sistema giustizia di smaltire l’arretrato e di ridurre i tempi di celebrazione dei processi. Ma come possiamo raggiungere questi obiettivi senza i giudici necessari?» 

Perché non si riesce a coprire un vuoto in organico così pesante? 

«Io credo che se il Csm mettesse a concorso questi posti, colleghi da tutta Italia farebbero domanda per venire a lavorare a Palermo. 

Nell’ultimo bando, alcuni mesi fa, era stata chiesta la disponibilità per due posti: hanno fatto domanda in 17. Credo che allora il Csm dovrebbe dare al più presto un segnale chiaro per Palermo, qui si continua giocare una partita fondamentale per il Paese: come diceva Paolo Borsellino, garantire i diritti di tutti è essenziale per impedire che la mafia possa operare come un’ istituzione parallela e alternativa allo Stato». 

Nei tribunali sono appena arrivati i componenti dell’ufficio del processo: sono un aiuto importante al lavoro dei giudici? 

«A Palermo ne sono arrivati 155. Sono davvero una risorsa importante, sulla scia di quanto si fa in Europa: la giustizia deve essere sempre frutto di un lavoro di squadra». 

Questo nuovo percorso potrebbe far recuperare quello spirito di partecipazione e condivisione all’interno della magistratura? 

«L’esperienza dei gruppi di lavoro formati da magistrati di diversi ambiti è davvero preziosa: uno di quelli che ho istituito si sta occupando di rendere disponibili elementi oggettivi per la scelta dei collaboratori dei giudici, dagli amministratori giudiziari ai consulenti». 

Anche questo è un tema di grande attualità dopo lo scandalo Saguto. 

«Abbiamo dei criteri negativi. Ad esempio, non si possono dare più di tre incarichi. Per il resto, non ci sono indicazioni. Ebbene, il gruppo di lavoro sta lavorando con gli ordini professionali alla realizzazione di registri elettronici in cui ognuno potrà inserire i propri dati, le competenze e i risultati ottenuti. In modo che poi la scelta sia più facile». 

Ha pubblicato un libro, “Mafia, fare memoria per combatterla”, in cui ripercorre temi importanti affrontati nel corso della sua carriera: come giudice del tribunale di Palermo si è occupato di mafia e appalti, del processo Andreotti e dell’omicidio Francese. Come presidente della corte d’assise di Caltanissetta, ha celebrato i processi Borsellino quater e Capaci bis. Nel suo libro parla del diritto alla verità. 

«Ogni anno, il 24 marzo, si celebra presso l’Onu la giornata internazionale per il diritto alla verità sulle gravi violazioni dei diritti umani e per la dignità delle vittime. Il diritto alla verità negli ultimi decenni, ha trovato un preciso riconoscimento da parte della Corte interamericana dei diritti umani e della Corte europea dei diritti dell’uomo, che ne hanno attribuito la titolarità non solo alle vittime e ai loro familiari, ma anche alla collettività nel suo insieme. Se l’Italia decidesse di celebrare la giornata per il diritto alla verità, credo che il luogo giusto per farlo sarebbe sicuramente Palermo». 

Ma, ancora, la verità non c’è su tanti episodi drammatici della nostra storia. Come fare per raggiungerla? 

«Tutelare il diritto alla verità vuol dire chiedere in modo solenne un impegno a tutte le istituzioni dello Stato. Per cercarla quella verità, senza compromessi e senza rassegnazione». 

Invece, ancora oggi, le resistenze maggiori al raggiungimento della verità sulle stragi del 1992 arrivano proprio da silenzi e complicità all’interno delle istituzioni. Che fare?

«Non bisogna rassegnarsi alla verità di comodo e bisogna continuare a cercare. Da un processo importante come quello che si è concluso a Bologna, per la strage alla stazione, sono emersi ad esempio intrecci fra destra eversiva e mafia che riprendono le indagini di Giovanni Falcone sul delitto del presidente Piersanti Mattarella». 

Queste verità potranno essere trovate in un’aula di giustizia? 

«La magistratura continuerà a fare la sua parte. Ma credo che un contributo importante potrebbe venire anche dalle commissioni parlamentari d’inchiesta: l’esperienza messa in campo negli anni ’70 da Terranova e La Torre costituisce ancora oggi un modello da imitare». 

Intanto, come si può iniziare a ribadire il diritto alla verità? 

«Costruendo efficaci percorsi di giustizia riparativa, un’esperienza che sin dall’inizio è stata legata all’impegno collettivo per una piena ricostruzione dei periodi storici più drammatici, e che può oggi attuarsi anche con strumenti nuovi. Qui a Palermo abbiamo rivitalizzato il Consiglio di aiuto sociale, un organismo previsto da una legge del 1975, formato da rappresentanti delle istituzioni, della Chiesa e del volontariato. Ha l’obiettivo di fare reinserire i detenuti nel mondo del lavoro. Diritto alla verità e diritto alla speranza possono rafforzarsi a vicenda. Ci stiamo provando con l’aiuto di Cgil, Lega Coop, Confcommercio, Camera di Commercio, e altre forze sociali». 

La Corte europea per i diritti dell’uomo ha ribadito il diritto alla speranza anche per gli autori di reati gravi. A breve, potremmo vedere in permesso premio anche i mafiosi condannati per le stragi? 

«Non credo. La legge all’esame del Parlamento ha previsto dei paletti ben precisi proprio per evitare di indebolire il sistema delle norme antimafia. Occorre, anzitutto, che l’interessato alleghi elementi specifici che consentano di escludere l’attualità di collegamenti con la criminalità organizzata, è necessario poi che il giudice di sorveglianza accerti la sussistenza di iniziative a favore delle vittime, sia nelle forme risarcitorie sia in quelle della giustizia riparativa». 

Nella sua stanza ha fatto sistemare la scrivania di Rocco Chinnici. Perché? 

«Era un grande magistrato che sapeva dire no a certe richieste che arrivavano dalla cosiddetta Palermo bene. La scrivania resta un simbolo». 

La Repubblica Palermo, 17/7/2022

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