martedì, luglio 19, 2022

L’ANNIVERSARIO A PALERMO PER LA STRAGE DI VIA D’AMELIO. L’accusa dei Borsellino alle istituzioni: “Senza giustizia, nessuna passerella”


La famiglia del magistrato ucciso sceglie il silenzio e si sottrae alle manifestazioni ufficiali di oggi: “Troppe ombre su quella vicenda” Il fratello Salvatore: “La lotta alla mafia non fa più parte dell’agenda politica”. La protesta degli studenti davanti al Comune

di Alessia Candito

PALERMO — Un silenzio che rimbomba come un urlo. In tutta Italia, manifestazioni, dibattiti, iniziative per ricordare la strage di via D’Amelio si contano per decine. Ma la famiglia del giudice Paolo Borsellino, polverizzato da un’autobomba insieme agli agenti della scorta alle 16.58 del 19 luglio del ‘92, sceglie il silenzio, diserta le iniziative, si sottrae alle cerimonie ufficiali di oggi. 

Perché tre decenni dopo una verità non c’è, nessuno ha ancora spiegato perché nei 57 giorni che separano la strage di Capaci da quella di via D’Amelio il giudice non sia mai stato davvero protetto, ma soprattutto perché ogni tentativo di individuare chi quel massacro lo ha voluto o permesso sia naufragato. «I familiari sentono il dovere di tutelare quei nipoti che non hanno conosciuto Paolo Borsellino e ne hanno sentito parlare solo in relazione alla strage », dice l’avvocato Fabio Trizzino, marito di Lucia, una delle figlie del giudice, che per lei e i fratelli Manfredi e Fiammetta ha battagliato in aula a Caltanissetta. L’ultimo processo sui depistaggi che hanno intossicato le indagini sulle stragi, l’ultima delusione. 

Per Mario Bo e Fabrizio Mattei, due dei tre poliziotti accusati di aver costruito a tavolino il falso pentito Vincenzo Scarantino, che per anni ha attribuito a boss del tutto estranei almeno a quel delitto la paternità dell’attentato di via D’Amelio, le accuse sono state dichiarate prescritte. Il terzo, Michele Ribaudo, è stato assolto. Per la famiglia, la goccia che ha fatto traboccare il vaso e ha convinto tutti a chiudersi in un silenzio che è protesta muta, dolore, forse frustrazione, di certo preoccupazione. 

Anni e anni di verità negate, spiega l’avvocato Trizzino, rischiano di erodere nei nipoti quella fiducia nello Stato che «Paolo Borsellino, anche quando denunciava il “covo di vipere” che si annidava nella procura di Palermo, non ha mai perso. Se succedesse, sarebbe l’ennesimo affronto ». Da tecnico Trizzino sa e lo dice chiaramente che «il tempo della verità processuale si è chiuso». Per conto della famiglia probabilmente farà ricorso contro la sentenza di Caltanissetta, ma la prescrizione rischia di non risparmiare quel processo. «La verità storica non ha scadenza e per quella continueremo a combattere», promette. A ridosso dell’anniversario, la famigliasi muove in ordine sparso. I familiari di Rita, marciano con l’Agesci e tra gli scout, la figlia Cecilia Fiore dice: «Non vi dico Paolo è vivo, vi dico vivete come lui ha vissuto tutta la sua vita, con la speranza, l’amore e tanta generosità». Chiude alle cerimonie ufficiali anche Salvatore Borsellino, fratello del giudice. «Ora chiediamo noi il silenzio. Alle passerelle e alla politica. Perché invece di fare tesoro di ciò che in questi trent’anni è successo, la lotta alla mafia non fa più parte di nessun programma». Parole che hanno un peso a Palermo, dove il neosindaco di centrodestra Roberto Lagalla ha potuto contare sul pubblico endorsement dell’ex senatore Marcello Dell’Utri e dell’ex governatore Totò Cuffaro, entrambi condannati per reati di mafia, e a ridosso delle elezioni ha visto finire in manette due aspiranti consiglieri per aver chiesto voti ai boss. «Fuori la mafia dallo Stato» hanno gridato gli studenti che ieri hanno sfilato in corteo sotto il Comune. Dal palazzo, nessuna reazione. Così come nessuna comunicazione, dopo aver disertato le cerimonie in ricordo della strage di Capaci, è arrivata sull’eventuale presenza del neosindaco in via D’Amelio. 

La Repubblica, 19/7/22

Nessun commento: