giovedì, luglio 28, 2022

Addio al nipote del bandito Giuliano il prete che sul delitto aveva un’altra tesi

Il cadavere di Salvatore Giuliano nel cortile De Maria a Castelvetrano il 5 luglio 1950


di LINO BUSCEMI

È morto Pietro Gaglio, figlio della sorella del “re di Montelepre”. Il sacerdote ha vissuto a lungo a Terrasini. Sosteneva che l’omicidio avvenne per mano della mafia. Per arrivare alla verità, caduto il segreto, sperava nell’apertura degli archivi che però non è mai avvenuta 

Si è spento recentemente, all’età di 82 anni, don Pier Damiano Gaglio, per tutti don Pietro, già parroco della chiesa Maria Santissima del Rosario di Terrasini. Personalità riservata, non si ricordano di lui significative prese di posizioni contro la mafia che da sempre è ben radicata in quel territorio. Molto conosciuto, don Gaglio, lo era senz’altro. Sia a Terrasini che nel suo paese natale Montelepre. Docente di religione nelle scuole medie, si è sempre distinto, a detta di molti, per umanità e spiritualità. 

Ma don Pietro aveva anche una ingombrante parentela, prudentemente sottaciuta, prima e dopo la sua scomparsa. Parentela che non gli è stata da ostacolo nella vita e nel suo lungo percorso sacerdotale. Egli, infatti, era figlio di Giuseppina, sorella maggiore del bandito Salvatore Giuliano. La madre, oltre a Pietro, ebbe altri due figli: Salvatore e Nunzia. Dunque, il parroco terrasinese era uno dei nipoti di Turiddu e per di più, come qualcuno ricorda, il prediletto. 

Quando il cosiddetto “ re di Montelepre” commise il suo primo omicidio e si diede alla macchia, il piccolo Pietro Gaglio aveva da poco compiuto tre anni. Ne aveva già dieci il 5 luglio del 1950, nel momento in cui Giuliano fu misteriosamente ucciso. Poi, non ancora maggiorenne e orfano di madre, frequentò il seminario arcivescovile di Monreale. Venne ordinato sacerdote dal vescovo Corrado Mingo e, successivamente, assegnato, dopo un breve peregrinare, a Terrasini. Seguiva con molta discrezione e a distanza le cronache giornalistiche e giudiziarie che riguardavano le settennali gesta dello zio bandito e l’intrigata violenta fine. Chi scrive, nel febbraio del 2012, ebbe un lungo cordiale colloquio telefonico con don Gaglio in seguito alla pubblicazione di un articolo, su questo giornale, dal titolo “ Nuova verità sulla morte di Giuliano. Stordito e ucciso ma non da Pisciotta”. Cosa era successo? Uno studioso, il sacerdote prof. Michele A. Crociata, di Castellammare del Golfo, ben conosciuto da don Gaglio, nella sua opera “Sicilia nella Storia”, edita da Dario Flaccovio e finanziata, allora, dalla Presidenza della Regione, basandosi sulle testimonianze di persone ancora in vita ( nel 2012), compresa la sorella di Gaspare Pisciotta, e su qualche confidenza di don Pietro, scriveva che Giuliano non venne trucidato a Castelvetrano ma in una casa colonica presso Monreale, denominata “ Villa Carolina”, il 3 luglio 1950. L’assassino non fu Pisciotta, ma il bandito Nunzio Badalamenti. 

A pagina 231 Crociata è ancora più preciso: “…mentre Turiddu consumava un pasto frugale in una stanza semibuia, Gaspare Pisciotta, coadiuvato nell’ombra da Nunzio Badalamenti, che i carabinieri stessi gli avevano dato come guardaspalle, riuscì a versare un forte sonnifero nel bicchiere di vino del capo che inavvertitamente lo bevve. (...) Poi si mise a letto e dormì profondamente. Dopo circa mezz’ora, legati con ferro filato i polsi e le caviglie di Turiddu, immerso in un sonno profondo, Pisciotta, lasciato Badalamenti a custodia del morituro, si allontanò per avvertire i capimafia Minasola e Miceli, interessati a loro volta di avvertire il colonnello Luca dei C.C. edil cap. Perenze. Il Badalamenti, però, rimasto solo in quella casa, nella speranza di poter ricevere anch’egli almeno parte della taglia (…), senza averne ricevuto incarico e, quindi, di sua iniziativa, fece fuoco tre volte su Giuliano, che passò istantaneamente dal sonno alla morte”. Alle ore 7 del 4 luglio, continua Crociata, Luca e Perenze arrivarono sul luogo del delitto “… dopodiché bisognava, però, necessariamente attribuire allo Stato, e non certamente alla mafia, la vittoria finale su Salvatore Giuliano (….) Il cadavere, già rigido, fu rivestito alla meno peggio e trascinato su un autofurgone. Dopo aver preso le armi, gli oggetti, gli indumenti di Turiddu, ogni traccia di ciò che era accaduto in quella casa, venne cancellata con cura e il gruppo partì diretto a Castelvetrano”. Dove nella notte fra il 4 e 5 luglio, i carabinieri del col. Luca organizzarono la farsa ormai nota a tutti e ben rappresentata, su racconto dello “ avvocaticchio” Gregorio Di Maria, nel film di Francesco Rosi. Nella predetta telefonata di don Gaglio all’autore dell’articolo che riportava la “ ricostruzione” del prof. Crociata, c’era una punta di compiacimento per quella narrazione, da lui totalmente condivisa, perché forse per la prima volta un giornale metteva in discussione la graniticità di certi interessati racconti. Era convinto che la verità sulla fine del suo “ famoso” zio, stesse per emergere. A suo giudizio un aiuto fondamentale poteva arrivare nel 2016, quando lo Stato finalmente, caduto il cosiddetto segreto, avrebbe dovuto aprire gli archivi. Sono passati più di sei anni e gli archivi e quant’altro sono, ancora, ahinoi, ermeticamente chiusi. 

La Repubblica Palermo, 28/7/2022

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