domenica, luglio 24, 2022

INTERVISTA AL LEADER DEL PD. Enrico Letta: “Il Paese è al bivio, o noi o Meloni. Si vince con le idee”


DI STEFANO CAPPELLINI

«La scelta alle elezioni del 25 settembre è chiara: o noi o Meloni». Enrico Letta è convinto di poter vincere la sfida con la destra. Ha trascorso il sabato a organizzare un piano per la campagna elettorale, la più rapida di sempre e la prima estiva della storia repubblicana. 

Spiega il segretario del Partito democratico: «Trasformeremo le 400 feste dell’Unità previste in tutta Italia da qui al voto in luoghi di dibattito ma anche di chiamata ai volontari. Ne metteremo insieme 100 mila e li guiderà Silvia Roggiani. Ad agosto saremo in tutte le città semideserte, nelle periferie, per parlare con chi in vacanza non è potuto andare. Porteremo la solidità delle relazioni umane e le nostre proposte. 

Come recitava l’ultima frase di Berlinguer, sarà una campagna casa per casa, strada per strada». 

Lei dice: “O noi o Meloni”. Ma noi chi? 

«Noi, il Pd, che sta organizzando una lista aperta ed espansiva: “Democratici e progressisti”. Sarà il cuore del nostro progetto Italia 27, la data di fine legislatura. L’obiettivo è arrivarci dopo aver governato e trasformato il Paese». 

Il Pd cambia simbolo? 

«Assolutamente no, il simbolo sarà il nostro, si aggiungerà la scritta . Puntiamo ad arrivare primi». 

Non basta la vittoria di lista, si vince in coalizione e la destra parte avanti nei sondaggi. 

«Nelle prossime due settimane parleremo con tutti coloro che sono interessati e disponibili a costruire un progetto politico vincente e che sia nel solco condiviso dalle forze che hanno dato la fiducia al governo Draghi. Ecco, il riferimento a Draghi è il perimetro della serietà e del patriottismo, la base di partenza». 

Dica la verità, lei ha già le idee chiare su chi imbarcare e chi no. 

«Martedì ne parlerà la direzione, sono abituato a decisioni collegiali, non a colpi di testa o personalismi. Sono tre i criteri che mi sento di proporre sulle alleanze: chi porta un valore aggiunto, chi si approccia con spirito costruttivo e chi non arriva con veti. In una vacanza di due settimane in camper non porti qualcuno che, appena salito, chiede a un altro di scendere. Ma voglio essere chiaro: la coalizione non è il cuore, contano le idee». 

Le faccio dei nomi: Calenda? 

«Calenda, di tutti i protagonisti possibili, è il più consistente dal punto di vista dei numeri e ha svolto in Europa un lavoro interessante e in parte condiviso. Discuteremo con lui con spirito costruttivo». 

Speranza? 

«È una delle personalità che spero possano candidarsi nella lista aperta del Pd. Glielo chiederò». 

È il rientro degli scissionisti di Articolo 1? 

«È il segno dell’apertura della nostra lista». 

Di Maio? 

«Tra le personalità che vengono dal M5S è la più influente e con lui sicuramente continuerà il dialogo già aperto». 

Renzi? 

«Parleremo con tutti». 

Anche con i ministri ex Forza Italia? 

«Certo. Lo dico anche a coloro che a casa mia storcono il naso. Non si tratta di far entrare Gelmini, Carfagna e Brunetta nel Pd, ma di tre persone che hanno dimostrato grande coraggio, lasciando il certo per l’incerto, e un seggio garantito, perché in dissenso con un centrodestra guidato dai nazionalisti e dagli antieuropeisti. 

Meritano apprezzamento». 

Ma è davvero praticabile e auspicabile un cosiddetto fronte repubblicano, cioè una coalizione, per ipotesi, da Toti a Fratoianni? O il rischio è il bis della litigiosa Unione di Prodi? 

«Non voglio tracciare confini, dico solo che, se non convinciamo a votare per noi elettori che stavano con il centrodestra, magari anche alle ultime amministrative, la partita non si gioca nemmeno. 

Abbiamo in vigore la peggiore legge elettorale possibile, che obbliga ad alleanze elettorali, e anche dall’altra parte le divisioni sono evidenti. 

Dobbiamo essere molto forti nell’identità, allo stesso tempo il raccordo con l’esperienza del governo Draghi è utile a convincere del nostro progetto i moderati del campo opposto. Tra le associazioni che hanno chiesto che Draghi continuasse ce ne sono molte vicine in passato al centrodestra. Non voglio che votino, che so, Forza Italia. Non deve ripetersi». 

Che senso ha andare al voto sull’agenda Draghi? Draghi non c’è, e forse nemmeno un’agenda così ben definita. 

«Usciamo rapidamente da questo tormentone dell’agenda Draghi. Si tratta di un punto di partenza e non del programma della coalizione. 

Per un motivo semplice: nel governo di unità nazionale c’era anche la Lega e dunque nel programma non c’erano misure che noi avremmo voluto, come per esempio lo ius scholae. Noi vogliamo andare molto più avanti, sul lavoro, sulla giustizia sociale, sulla lotta alle disuguglianze e sui diritti». 

Come spiegherà agli elettori la differenza tra la sua Italia e quella di Meloni? 

«Il sole e la luna, bisogna marcare la distanza, il bivio, rendere evidente che parliamo di due Italie profondamente diverse. Stare con noi vuol dire salvare l’ambiente, con loro tornare al nero fossile. 

È l’Italia di chi vuole stare in Europa contro quella di chi vuole i nazionalismi, la salute pubblica per tutti e la salute differenziata, da una parte l’integrazione e dall’altra l’esclusione, la progressività fiscale a fronte della tolleranza dell’evasione, la società dei diritti e della diversità e la negazione dei diritti e dei progressi sociali. E sia chiaro, su tutti questi temi non puntiamo allaconservazione dell’esistente, ma a cambiare le cose, portare il Paese in un futuro più giusto e più moderno». 

Può accadere in Italia qualcosa di simile agli Usa sull’aborto? 

«Il clima è quello, per fortuna in Italia la Corte costituzionale è in mani sagge. Ma se vince Meloni mi aspetto Pillon ministro della Famiglia e passi indietro su tutto, un’Italia che fa scappare i giovani. Bisogna vincere per togliere di mezzo l’espressione cara alla destra sui diritti: “non è il momento giusto”. Per loro non è mai tempo di difendere le minoranze dalle discriminazioni. Voglio citare Prodi: “La vera forza dell’Europa è che è l’unico luogo in cui siamo tutti minoranze” e dunque per forza rispettosi degli altri». 

Il Pd userà contro Meloni l’argomento del rischio fascismo? 

«Certo potrei parlare di rischio fascismo, ma non farò una campagna sugli -ismi, bensì su fatti concreti. Chi ha fatto cadere il governo è già costato agli italiani una quattordicesima, perché è tramontato il taglio del cuneo fiscale che avrebbe dato ai lavoratori un mensilità in più a fine anno. 

Lo riproporremo nel nostro programma». 

Teme un cambio in politica estera se vince la destra? 

«Gli interlocutori europei di Salvini e Meloni sono Orbàn, Le Pen, il polacco Kaczynski e Abascal, il leader della spagnola Vox. Questo è il Pentagono internazionale di FdI e Lega. Sa cosa li accomuna? 

Hanno votato tutti contro il Next Generation Eu e sono sempre dalla parte opposta a tutte le scelte europeiste». 

È possibile che l’Italia cambi linea anche sul sostegno all’Ucraina? 

«Ho apprezzato la responsabilità di Meloni sul tema, non posso dire la stessa cosa di Berlusconi e 

Salvini, da cui sono arrivate solo condanne a mezza bocca o addirittura simpatia per Putin». 

Può esserci una influenza russa dietro la caduta di Draghi? 

«Spero che chi ha staccato la spina a Draghi non sia stato insufflato da voci da Mosca o dall’ambasciata russa. Ma non c’è dubbio che all’ambasciata, la stessa davanti alla quale il Pd organizzò una manifestazione già poche ore dopo l’invasione dell’Ucraina, si è brindato a vodka e caviale». 

Grazie anche a Giuseppe Conte, il suo fresco ex alleato. C’è ancora una possibilità che faccia parte anche lui della coalizione elettorale? 

«No. Il percorso comune si è interrotto il 20 luglio e non può riprendere, è stato un punto di non ritorno. Lo avevo avvertito che non votare la prima fiducia sarebbe stato lo sparo di Sarajevo». 

Se Conte all’ultimo avesse votato la fiducia a Draghi l’avrebbe ripreso a bordo? 

«Con i se non si ragiona. Conte ha fatto le sue scelte e i suoi calcoli. Ha aperto un varco per le elezioni e Salvini non aspettava altro. Ma non è successo tutto in un giorno». 

Il Pd non dovrebbe fare autocritica per aver puntato da anni su una alleanza così inaffidabile e politicamente ambigua? 

«Dal 2019 al 2022 ci sono stati tre anni importanti e utili, gli anni della pandemia, del Next Generation Eu, del Conte due e del governo Draghi e sono stati possibili grazie a un lavoro comune tra Pd e 5S che ha favorito una evoluzione del Movimento. A inizio legislatura l’idea che il M5S potesse sostenere un governo Draghi sarebbe suonata come una bestemmia in Chiesa. Senza il Conte due avremmo avuto Salvini primo ministro dopo il Papeete. 

Anche oggi che il rapporto si è interrotto è evidente che non sono più i 5S del vaffa. Di questo percorso il Pd non può e non deve pentirsi». 

E in Sicilia alle regionali andrete con il M5S. 

«Alle primarie c’è stata grande partecipazione e ha vinto Chinnici, la nostra candidata» 

Si prepara una campagna all’insegna della demagogia. Berlusconi ha già cominciato: pensioni minime a 1000 euro e un milione di alberi da piantare. 

«Non c’è nessuna credibilità. L’altro giorno, mentre andavo in aeroporto, ho pensato a quanto ci costò la campagna elettorale di Berlusconi nel 2008, quando affossò il salvataggio di Alitalia il conto fu di 3 miliardi. E aggiungo che di alberi la sola Regione Emilia Romagna ne ha già piantati un milione dall’inizio della nuova consiliatura. Di che parliamo? Siamo alla comicità, purtroppo Berlusconi ormai fa tenerezza. Mi sento di rivolgere un appello a chi gli sta vicino, affinché ponga fine a questo sfruttamento dell’icona Berlusconi». 

Chi lo sfrutta? 

«Berlusconi ha sciolto Forza Italia nella Lega consigliato da persone del partito che hanno deciso per lui e preso gli accordi con Salvini». 

Meloni sostiene che il Pd difende gli interessi dei poteri forti. 

«Rispondo con la nostra agenda sociale: la lotta alla precarietà e la questione fondamentale del salario minimo. Si deve costruire un contratto di formazione lavoro per i giovani. Quando lavoravo a Parigi era pieno di ragazzi italiani che erano lì a studiare o lavorare grazie a stipendi che in Italia non avrebbero avuto, perché sostituiti dai tirocini gratuiti. E servono regole per incentivare contratti a tempo indeterminato. Poi un intervento sulle pensioni. L’altro regalo di chi ha fatto cadere Draghi è il ritorno alla scalone della legge Fornero. 

Se vinceremo, ci penseremo noi a introdurre maggiore flessibilità in uscita». 

Quale sarà l’argomento chiave della sua campagna elettorale? 

«Se ne devo scegliere uno, dico l’ambiente. Questa è la prima delle campagne che si svolge d’estate, gireremo l’Italia madidi di sudore nell’afa, nella siccità, tra i roghi, con la paura vera che l’ambiente si stia distruggendo sotto i nostri occhi. È un dovere la sua salvaguardia. Alla destra non importa nulla, basta vedere come ha votato al Parlamento europeo sulle norme contro i cambiamenti climatici». 

La destra obietta che salva i posti di lavoro della nostra manifattura distrutti dalle nuove regole europee. 

«È la carbon tax alle frontiere, messa a punto dal commissario Gentiloni, che protegge i nostri posti di lavoro, impedendo la concorrenza sleale dai paesi non Ue. Sono stato contrario a spostare al 2040 le scadenze per le nuove norme perché la soluzione non è posticipare il cambiamento ma finanziarlo ora, ottenendo dalla Ue i soldi per consentire la transizione sociale, aiutare i lavoratori e le imprese a trasformarsi o andare in pensione se il loro lavoro termina a causa delle esigenze ambientali». 

Ma è davvero sicuro che quella del 25 settembre sia una sfida tra lei e Meloni? 

«La situazione del Paese è grave ma per fortuna comincia a tornare il principio di realtà. La realtà è che io e lei guidiamo due partiti da tempo in crescita e che si stanno contendendo la leadership. Anche le scelte di Salvini sono una conseguenza di questo dato di fatto. Ha scelto il voto subito per salvare il salvabile della sua leadership nel centrodestra». 

Quindi questa è una intervista al candidato premier del centrosinistra? 

«A colui che sta cercando di costruire un’alternativa vincente alla destra. Per essere chiari, ho già avuto il privilegio di essere a Palazzo Chigi, non è la mia ossessione tornarci. Sul tema si deciderà nei modi e nei tempi opportuni. Questo è il momento di mettere anima e corpo ed è chiaro e che io me la gioco tutta, fino in fondo». 

La Repubblica, 24/7/2022

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