venerdì, ottobre 06, 2023

Giuseppe Geraci “Aspetto giustizia da 25 anni per l’omicidio di mio padre”


Intervista al figlio del sindacalista ucciso dalla mafia 

di Salvo Palazzolo

«Mi sento sconfortato – ripete Giuseppe Geraci – sono trascorsi 25 anni dall’assassinio di mio padre Mico e non abbiamo ancora giustizia. Ma ciò che mi fa più male è l’indifferenza della politica per un uomo che ha donato la sua vita per il bene comune: domenica, nel giorno del ricordo, l’amministrazione comunale di Caccamo ha organizzato la sagra della salsiccia in paese. Francamente, lo ritengo davvero inopportuno. Noi non ci saremo, andremo a Palermo per un momento di ricordo e riflessione». 
L’amministrazione ha previsto l’intitolazione di una piazza per suo padre, il giorno dopo l’anniversario dell’omicidio. 
«È una curiosa manifestazione, posto che quella piazza è già intitolata a lui». 


Perché, secondo lei, fu ucciso suo padre? 
«Era un sindacalista coraggioso, in quel periodo era vicino all’Ulivo, era il candidato in pectore di un cartello civico alla carica di sindaco, e non smetteva di denunciare le infiltrazioni mafiose all’interno delle istituzioni nel territorio di Caccamo. Il pentito Antonino Giuffrè è stato chiaro: “Se Mico Geraci fosse diventato sindaco sarebbe stato per la famiglia di Caccamo oltremodo difficile continuare a gestire il Comune come avevamo fatto da molti decenni. Inoltre, ciò ci avrebbe indebolito anche con gli altri Comuni del mandamento”». 
Nel 2002, Giuffrè, capo del mandamento di Caccamo e componente della commissione provinciale di Cosa nostra, fece ai magistrati i nomi di due persone, appartenenti al clan, che erano insofferenti verso suo padre al punto di volerlo morto, per i “discorsi che faceva contro la famiglia di Caccamo”, mise a verbale. Perché le dichiarazioni del collaboratore di giustizia non sono state sufficienti per portare a giudizio quelle persone? 
«Giuffrè racconta di essere statoscavalcato quella volta, lui non voleva gesti eclatanti nel suo territorio, aveva consigliato di ammorbidire, così disse, mio padre. Ma Mico Geraci non era tipo da farsi ammorbidire, anzi continuò le sue denunce, alzando sempre più il tiro. Io era un ragazzo all’epoca, avevo 19 anni quando lo uccisero, però mio padre mi parlava chiaramente mettendomi in guardia da certi personaggi, li indicava come vicini ai mafiosi. Le parole di Giuffrè raccontano quel contesto, ma la richiesta diarchiviazione fatta dalla procura di Palermo dice che non sono stati trovati riscontri alle accuse nei confronti delle due persone chiamate in causa». 
Lei e la sua famiglia avete continuato a chiedere la riapertura delle indagini. 
«Con il sostegno dell’avvocato Armando Sorrentino abbiamo esaminato tutti gli atti raccolti dalla direzione distrettuale antimafia di Palermo, abbiamo offerto nuovi spunti. Le parole di Giuffrè restano importanti, anche se il boss non fucoinvolto direttamente nel delitto: però in quel periodo addirittura Bernardo Provenzano gli chiese se aveva a disposizione delle persone per un lavoro a Caccamo, così gli disse. La verità è che in quel periodo Giuffrè era già in bassa fortuna, ho letto che si fece addirittura arrestare per evitare di essere messo da parte in modo eclatante». 
Mico Geraci dovrebbe essere un simbolo per Caccamo, eppure già nel ventesimo anniversario la sua città aveva disertato lamanifestazione. Perché secondo lei? 
«Le parole di mio padre continuano ad essere scomode. 
Sognava una gestione della cosa pubblica lontana dagli interessi privati, si batteva perché la mafia fosse estromessa dalla politica e dal Comune. Ma allora come oggi è rimasto solo, la politica siciliana non ha saputo cogliere il suo messaggio straordinario: era sì uomo del centrosinistra, ma nel nome del bene comune dialogava anche con chi non la pensava come lui. E cercava di costruire percorsi di impegno per la sua comunità. 
Ecco perché quella sagra della salsiccia è davvero un brutto segnale. E noi vogliamo ricordare nostro padre lontano da quella festa». 
Cosa ha organizzato la famiglia? 
«L’onorevole Ismaele La Vardera, vice presidente della commissione antimafia, ci ha invitati all’assemblea regionale. Domenica, alle 10, ci ritroveremo nella sala Mattarella. Nel manifesto che presenta l’iniziativa c’è scritto: 25 anni senza giustizia e verità». 
È ormai passato tanto tempo dalle dichiarazioni del pentito Giuffrè, come sarà possibile proseguire la ricerca della verità? 
«Nel 2018, la commissione parlamentare antimafia allora presieduta da Rosy Bindi ha depositato una relazione sul delitto. Dopo la mia audizione, i commissari hanno anche passato in rassegna le indagini fatte, rilevando che ci sono ancora ulteriori importanti indicazioni da sviluppare. A partire da alcuni reperti sequestrati sul luogo dell’omicidio. Insomma, non è possibile che gli assassini e i mandanti del delitto di mio padre restino impuniti: i segreti del passato restano ancora oggi la vera forza di Cosa nostra, ecco perché è importante svelarli se davvero vogliamo essere liberi di costruire il futuro della nostra terra, quello che mio padre immaginava». 

La Repubblica Palermo, 6 ottobre 2023

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