venerdì, ottobre 06, 2023

Le riforme e l’autonomia differenziata. Un Nord più efficiente, ma che ne sarà del Sud?


di LELIO CUSIMANO

La rivoluzione annunciata da Calderoli rischia di acuire il divario tra le regioni. I livelli dei servizi, l’istruzione ed anche le condizioni del mercato del lavoro vedono penalizzati i giovani meridionali 

L’Autonomia differenziata è un tema destinato per sua natura a restare confinato nel ristretto ambito degli addetti ai lavori, eppure riguarda l’intero Paese, a cominciare proprio dallo stesso «Mezzogiorno» che, a parole, tutti vorrebbero rilanciare e che invece rischia di restare bloccato nel tradizionale ruolo di vaso di coccio tra vasi di ferro. Il disegno di legge della riforma Calderoli sull’Autonomia differenziata vorrebbe decentrare alle regioni la gestione di alcune rilevanti funzioni legislative. In ordine ai possibili effetti, le posizioni politiche divergono parecchio e, come spesso accade in Italia, offrono al cittadino comune versioni assolutamente antitetiche che spaziano tra quanti garantiscono con l’Autonomia differenziata una gestione ottimale dei servizi pubblici (favorevoli) e quanti denunciano l’ennesimo tentativo di secessione del Nord (contrari).

Questa sorta di «rivoluzione» rischia di sollevare questioni complesse per la coesione nazionale, compromettendo il già fragile ruolo dei territori meridionali. Nelle more di saperne di più, torna utile ricordare da dove partiamo, richiamando le profonde differenze esistenti tra le regioni italiane. Di recente l’Istituto nazionale di statistica ha completato un’esauriente ricognizione sul divario meridionale; si tratta di un territorio in ritardo di sviluppo, dove però risiede più di un terzo della popolazione italiana. Nessun Paese europeo ha un problema della stessa portata.

Nel dettaglio, da oltre un ventennio il «Pil pro-capite» nel Mezzogiorno risulta pari alla metà circa del Centro-Nord; il Pil meridionale, infatti, si attesta a circa 18 mila euro (33 mila nel Centro-Nord). Agli estremi della graduatoria le differenze sono abissali: la regione più povera (Calabria) ha un Pil pro-capite pari appena al 40% della regione più ricca (Trentino-Alto Adige).

Il livello d’istruzione conferma la situazione di grave arretratezza del Mezzogiorno. Un terzo dei meridionali (rispetto a un quarto nel Centro-Nord) ha concluso al più la terza media. Il 43% degli studenti meridionali dell’ultimo anno superiore ha competenze «molto deboli» in matematica, rispetto al 28% della media italiana. I servizi per l’infanzia, a cominciare dalle scuole materne e dagli asili, sono considerati cruciali per la crescita dei bambini e per l’occupabilità delle donne con figli, tuttavia, i divari restano significativi. Due terzi dei bambini (0-3 anni) nel Mezzogiorno vivono in contesti di gran lunga inferiori agli standard nazionali.

La condizione del mercato del lavoro vede fortemente penalizzati i giovani meridionali; da almeno un ventennio si registra circa il 30% in meno di occupati nel Mezzogiorno rispetto al Centro-Nord. Ne scaturisce una preoccupante ripresa dell’emigrazione di massa. Sud e Isole perdono ben 42 giovani residenti ogni 100 movimenti tra le varie regioni.

Un punto qualificante della modernizzazione del territorio italiano è costituito dalla diffusione della «banda ultra-larga», che consente di trasmettere informazioni ad altissima velocità. Nell’ultimo ventennio il processo di digitalizzazione è stato molto rapido, ma il Mezzogiorno non ha ancora recuperato il divario di partenza: il 60% circa dei residenti nel Meridione ha ancora ridotte opportunità di accesso alla banda ultra-larga. Anche l’obsolescenza delle reti idriche è un fattore critico. Nel Meridione, già penalizzato dal clima siccitoso, si registrano perdite per circa la metà dell’acqua immessa in rete.

Il Mezzogiorno presenta una dotazione di infrastrutture di trasporto visibilmente inferiore alle altre ripartizioni. La consistenza della rete ferroviaria, ad esempio, è nettamente inferiore. Il divario è aumentato negli ultimi decenni (nel Meridione il 58% di rete è elettrificata, il 79% nel Centro-Nord).

Infine, divari territoriali rilevanti caratterizzano l’efficienza, l’appropriatezza e la qualità dei servizi sanitari, mentre permane il doloroso fenomeno del «turismo sanitario» con la gente che viaggia per motivi di salute: ogni cento ricoverati nel Meridione, dieci vanno a curarsi fuori regione. La durata della vita di un siciliano è inferiore di circa due anni rispetto a un Trentino.

I dati forniti evidenziano, secondo Istat, un’importante differenziazione nei livelli dei servizi pubblici che incidono negativamente su vari fronti: il corretto sviluppo dei bambini, la funzione genitoriale specie delle donne, gli svantaggi nel mercato del lavoro, le competenze degli studenti meridionali e le opportunità di prevenzione e cura della salute.

Tutti questi aspetti sono essenziali per lo sviluppo e fondativi dei diritti di cittadinanza, ma risultano inattuati per ampie quote di popolazione.

Il «coniglio» dell’Autonomia differenziata non è ancora uscito dal cilindro e non è quindi possibile valutare come potranno agire i Lep, (i livelli essenziali di prestazione) che, secondo la Costituzione, dovrebbero garantire, con l’Autonomia differenziata, condizioni uniformi in tutto il territorio nazionale.

La riforma del ministro Calderoli spinge nella direzione del decentramento della competenza legislativa in diverse materie, oggi attribuite alla potestà concorrente tra Stato e Regioni, come salute, lavoro, ambiente e istruzione. A ben vedere sono proprio i temi che vedono particolarmente penalizzato il Meridione; su tutto questo l’Autonomia Differenziata produrrà effetti?


GdS, 6 ottobre 2023

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