domenica, ottobre 15, 2023

A Vito Lo Monaco, presidente emerito del centro Pio La Torre, è stata assegnata la laurea honoris causa in Scienze della comunicazione pubblica, d’impresa e pubblicità


“C’è chi usa la lotta ai boss solo per fare carriere politiche, sociali ed economiche”. “Attenti all’antimafia di cartone”

Giusi Parisi

L’antimafia (spiegata agli studenti) ha il volto ruvido di Vito Lo Monaco. A loro, infatti, da almeno vent’anni, si rivolge, accompagnato dai volontari del Centro studi Pio La Torre di cui oggi è presidente emerito ma che ha diretto per diciotto anni dal 2004 al 2022. venerdì prossimo alle 16, nella sala magna del complesso monumentale dello Steri, Lo Monaco riceverà la laurea magistrale honoris causa in Scienze della comunicazione pubblica, d’impresa e pubblicità. «Una laurea per il suo impegno nell’area della comunicazione – dice Aleesandra Dino – e per il suo instancabile essere poliedrico costruttore di pace, per il suo impegno pluriennale con UniPa con le tante iniziative di studio, ricerca, protocolli d’intesa e percorsi di legalità. Ma anche per aver interpretato l’antimafia in maniera inclusiva e non in una dimensione elitaria».

Nato a Casteldaccia quasi ottant’anni fa, Lo Monaco è stato definito da Angelo Meli, il compianto collega del Giornale di Sicilia morto prematuramente lo scorso 29 settembre che per anni ha lavorato con lui al Centro studi, «un pezzo di storia che cammina» in un intreccio di politica e sindacato da quando di anni ne aveva diciotto. Un uomo che ha messo la legalità al centro della sua vita e del suo poliedrico impegno a favore degli ultimi. E che ha conosciuto da Girolamo Li Causi a Danilo Dolci, da Piersanti Mattarella a Giorgio Napolitano passando per Sandro Pertini e Sergio Mattarella e, naturalmente, Pio La Torre, ucciso da Cosa nostra, insieme con Rosario Di Salvo, il 30 aprile 1982. Il dirigente della Cgil e del Pci, fu una figura storica e profetica dei diritti e del pacifismo che il 4 aprile aveva organizzato la marcia contro i missili Cruise nella base di Comiso cui parteciparono più di ottantamila persone e che Lo Monaco, senza esitare, definisce «il mio maestro». Lunga è la lista degli incarichi ricoperti da Lo Monaco: primo segretario della sezione Pci a Casteldaccia a componente della segreteria regionale del Pci.

A chi dedicherà la laurea?

«A tutte le categorie con le quali ho lavorato, agli uomini che mi hanno aperto gli occhi sul mondo e a quelli che, da giovane, mi spiegarono quello che non capivo come l’uccisione di Andrea Raja, il segretario di Casteldaccia della Camera del lavoro e della sezione del Pci».

Lei è comunista nel suo Dna: qual è la differenza con l’attuale Partito democratico?

«Il Pci era un partito di massa con una base valoriale e ideologica che aveva la politica come servizio sociale e che si batteva per le classi più deboli. Il Pd deve darsi questa base valoriale che non esiste più».

E su cosa dovrebbe concentrarsi un partito di sinistra adesso?

«Dovrebbe battersi contro l’ingiustizia sociale, per l’uguaglianza, per l’abolizione della povertà».

Il M5s provò a farlo: ma si può davvero eliminare la povertà?

«Certo, l’articolo 3 della Costituzione recita che è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l’uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana. Proprio da questo discendono anche le battaglie antimafia: come impegno del cambiamento sociale».

Si fa presto a dire antimafia. Cosa ne pensa sui fatti che recentemente hanno coinvolto Salvatore Geraci, sindaco di Cerda e membro della Commissione regionale antimafia, oggetto di avviso di garanzia perché, secondo la Procura, avrebbe fatto pressioni per far passare la processione sotto casa di un boss …

«Quella è l’antimafia di cartone che serve solo a fare carriere politiche, sociali, economiche. Oggi non si commettono stragi ma c’è il sommerso, la corruzione che usa sempre l’intimidazione e mantiene legami con la politica. Anche Matteo Messina Denaro da stragista è diventato uomo della finanza».

Quindi?

«Fino a quando non si cancellerà il rapporto mafia–politica, la mafia ci sarà sempre, modificando i suoi atteggiamenti ma rimanendo criminale nella sostanza».

Cosa pensa del ritorno di Totò Cuffaro in politica?

«Credo sia un tentativo di riportare indietro la Sicilia. Ed è la dimostrazione della insufficienza di visione politica delle forze di centro sinistra di oggi».

Cosa manca alla società di oggi?

«La vigilanza sul rapporto tra mafia e politica. Sovranisti e populisti volutamente oscurano quest’aspetto mentre la delega ordinaria alla magistratura e alla forze dell’ordine mette in ombra quell’impegno sociale volto a modificare la cultura del Paese: se la repressione è compito della giustizia, la prevenzione è compito di tutte le istituzioni e della società civile».

Anche lei come Pio La Torre ha promosso momenti di mobilitazione importanti. In particolare, il 26 febbraio 1983, quando gli omicidi per mano mafiosa nel triangolo della morte Altavilla–Bagheria–Casteldaccia erano all’ordine del giorno. Con don Cosimo Scordato, ad esempio, ha organizzato una marcia antimafia nella strada del Vallone, via di fuga dei killer (dal 2014 ribattezzata strada della marcia antimafia).

«Fu la prima rivolta popolare antimafia promossa dal Comitato popolare di lotta contro la mafia promossa da me e don Scordato, iniziativa di promozione della legalità di cui vado particolarmente fiero. Proprio con il Comitato la voglia di legalità diventa trasversale e unitaria, non appartiene più solo alle classi operaie e contadine ma anche ai ceti medio–alti, segnando la sconfitta della mafia come braccio armato della classe dirigente del paese come già descritto dagli studiosi  Sidney Sonnino e Leopoldo Franchetti ne La Sicilia 1876».

Di cosa è più orgoglioso?

«Dell’intitolazione della Sp88 Casteldaccia–Bagheria strada della marcia antimafia. Finalmente la Città metropolitana ha disposto l’incarico per la progettazione grazie alla pressione del Centro Pio La Torre con l’adesione delle scuole e dei Comuni».

Orgoglio come politico e sindacalista?

«No, come cittadino antimafia. Come sindacalista le mie battaglie a fianco dei braccianti e degli agricoltori. Ma il grande lavoro, da diciotto anni a questa parte, è nelle scuole: è da qui che parte la vera antimafia».

Qual è stato il suo errore più grande?

«Aver creduto al socialismo come democrazia compiuta con l’utopistico obiettivo che si potesse arrivare subito all’uguaglianza. Forse più ingenuità che errore perché, ancora oggi, sono convinto che è quello che si dovrebbe fare». (*giup*)

GdS, 15/10/2023


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