venerdì, novembre 04, 2022

Decreto anti-rave, il marchio dell'illegittimità


di MICHELE AINIS

L'incostituzionalità non è sanabile durante la conversione parlamentare del testo, persiste come un peccato originale

Che c'entrano i rave con l'ergastolo ostativo? E la riforma Cartabia con i medici No Vax? Nulla, eppure il primo decreto del governo li cucina nella medesima pietanza, come un minestrone. Da qui un vizio d'incostituzionalità, poiché ogni decreto legge dev'essere "omogeneo" (Corte costituzionale, sentenza numero 22 del 2012); e l'illegittimità non è sanabile durante la conversione parlamentare del decreto, persiste come un marchio, un peccato originale. Dunque, per quante correzioni vengano poi introdotte dalle Camere alle 64 parole che scolpiscono il nuovo crimine di rave, non c'è cura, non c'è rimedio. Nessun chirurgo può raddrizzare le gambe a un bambino nato storpio.

Nel caso del decreto rave, ai molti dubbi d'illegittimità costituzionale avanzati dai giuristi per i suoi contenuti, si somma perciò - sormontandoli e assorbendoli - un vizio d'ordine formale. Non solo per come è scritta la norma, bensì per dove è scritta, per il veicolo normativo impiegato per proporla. Giacché il diritto è forma, è procedura. E la forma - diceva Calamandrei - è garanzia di libertà.

Un decreto governativo non è una legge, così come una legge non è un regolamento comunale. Cambia il grado di legittimazione democratica dell'organo che di volta in volta ne decida l'adozione, e cambiano perciò i limiti, i presupposti costituzionali di questi diversi atti normativi.

Quanto ai decreti legge, non viene in campo soltanto l'omogeneità del testo, che la Consulta desume dalla "ratio implicita" dell'articolo 77 della Costituzione. C'è inoltre una violazione di quello stesso articolo rispetto all'urgenza che giustifica l'approvazione dei decreti.

Ma qual era l'urgenza da affrontare, se il rave party di Modena si è concluso senza alcun incidente, applicando le regole vigenti? E si poteva stabilire l'immediata entrata in vigore del decreto, quando ne deriva una nuova fattispecie di reato, che i cittadini ancora devono conoscere, che i giudici ancora devono studiare?

Vizi formali, per l'appunto. Che s'aggiungono a quelli sostanziali. Nell'ordine: la lesione del principio di determinatezza delle norme penali, derivante dal linguaggio scivoloso usato dal governo. Giacché, se i reati non fossero definiti in modo tassativo, il poliziotto deciderebbe sulle nostre libertà, trasformandosi in giudice; e il giudice in legislatore.

Ma che cos'è un "raduno pericoloso"? Chiunque ne abbia fatto l'esperienza, potrebbe ascrivere alla categoria in questione anche le riunioni di condominio. E che cos'è "l'ordine pubblico", locuzione mai adoperata (e non a caso) dai costituenti? Insomma, è irragionevole il reato, è irragionevole la pena, superiore perfino all'omicidio colposo.

Ed è superflua la precisazione che taluno vorrebbe introdurre in sede di conversione, legando la punibilità dei rave all'uso di droghe: lo spaccio è già un reato. Senza dire delle intercettazioni a strascico, dell'attentato alla libertà di riunione ben oltre i limiti costituzionali, dell'abuso della leva penale.

Domanda: ma se questo decreto è una fiera degli ossimori, perché allora Mattarella l'ha firmato? Tuttavia la domanda è frutto di un equivoco sul ruolo del nostro presidente. Lui non è un giudice di legittimità costituzionale, quel mestiere spetta alla Consulta. Altrimenti al supremo organo dell'ordinamento toccherebbe la stessa sorte d'un tribunale di provincia, le cui sentenze vengono appellate, riformate, talvolta annullate. E infatti quando la Corte costituzionale boccia una legge dello Stato (succede molte volte), non per questo boccia il Quirinale, benché quella legge fosse stata promulgata dal capo dello Stato.

No, lui è chiamato piuttosto a valutarne "l'opportunità" costituzionale, categoria vaga e indefinita, dove la politica prevale sul diritto, dove il responso non è mai a rime obbligate. Sarebbe stato opportuno accendere il rosso del semaforo sul primo decreto del governo, generando uno scontro istituzionale già al battesimo della legislatura? Per Mattarella no, sarebbe stato inopportuno; si può non condividere, ma si deve capire.

C'è un'altra cosa, però, che dovrebbero capire i senatori, ora impegnati a migliorare (o peggiorare) il testo del decreto: lasciate perdere, è tempo sprecato. Quel decreto non può passare indenne dalla mannaia della Consulta, tanto vale abbandonarlo al suo destino. Va

La Repubblica, 4/11/2022

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