sabato, novembre 26, 2022

Nicola Gratteri: «La nuova riforma aiuta a rallentare i processi»


Ok l’informatizzazione, mancano i magistrati

Fabio Geraci

Palermo - «Da dove deve cominciare il nuovo governo per la lotta alla mafia? Basta scrivere una riga. E cioè che la riforma Cartabia va abrogata perché è impossibile attuarla con gli uomini e i mezzi che sono disponibili nella struttura dell’amministrazione giudiziaria».

Non usa mezzi termini il procuratore di Catanzaro, Nicola Gratteri, invitato ieri a Palermo alla presentazione del libro del libro di Piera Amendola «Padri e padrini delle logge invisibili. Alliata Gran Maestro di rispetto», coordinata dal giornalista editorialista de La Stampa Marcello Sorgi, a cui hanno partecipato anche l’avvocato Guido Calvi e Carmine Mancuso, presidente dell’associazione per onorare la memoria dei caduti nella lotta contro la mafia.

Procuratore Gratteri per la riforma Cartabia è una bocciatura su tutta la linea?

«Guardi, l’unica cosa che si può salvare è l’informatizzazione del processo penale ma sul resto sono state fatte delle modifiche per le quali viene richiesto almeno il 30 per cento in più del numero dei magistrati di quelli che sono oggi in servizio. L’Europa ha chiesto all’Italia di velocizzare i processi ma con questa riforma saranno sicuramente rallentati».

Dal suo punto di vista, invece, quali provvedimenti sarebbero necessari più degli altri?

«La polizia giudiziaria italiana è di altissimo livello e sul fronte investigativo siamo tra i primi al mondo, abbiamo anche una magistratura mediamente preparata. Il problema è che, sul piano normativo, sia il sistema penale, che quelli processuali e detentivi non sono proporzionati alla realtà criminale e quindi bisognerebbe apportare dei correttivi per avere meno burocrazia e per rendere più celeri tutti i passaggi: quando si fanno modifiche di questo tipo non esiste una ricetta differente per le mafie, per la zona grigia o per i reati comuni. Le procedure, che devono essere velocizzate e snellite, servono a tutte le tipologie di reato e a tutta la gamma delle operazioni».

Perché l’innalzamento del tetto del contante a 5mila euro è una misura che la preoccupa e che non le è proprio piaciuta?

«Prima di tutto perché non era una priorità. E poi perché sarà favorito il riciclaggio da parte dei piccoli truffatori o di coloro che vivono in nero sfruttando l’evasione. Un esempio? Da noi il tetto del contante sarà portato da 2mila a 5mila mentre in Europa questo limite non esiste, c’è solo una direttiva europea che invita gli Stati a non consentire transazioni superiori ai 10mila euro. In pratica è possibile partire dall’Italia per recarsi verso uno dei Paesi del centro o del nord Europa e magari fare acquisti in contanti anche per centinaia di migliaia di euro senza doverne dare conto».

Le inchieste delle forze dell’ordine stanno mettendo in luce traffici di droga sempre più frequenti che partono dalla Calabria per arrivare in Sicilia. E’ il segnale che il fenomeno è in crescita rispetto agli anni precedenti?

«Non c’è una vera escalation, la presenza della ‘ndrangheta in Sicilia è documentata già negli anni ‘70 con la presenza di raffinerie di droga che operavano in entrambe le regioni. All’hotel San Domenico di Taormina ci sono stati incontri tra uomini di Cosa Nostra e delle famiglie calabresi e, dopo le stragi del ‘92, quando c’è stato il boom della richiesta del mercato di cocaina, la ‘ndrangheta ha rifornito la mafia palermitana e catanese in modo sistematico anche se noi riusciamo a sequestrare solo il 10 per cento della sostanza che viene distribuita».

Quanto sono forti i rapporti con la massoneria? E perché è così pericolosa la Santa, cioè quella sorta di alleanza di ferro tra la ‘ndrangheta e la massoneria deviata?

«La Santa è nata negli anni ‘70 e questo patto si è via via consolidato da quando è possibile per gli uomini delle cosche calabresi di avere la doppia affiliazione: oggi molti esponenti della ‘ndrangheta hanno aderito anche ad una loggia massonica deviata».

GdS, 26/11/2022

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