sabato, novembre 12, 2022

IL LIBRO. Italiano - siciliano, un vocabolario per capire chi siamo


di Irena Carmina

«L’italiano parla, il siciliano canta» . Sta tutta qui la differenza tra lingua e dialetto per un bambino di Misilmeri. Trent’anni fa la risposta sarebbe stata diversa. Il siciliano non era né più né meno che il codice linguistico dei mafiosi, dei poveracci, degli ignoranti, da relegare in soffitta come un fattaccio di cui vergognarsi. Non è più così, almeno non del tutto. 
Scardinare la dialettofobia e contrastare l’entropia linguistica non è certo facile. C’è voluta una legge regionale che, quattro anni fa, ha introdotto nelle scuole tutta una serie di attività formative finalizzate a valorizzare il patrimonio linguistico locale, grazie anche al Centro di studi filologici e linguistici siciliani presieduto dal docente universitario di Dialettologia e Linguistica e accademico ordinario della Crusca Giovanni Ruffino. Con i suoi studenti del corso di laurea magistrale in Italianistica, è andato a bussare alle porte delle aule di un centinaio di scuole elementari e medie sparse per l’Isola. «Il lavoro ha dato i suoi frutti — dice Ruffino — Nonostante sia ancora radicata una certa ostilità nei confronti del dialetto, percepito ancora da molti giovani come rozzo e volgare, si nota sempre di più un atteggiamento filo-dialettale e il merito è soprattutto delle scuole».

I siciliani hanno fatto pace con il dialetto, hanno smesso di demonizzarlo. Non è un caso che se ne faccia sempre più uso nella letteratura, nel cinema, persino sui social, dove nascono pagine da quasi 200mila follower, come “ Siciliansays”, che insegnano modi di dire in siciliano. Non fa eccezione la lessicografia. L’ultimo nato in casa Dario Flaccovio è il vocabolario italiano- siciliano di Pietro Moceo e Gabriella Cassarà, marito e moglie ultraottantenni che di mestiere non fanno i linguisti, ma rispettivamente lo pneumologo e la psicopedagogista. 
«Tutto nasce da una profonda passione per il siciliano e dalla volontà di nobilitarlo — spiegano gli autori — Ci abbiamo messo dieci anni per fare il vocabolario che vuole rispondere a una semplice domanda: “come si dice in siciliano?”.  E lo fa elencando le forme verbali usate nelle varie città siciliane». E così “delinquente” diventa “canni di ialera” “ddilinguenti”, “ddrittufici”, “malacarni”, “maluddrappu”, “ maravita”, “ suliàtu” e così via. Di vocabolari italiano-siciliano fino ad ora se n’era visto soltanto uno, di Salvatore Camilleri, risalente a vent’anni fa. « L’opera di Moceo e Cassarà in questo senso è una rarità ed è perfettamente funzionale alla necessità di imparare il dialetto per chi non lo conosce, sebbene le varietà locali di ciascun lemma dialettale siano tantissime», spiega Ruffino. Di vocabolari siciliano-italiano, invece, ce ne sono diversi. Il punto di riferimento principale resta l’opera monumentale in cinque tomi del Centro di studi filologici elinguistici siciliani, risalente alla seconda metà del secolo scorso, «il più importante d’Italia, non esiste niente di simile nelle altre regioni», dice il docente di Linguistica. 
Per il resto, si deve fare un salto indietro nel Settecento e nell’Ottocento, con le opere di Antonio Pasqualino, di Vincenzo Mortillaro e di Antonino Traina. «Il siciliano ci identifica, consente di dire in una parola concetti complessi che in italiano necessitano di più parole — dice l’autore Moceo — L’ho imparato dalla voce di mia madre ed è importante che si torni a parlarlo sempre di più». E così è. La nuova attenzione verso il dialetto passa dalle scuole, ma anche da una nuova sensibilità che riflette un rinnovato orgoglio regionale. 
Cresce l’attenzione verso la letteratura diaristica di impronta popolare, grazie alle autobiografie di semianalfabeti pubblicate da Einaudi, “La spartenza” del contadino di Bolognetta Tommaso Bordonaro e “Terra Matta” del ragusano Vincenzo Rabito, bracciante bambino che è stato minatore in Germania e che è partito per la guerra d’Africa e per la Seconda guerra mondiale. La casa editrice torinese, tra l’altro, a settembre ha pubblicato il secondo memoriale di Rabito, “Il romanzo della vita passata”, un vecchio manoscritto dimenticato in un cassetto per quarant’anni e l’ateneo palermitano, su iniziativa del professore Ruffino, ha istituito un archivio di testi di semianalfabeti. «Si tratta di memorie, diari, lettere e ricette scritte in dialetto italianizzante che stiamo raccogliendo e digitalizzando». Mantenere vivo il dialetto che Google aveva paragonato all’aborigeno tra le lingue in via di estinzione sembra sempre più possibile, anche grazie a scrittori come Camilleri e Silvana Grasso che educano, attraverso la lettura, al siciliano e non c’è romanzo di letteratura contemporanea che non abbia al suo interno inserti dialettali. D’altronde, c’è una precisa weltanschauung, una visione del mondo, nel dialetto. C’è la nostra faccia, l’impronta originale di ciò che siamo e da dove veniamo. Il siciliano ha un potere evocativo, lavora sulle similitudini, tesse immagini concrete, sedimenta la storia. 

La Repubblica Palermo, 12/11/22

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