lunedì, novembre 21, 2022

Gli ultimi carradori, artisti del carretto siciliano


Marcella Croce

Affascinati dal brillio di tutto ciò che è moderno, i siciliani forse non ci crederebbero, ma gli stranieri non cercano solo paccottiglia e souvenir, fra loro ci sono intenditori e cultori del bello: una ventina di anni fa un siculo americano ha commissionato per ognuno dei suoi nipoti un carretto al pittore Giuseppe Ducato di Bagheria, scomparso dieci anni fa. 

Guardando la lunga serie di carretti in attesa di essere completati, Ducato commentava: «I miei clienti devono accendere tutti un lumino alla Madonna, affinché io campi a sufficienza da finirli». Sapeva di essere fortunato: accanto a lui c’era suo figlio Michele, che, «malgrado» una laurea in architettura, era perfettamente in grado di dare una mano al padre, e ora continua a mantenere attiva la sua bottega. Tanti altri artigiani sono già scesi nella tomba senza eredi per la loro arte, o continuano a lavorare in amareggiata solitudine.

Giuseppe era l’ultimo degli storici fratelli Ducato, tutti e quattro pittori tradizionali, eredi della bottega aperta di fronte Villa Cattolica nel 1895 dal capostipite Michele.

«Sono nato nel 1972, racconta oggi il suo omonimo nipote Michele, quando i miei genitori dopo 16 anni di matrimonio avevano quasi perso le speranze, e così ho avuto la fortuna di assorbire da ragazzo il fascino di una tradizione morente, ma già rimpianta. Dopo una laurea in architettura, ho deciso di appenderla al muro e di affiancare in toto mio padre. I miei cugini, tutti molto più grandi di me, erano invece già dei ragazzi nei bui anni ‘70, quando tutti cercavano di dimenticare più in fretta possibile le tradizioni e anche le tremende fatiche che la vita del carrettiere comportava, e si sono dedicati ad altro».

L’ultimo carradore della vecchia scuola è stato Giovanni Raia, che aveva una bottega in Corso dei Mille a Palermo. Lì vicino, in una bottega molto primitiva, quasi un antro del dio Vulcano, operava Carmelo Saccaro, l’ultimo fabbro in grado di forgiare un rabiscu (arabesco) come quelli di una volta. Il rabiscu è un particolarissimo fregio in ferro battuto che insieme all’asse forma la‘cascia i fusu. Nei carretti palermitani raffigura elementi vegetali, mentre nella Sicilia orientale vi si possono trovare anche figure umane e zoomorfe. Sembra a prima vista un po’ strano che tanta attenzione venga rivolta a una parte del carretto che è piuttosto difficile vedere senza chinarsi completamente, ma esiste per questo una motivazione ben precisa. Ricordiamo che il carro viaggiava su strade molto disagiate e che la meravigliosa decorazione aveva quindi la funzione di accompagnare e mettere in risalto il pizzu al centro dell’asse con l’immagine del santo, sotto la cui protezione veniva posto sia il carretto che il carrettiere.

Non lontano dalla bottega dei Ducato a Bagheria, abitava Michele Ajello u’ siddunaru, in un cortiletto aveva un armadio pieno di armiggi (finimenti), coffe, selle, perfino cornici di ritratti della Madonna e di Padre Pio, tutti anch’essi decorati con trecce di lana colorata, specchietti e campanelle. Ecco come Ajello esprimeva il suo rammarico quando l’ho incontrato 15 anni fa: «Ho chiuso la mia bottega perché ci avevano detto che ci avrebbero dato degli spazi al museo di Villa Cattolica, ma è cambiato il sindaco, sono passati 20 anni ed ecco che fine ha fatto la mia roba».

«Senza gli artigiani è sempre più difficile produrre nuovi carretti, concludeva Giuseppe Ducato. I rabischi, le sculture, le “boccole” al centro delle ruote che producono dei suoni quando il carretto si muove, possono solo essere riciclati da vecchi carretti in disuso». Oggi, specialmente nella Sicilia orientale, alcuni carretti sono decorati da decalcomanie invece che essere dipinti, e sono tirati da cavalli eccessivamente carichi di finimenti fatti a macchina e di una sovrabbondanza di piume, oggi quasi sempre artificiali. Ad Aci Sant’Antonio vive ormai molto anziana Nerina Chiarenza, l’unica donna pittrice di carretti.

Se gli artigiani muoiono, la cultura del carretto è ancora viva e persistente. A Bagheria, ma anche nella zona di Corso dei Mille a Palermo, chiusi in garage e magazzini, ci sono parecchi carri e strascini (cioè carri a quattro ruote senza fiancate). C’è perfino chi li tiene in casa fra il frigorifero e la lavatrice. Appartengono ad ex-carrettieri che nel tempo libero si «ripassano» le storie cavalleresche dei loro carretti o li affittano per sfilate o feste particolari. La vicinanza dell’ex-mulino Virga e delle strade che portano fuori città, e la conseguente necessità di mezzi di trasporto per consegnare la farina a tutti i panifici della città e per portare a Palermo tutte le altre derrate provenienti dai paesi dell’entroterra, spiegano la concentrazione, un tempo molto notevole, di botteghe artigiane in questa zona.

Proprio in Corso dei Mille è ancora attiva la bottega dell’artigiano Rosario La Piana che confeziona i finimenti (armiggi) e a Bagheria risplende di luce propria un carretto frutto dell’eccezionale collaborazione fra pittori molto diversi fra loro: Giuseppe e Michele Ducato e Bruno Caruso. L’idea di questa collaborazione era venuta a Giuseppe Ajello, titolare dell’omonima tipografia bagherese, committente e proprietario del carretto stesso. Ajello ha voluto in tal modo rendere un omaggio originale alla propria famiglia di carrettieri, che Ducato aveva immortalato sul carretto in un dipinto tratto da una foto degli ‘50. «Il sangue del carrettiere scorre ancora nelle mie vene» diceva Ajello, e si vedeva dall’orgoglio e dalla destrezza con cui tirò fuori dal garage il prezioso e ingombrante manufatto per farcelo ammirare e fotografare. Una tradizione che vive la sua apoteosi nella festa di S. Giuseppe fuori stagione che ha luogo a Bagheria in agosto e che vede decine di splendidi carretti sfilare per le strade della città.

Arte culta e arte popolare non sono mai state completamente separate: il giovanissimo Renato Guttuso era rimasto affascinato dalla bottega dei Murdolo. Divenuto famoso, nel 1976 aveva voluto firmare una copia del suo quadro «Battaglia del Ponte dell’Ammiraglio» che i Ducato avevano realizzato ed inserito in uno dei loro carretti appartenente alla collezione Galioto.

Oggi Michele Ducato ha 50 anni e gode di fama internazionale anche grazie alla collaborazione con Dolce & Gabbana, per i quali ha trasformato dei frigoriferi “Smeg” in vere e proprie opere d’arte. «Quando ho ricevuto l’email da un loro collaboratore pensavo fosse uno scherzo. Ben presto, però, mi sono dovuto ricredere e, dopo alcune reticenze dovute all’enorme rispetto che nutro per quest’antica tradizione, ho deciso di accettare la loro proposta come una sfida».

Un articolo pubblicato dal Giornale di Sicilia il 24 ottobre scorso riferisce i risultati di tre giorni di workshop in occasione della decima edizione della manifestazione I-Design, nell’ambito del progetto Trinacria Bike Wagon (TBW), finalizzato alla rivitalizzazione e reinterpretazione del carretto siciliano, organizzato presso l’Accademia di Belle Arti di Palermo, a cui hanno partecipato architetti, designers, 70 studenti di diversa formazione, tra cui allievi dell’Accademia e del Liceo Artistico Catalano e Michele Ducato nel ruolo di artigiano insegnante.

Si spera che manifestazioni di questo tipo possano salvare il carretto siciliano da una prossima possibile estinzione. E l’estinzione di un fenomeno o di un prodotto culturale è irreversibile, esattamente come quella di una specie animale o vegetale.

La bottega di Michele Ducato è quindi una felice eccezione, è stata aperta negli ultimi anni grazie al festival Le vie dei tesori ed è visitabile su prenotazione mandando una mail a: micheleducato72@gmail.com.

GdS, 20/11/2022

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