lunedì, novembre 08, 2021

In ricordo di Enrico Fierro: “Lo sai. Che le notizie non si possono fermare spegnendo il telefono...”

Enrico Fierro


VINCENZO VASILE 

No, Enrico. No. Il telefono non si spegne. Mai. Perché alla fine le notizie arrivano. E ti lasciano in brache di tela dentro a una fredda tempesta di sentimenti di ricordi di rimpianti di morte di vita. È arrivata solo adesso, il tempo di sciacquarmi la faccia dalle lacrime, la pessima notizia che Enrico è morto. 

Enrico Fierro, 69 anni, giornalista. Ex Unità. Ex fatto quotidiano. Da poco al Domani. Ma quante altre cose. Eppure ho spento il telefono questo pomeriggio, e lo sapevo - anzi forse proprio perché lo sapevo - che stavi male, anzi malissimo, da settembre ricoverato per polmonite e successivo infarto, imprigionato dalla ragnatela di tubicini della terapia intensiva con diagnosi a catena di un paio di altre malattie che scoprivi di avere addosso. Per non farti mancare niente. 

Lo sai. Che le notizie non si possono fermare spegnendo il telefono o con altri espedienti: ce lo dicevamo già la prima volta in mezzo a una bufera tanti anni fa, Ariano si chiamava il paese, Ariano Irpino, sede di un super-carcere che balzò nella notte con i suoi muri altissimi e le garitte bianche mimetizzate dalla neve davanti ai nostri occhi. Collaboravi con la Voce della Campania, rampante e squattrinato mensile di inchieste scomode, eri ancora “funzionario” - “rivoluzionario di professione”, scherzavamo, ma neanche poi tanto, visto che spesso lo stipendio saltava e anche quando… era una specie di nota spese  - nell’organico striminzito della federazione PCI di Avellino. Nell’Irpinia del pre-terremoto avevi fatto tante assemblee di braccianti e guidato vertenze contro lo spopolamento della montagna. Che si concludevano con un pasto a casa del segretario di sezione e una “mappata” di cibo per il ritorno. Nel dopo terremoto avevi visto e vissuto l’infiltrazione  degli uomini  in carne e ossa della camorra napoletana in una zona “pulita”. Il nostro servizio ad Ariano non era un granché rispetto a questi grandi temi, temi che erano grandi allora solo per l’Unità, non per la filosofia editoriale degli altri giornali. C’era la direttrice del carcere-modello scivolata in un’inchiesta camorristico-boccaccesca, per dirla con i cronisti pigri. E tu che pigro non eri , ti beccasti una clamorosa piazzata della suddetta direttrice: “Enri’ tu qua trasivi e niscevi …. trasivi e niscevi”: tradotto significava che in qualità di dirigente di partito tu avevi avuto facilmente l’accesso al carcere e alle sue iniziative di socialità , e ora ripagavi così la dirigente in disgrazia. Tu rispondesti con uno dei tuoi sorrisi eleganti arrotando le erre con la voce impastata di fumo. Suppergiù rivendicasti libertà di espressione e di critica, poi scrivemmo tanti pezzi divertenti, e festeggiammo a spese dell’Unità in trattoria. Al ritorno a Roma avvertii i capi del giornale che ad Avellino c’era uno tanto bravo, intelligente, colto, che pensava di scrivere sul mondo come se il mondo potesse essere cambiato. Citazione con perifrasi dal tuo amato Bertolt Brecht. (Alle ragazze del giornale spiegai che quell’Avellinese era anche bello). E dallo spettacolo e dai “media “ saresti rimasto folgorato per tutta la restante vita: ci vedemmo spesso, ci sentimmo poi per telefono, non quanto avrei voluto, non quanto avrei dovuto: l’ultimo migliaio di sigarette lo bruciasti in giro per il meridione per uno spettacolo che inventasti nella tua furia civile a sostegno della paradossale e tragica persecuzione da parte della cattiva giustizia e della cattiva politica di un uomo giusto come Mimmo Lucano. E io ancora maledico il lockdown per avermi impedito di vederlo. Ecco, è morto un giornalista, un combattente. In una fase nella quale questa professione e quest’aggettivo non vanno più facilmente in coppia. Leggo già tanti accorati necrologi, che dicono dell’amore di tanti di noi per Enrico. Spero che non si associno ipocritamente  al nostro lutto direttori e colleghi che osteggiarono Enrico e che Enrico combattè, lui con eleganti e affilate parole, gli altri con coltelli nella schiena. Spero che tacciano  quei “sindacalisti di categoria” che negarono o centellinarono la solidarietà per le battaglie giudiziarie che minacciarono economicamente e ancora minacciano Enrico e la sua famiglia. Guerre giudiziarie a colpi di querele e di risarcimenti che per lui e per quelli della sua pasta sono la continuazione della battaglia politica per un mondo migliore “con altri mezzi”. Altra citazione di concetti e parole che hanno fatto il loro tempo, Enri’ , da quando “trasivi e niscevi” con le tue, le nostre speranze, nelle nostre vite.

Ps. Ed eventualmente salutaci Nuccio Ciconte non sia mai che qualcosa rimanga dopo la vita oltre ai nostri ricordi. 

Vincenzo Vasile

(Da Facebook, 8/11/21)

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