Il sindacato dei pensionati della Cgil giovedì 18 ha inaugurato presso la sede nazionale di via dei Frentani a Roma una targa commemorativa in ricordo di tutti i sindacalisti uccisi dalle mafie. A queste vittime innocenti due anni fa LiberEtà aveva dedicato il libro Terre e Libertà. Ed è proprio il volume a fornire lo spunto a molte iniziative sul territorio, come quelle dello Spi Cgil di Brindisi e della Campania.


Brindisi ricorda Giuditta Lovato

Lo Spi Cgil di Brindisi ha promosso un video dal titolo Il frutto dedicato alla storia di Giuditta Lovato, uccisa nel 1946 mentre guidava una protesta di contadini.Donna esemplare, modello di emancipazione, coraggiosa e intraprendente. Il video, nato da un’idea di Ada Acquaviva, attivista dello Spi di Brindisi, scritto da Luigi De Falco e interpretato dalla stessa Acquaviva, racconta la storia di Giuditta Lovato, vittima innocente che ha perso la vita per mano delle mafie in nome dei diritti del lavoro.

Prima ancora dello Stato, a opporsi alla mafia e all’intreccio perverso tra potere politico, potere imprenditoriale e criminalità organizzata, sono stati tanti giovani sindacalisti, attivisti, braccianti e contadini. Una lotta lunga più di centocinquant’anni, iniziata nella prima metà dell’Ottocento.

“Siamo convinti che la prima cosa da fare sia creare una rete sociale antimafia e rafforzarla ancor di più in un momento di grande crisi economica come quello che stiamo attraversando”, dice Michela Almiento, segretaria generale dello Spi Cgil di Brindisi. “Ed è importante non disperdere la memoria di chi ha perso la vita per difendere la legalità, persone comuni, lavoratori, sindacalisti che si sono battuti per difendere la propria terra, il proprio lavoro, in nome della giustizia sociale. Ecco perché abbiamo pensato di realizzare un video in memoria di Giuditta Lovato con l’obiettivo di farlo vedere al maggior numero di persone possibile”, conclude Almiento.


La storia di Giuditta

Ma chi era Giuditta Lovato? Con i decreti firmati nel 1944 dal comunista Fausto Gullo, ministro dell’Agricoltura nel primo governo di unità nazionale dopo la caduta del fascismo, iniziarono le grandi lotte per ottenere l’applicazione della legge osteggiata dai latifondisti meridionali per la distribuzione delle terre ai contadini riuniti in cooperative, Fu una lunga stagione di lotte e di scioperi che durò dal 1943 fino al 1953. Dopo la dura repressione per mano dei gabellotti mafiosi su mandato degli agrari, la riforma agraria, voluta dal ministro, fallì. L’occupazione delle terre in Calabria venne definita in quel periodo “la Resistenza dei calabresi”.

Quando nel 1946 Giuditta, nata nel 1915 a Calabricata da una povera famiglia contadina, venne a conoscenza dei decreti del ministro Gullo, si iscrisse al Partito comunista e fondò la cooperativa di contadini Unione e Libertà diventando un riferimento per tutte le donne della zona. Giuditta sosteneva le braccianti incitandole a protestare e rivendicare i terreni per poterli lavorare.

La mattina del 28 novembre 1946 Giuditta, già madre di due figli e in attesa del terzo, guidò un gruppo di contadini, donne e bambini contro il latifondista don Pietro Mazza, che non intendeva riconoscere i diritti dei contadini. Un suo sgherro, Vincenzo Napoli, esplose un colpo di fucile ferendo gravemente Giuditta. Morì due giorni dopo all’ospedale di Catanzaro. Aveva appena trentuno anni. Il figlio che portava in grembo non vedrà mai la luce. Prima di morire, la giovane contadina di Calabricata dettò il suo “testamento morale” al senatore comunista Pasquale Poerio: «Ho tutto dato io alla nostra causa, per i contadini, per la nostra idea. Ho dato me stessa, la mia giovinezza».

Ora, per onorare la sua memoria e il coraggio delle sue battaglie, abbiamo questo video che vuole parlare soprattutto ai più giovani, ai tanti ragazzi e ragazze che ogni anno partecipano con passione ai campi della legalità promossi da Arci e Libera insieme al sindacato pensionati della Cgil.

Per rafforzare il messaggio e dare il senso della lotta che quotidianamente si conduce in nome della legalità, il video è stato girato nei terreni confiscati alla mafia nel territorio di San Vito dei Normanni oggi gestiti dalla cooperativa Xfarm che gestisce cinquanta ettari di terreno nell’ambito del progetto Manifesto super-camp. Un tempo gli uliveti e i vigneti appartenevano a un imprenditore sanvitese. Sono stati prima sequestrati, poi confiscati e dal 2017 ospitano l’azienda agricola Xfarm gestita dalla cooperativa sociale Qualcosa di diverso che fa agricoltura innovativa. Adesso ne vuole fare anche un parco fruibile, un’oasi per la comunità.


L’impegno del sindacato sui beni confiscati

Quello dei beni confiscati e assegnati a cooperative sociali è un terreno di grande mobilitazione e iniziativa per il sindacato, in prima linea per contribuire a velocizzare i processi di assegnazione di questi patrimoni.

Erbé, Suvignano, Afragola, Scafati, Cerignola e Isola di Capo Rizzuto. Sono alcune delle realtà nelle quali i progetti di recupero dei beni confiscati procedono grazie all’impegno di associazioni del terzo settore e del volontariato, sindacato e istituzioni. Ma c’è ancora tanto da fare: gli immobili confiscati ma non ancora assegnati in Italia sono più di 19mila (le aziende quasi tremila).

E c’è un grande problema di trasparenza dovuto al fatto che non tutti i cittadini sanno che nel loro Comune ci sono beni confiscati. Gli enti locali avrebbero l’obbligo di comunicarlo, ma siccome non sono previste sanzioni manca questa fondamentale comunicazione tra istituzioni e cittadini.

In Campania per ricordare Antonio Ferraioli

Anche in Campania in occasione del 21 marzo il sindacato si è mobilitato con un’iniziativa che, in diretta Facebook, il 18 marzo ha coinvolto tra gli altri il fratello di Antonio Ferraioli, ucciso a Pagani dalla camorra a soli 27 anni.L’incontro, dedicato ai temi della legalità, della giustizia e del lavoro, si è aperto con un video sulle attività sociali ed economiche che – da Scafati a Casal di Principe, da Napoli ad Aversa – si svolgono all’interno di beni appartenuti a mafiosi e oggi trasformati in beni comuni. Luoghi sui quali si praticano un’economia e un lavoro legali e in cui “la battaglia tra bene e male – si è detto – non va lasciata in mano agli eroi ma a quelle della collettività”.

In un territorio che a breve riceverà ingenti risorse dall’Europa, il rischio da evitare è che le stesse finiscano in mano alla criminalità organizzata: è questo il concetto sul quale hanno concordemente insistito il prefetto vicario di Napoli Enrico Gullotti, il presidente della Fondazione Polis Tonino Palmese, il segretario generale della Cgil Campania Nicola Ricci, la segretaria nazionale Spi Daniela Cappelli.

“A ogni condizione di emergenza ha fatto seguito un salto di qualità della criminalità mafiosa, vedi l’esempio del terremoto del 1980”, ha affermato il segretario generale dello Spi Cgil Campania Franco Tavella. “Non dobbiamo dimenticare come siamo arrivati a questo punto. Nella nostra realtà abbiamo vissuto una lunga stagione nella quale l’illegalità è stata ben sopportata e, anzi, ha vissuto di connivenze con settori dello Stato e delle istituzioni. Il risultato è una devastazione culturale, economica e sociale esportata in altre aree del Paese. Le mafie sono organizzazioni sofisticate e hanno assunto una dimensione internazionale. Tutto ciò è stato possibile grazie alle connivenze con lo Stato. Grandi uomini delle istituzioni hanno pagato con la vita il loro impegno per combatterle, mentre loro colleghi hanno scelto la strada opposta. Non dobbiamo dimenticarlo perché il rischio è commettere gli stessi errori. Per il sindacato – ha aggiunto Tavella – si tratta di difendere le persone più esposte, più fragili, soprattutto nelle aree metropolitane e nelle loro periferie. Lottare per un lavoro legale che, ad esempio, scacci via dalla filiera agroalimentare la piaga del caporalato e dell’illegalità istituzionalizzata. Tutto questo dobbiamo farlo nel ricordo delle vittime di mafie. L’unico modo di onorarne il sacrificio è continuare nel loro nome la battaglia di civiltà nella quale siamo impegnati”.

“L’omicidio di Tonino coincide con l’ingresso della mafia nelle fabbriche – ha ricordato il fratello Mario Esposito Ferraioli – e i suoi valori sono riassunti nel titolo dell’iniziativa. Si è scontrato da subito con la dura realtà del lavoro. Era un cuoco in una mensa di lavoratori e i suoi piatti profumavano di legalità. Non si è fatto corrompere. I valori, quando ci sono, fanno la differenza. La sua morte non ha lasciato un vuoto, ma l’esempio di come si deve vivere. Non tutti lo hanno seguito, anche nelle istituzioni. Ci sono processi che si aprono e non riescono a chiudersi. Tonino stesso è stato riconosciuto vittima di camorra dopo 36 anni. Noi che lottiamo contro la mafia ci troviamo a volte a combattere anche contro questo”.


La storia di Tonino

Antonio Ferraioli, “Tonino” per gli amici, aveva appena 27 anni quando il 30 agosto 1978 venne assassinato dalla camorra. Aveva denunciato la gestione di alcune subforniture e il mercato parallelo, illegale, della macellazione delle carni. Nato a Nocera Inferiore nel 1951, Ferraioli lavorava come cuoco alla mensa interna della Fatme Ericsson di Pagani ed era stato eletto delegato sindacale della Cgil. Il suo impegno non si limitava però, alla difesa dei diritti dei lavoratori. Iniziò a indagare su ordini di carne avariata, di provenienza sospetta, usata all’interno della mensa. Pagò con la vita per le sue coraggiose denunce.

Oggi il bene confiscato più grande dell’area metropolitana di Napoli porta il suo nome, Masseria Antonio Esposito Ferraioli. Si estende su una superficie di circa dodici ettari. Dal 1° marzo 2017 è stato assegnato a una rete di cooperative, associazioni e organizzazioni.

libereta, 19:3/21