giovedì, marzo 25, 2021

Il governo cede sulla libertà condizionale ai boss. Avvocatura dello Stato: “Decida il giudice”. Di Matteo: “Così si realizzano obiettivi delle stragi”


GIUSEPPE PIPITONE

Durante l'udienza pubblica alla Consulta pure l’avvocatura dello Stato - che in teoria avrebbe dovuto difendere le leggi vigenti sull'ergastolo ostativo per conto del governo - ha aperto alla liberazione condizionale ai condannati all’ergastolo ostativo. Un cambio di posizione visto che inizialmente aveva chiesto di dichiarare l’inammissibilità o l'infondatezza della questione di costituzionalità sollevata dalla Cassazione. Il magistrato eletto al Csm: "Così smantellano il sistema complessivo di contrasto alle organizzazioni mafiose ideato e voluto da Falcone".


La crepa comincia ad allargarsi. Anche l’avvocatura dello Stato, che rappresenta il governo, apre alla possibilità di concedere la libertà condizionale ai condannati all’ergastolo ostativo che non hanno collaborato con la giustizia. E lo fa cambiando praticamente la sua posizione durante l’udienza pubblica davanti alla corte Costituzionale: non ha chiesto più di considerare inammissibile la richiesta della Cassazione, cioè quella di dichiarare incostituzionale la norma che vieta ai condannati al fine pena mai per fatti di mafia e terrorismo di accedere alla liberazione condizionale se non collaborano con la magistratura. Ma ha invitato la Consulta a emettere una sentenza che in gergo si chiama interpretativa di rigetto: la corte non dichiara incostituzionale la norma sull’ergastolo ostativo, ma riconosce al giudice di sorveglianza il potere di valutare a sua discrezione caso per caso. Significa che se il giudice vuole può concedere la libertà vigilata anche ai boss irriducibili, quelli che custodiscono i segreti delle stragi, a patto che abbiano scontato 26 anni di carcere. E senza che abbiano mai manifestato alcuna intenzione di collaborare con la giustizia. Un cambio di posizione, quello dell’avvocatura dello Stato, che probabilmente è stato influenzato anche dal cambio di linea del governo sul tema.

Di Matteo: “Smantellano il sistema di contrasto alle mafie”- Si attende il verdetto nella Consulta, atteso per la giornata di domani, quando i giudici si chiuderanno in camera di consiglio. Ma la posizione dell’avvocatura dello Stato provoca già il commento del giudice Antonino Di Matteo, esperto investigatore antimafia oggi eletto come consigliere togato del Csm. “Poco alla volta, nel silenzio generale, si stanno realizzando alcuni degli obiettivi principali della campagna stragista del 1992-1994 con lo smantellamento del sistema complessivo di contrasto alle organizzazioni mafiose ideato e voluto da Giovanni Falcone“, dice il magistrato, interpellato dal fattoquotidiano.it. Un’eventuale sentenza di accoglimento della Consulta, infatti, aprirebbe la strada di fatto alla possibile abolizione dell’ergastolo, cioè uno dei punti inseriti nel papello di Totò Riina, la lista di richieste allo Stato per fermare le stragi del 1992 e 1994.

Di Matteo: “Così si realizzano obiettivi delle stragi” – Al cosiddetto “carcere impermiabile” inventato per i boss delle stragi, dunque, rischia di arrivare un’altra picconata. Possibile anche grazie al cambio di linea dell’avvocatura dello Stato, visto che inizialmente, quando su input del governo precedente si era costituita in giudizio, aveva chiesto di dichiarare l’inammissibilità o l’infondatezza della questione di costituzionalità sollevata dalla Cassazione. Nell’udienza pubblica di oggi, invece, l’avvocato dello Stato Ettore Figliolia ha consigliato alla corte un’altra ipotesi: una sentenza interpretativa della Consulta di rigetto, che pur lasciando la norma così com’è, senza dichiararla incostituzionale, “assicuri uno spazio discrezionale” al giudice di sorveglianza permettendogli di andare al fondo delle ragioni per cui l’ergastolano non collabora. In pratica secondo l’avvocatura dello Stato il giudice deve valutare la possibilità di dare la libertà vigilata a un boss condannato al fine pena mai anche se non ha alcuna intenzione di collaborare con la giustizia. “Il Giudice di sorveglianza deve verificare in concreto quali sono le ragioni che non consentono di realizzare quella condotta collaborativa nei termini auspicati dallo stesso giudice”, ha affermato Figliolia, chiedendo ai giudici “una interpretazione costituzionalmente orientata di queste norme potrebbe consentire di procedere ad una esegesi della normativa”. Secondo l’avvocato dello Stato “il Governo non può non tenere in debita considerazione sia i principi evocati dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 253 del 2019, che della sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo Viola”, del 13 giugno 2019. Questi principi debbono essere adeguatamente sfruttati, soppesati, calibrati rispetto a quelle che sono le peculiarità della liberazione condizionale, peculiarità che sono evincibili dalla lettura dell’articolo 177 del codice penale”. Il riferimento è per la sentenza della Consulta che aveva aperto alla concessione dei permessi premio per i condannati irriducibili, e per quella della Corte europea dei diritti dell’uomo che aveva chiesto all’Italia di riscrivere completamente la norma sull’ergastolo ostativo. Dunque l’avvocato dello Stato ha chiesto alla Consulta di far “decantare ogni forma di automatismo”, ma di assicurare “uno spazio discrezionale al magistrato decidente in termini di verificare in concreto le motivazioni su quella mancata collaborazione che è condizione per ottenere il beneficio”.

Il caso al centro dell’udienza della Consulta – All’udienza pubblica di oggi si è arrivati dopo che la Cassazione ha sollevato eccezione di costituzionalità esprimendosi sul caso di Salvatore Francesco Pezzino, mafioso di Partinico, in provincia di Palermo. Condannato per mafia e omicidio, ha trascorso in totale 30 anni in carcere: nel 1999 aveva ottenuto la semilibertà, salvo poi perderla nel 2000 quando era finito sotto accusa di nuovo per altri reati. Considerato un “detenuto modello“, nel 2018 Pezzino ha chiesto al Tribunale di sorveglianza de L’Aquila di riconoscergli la libertà condizionale, prevista per tutti i detenuti che hanno scontato 26 anni di carcere, salvo, appunto, quelli condannati per reati di mafia che non hanno collaborato con la giustizia. Un divieto previsto dall’articolo 4-bis dell’ordinamento penitenziario, e dal decreto legge 306 del 1992, ispirato da Giovanni Falcone già con un decreto dell’anno precedente, e approvato dopo la strage di Capaci per provare a rompere la breccia di omertà di Cosa nostra, all’inizio della stagione delle bombe. Sull’articolo 4-bis, negli ultimi tempi si sono aperti due crepe: quello rappresentato dalla sentenza della Cedu che lo ha bocciato in toto – chiedendo all’Italia di riscriverlo – e la sentenza sui permessi premio della stessa Consulta del 2019. Due crepe che ora si potrebbero allargare.

La richiesta dell’avvocata: “No a fine pena mai” – “Non è possibile pensare di buttare la chiave per alcune tipologia di detenuti. Farlo sarebbe una resa dello Stato”, ha detto invece l’avvocata Giovanna Beatrice Araniti, legale di Pezzino, l’uomo al centro del caso che ha portato la Cassazione a sollevare la questione di costituzionalità. “E’ arrivato a oltre 30 anni di carcere”, racconta l’avvocata, ma proprio perchè non collabora “si ritrova a non poter avere una valutazione dei suoi progressi da parte del tribunale di sorveglianza”. Negare questa possibilità a lui e agli altri condannati all’ergastolo ostativo significa “etichettare questa categoria dei detenuti come non risocializzabili”, segnarli con una “lettera scarlatta“. Non solo: il cambiamento di un condannato, secondo l’avvocata, “non può essere misurato con la collaborazione con la giustizia”, che nemmeno garantisce il “sicuro ravvedimento”, dice Araniti, richiamando i casi dei “collaboratori di giustizia blasonati” che dopo aver fatto i nomi dei loro sodali sono tornati a delinquere. Secondo l’avvocata i condannati all’ergastolo ostativo “chiedono di avere l’opportunità di dimostrare di essere persone diverse”.

L’udienza pubblica alla Consulta – Giudice relatore della sentenza è Nicolò Zanon. Eletto al Csm nel 2010 su indicazione del Popolo delle Libertà, poi nominato alla Consulta da Giorgio Napolitano, Zanon ha fatto da relatore anche alla sentenza che nell’ottobre del 2019 definiva incostituzionale la parte dell’articolo 4bis sul divieto di accesso ai permessi premio, cioè il primo gradino dei benefici penitenziari, per i condannati all’ergastolo ostativo che non hanno collaborato con la magistratura. All’epoca alla Consulta sedeva anche Marta Cartabia, oggi guardasigilli di un governo che sembra aver cambiato linea sull’ergastolo ostativo, rispetto a quella dell’esecutivo precedente. Da quando è in via Arenula la guardasigilli non si è espressa sul tema specifico, ma è ampiamente nota la sua posizione sulla funzione riedecativa della pena. Ieri a parlare è stato invece il sottosegretario Francesco Paolo Sisto, di Forza Italia, che ha detto senza giri di parole: “L’ergastolo non deve essere legato alla collaborazione con la giustizia: io posso non collaborare ma aver rescisso i rapporti o collaborare e non averli rescissi”. Posizione molto diversa da quella di Alfonso Bonafede, l’ex guardasigilli dei 5 stelle che non condivideva la decisione della Cedu sull’ergastolo ostativo spiegando di voler fare valere le “ragioni di una scelta che lo Stato ha fatto, tanti anni fa, stabilendo che una persona può accedere anche ai benefici, a condizione però che collabori con la giustizia”. Insomma, nel govern la linea è cambiata. E contestualmente è cambiata pure la posizione dall’Avvocatura dello Stato.

IL FATTO QUOTIDIANO, 23/3/21

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