mercoledì, gennaio 09, 2013

Una piazza intitolata a Beppe Alfano, il cronista ucciso dalla mafia 20 anni fa


A Barcellona Pozzo di Gotto (Messina), sua città natale, due giorni di iniziative pubbliche per ricordare il giornalista assassinato l’8 gennaio 1993 per le clamorose inchieste in esclusiva su malaffare e corruzione. Aveva fiutato che il boss super ricercato Nitto Santapaola si nascondeva in paese
OSSIGENO – Roma, 8 gennaio 2013 - Sono trascorsi venti anni da quel terribile venerdì 8 gennaio del 1993, quando il giornalista Giuseppe Alfano, detto Beppe, fu assassinato con tre colpi di pistola poco lontano dalla sua casa di Barcellona Pozzo di Gotto, cittadina in provincia di Messina.
Due anni dopo si accertò che a ucciderlo era stata la mafia, e sei anni dopo il killer, il carpentiere Antonino Merlino, che aveva agito armato di una insolita calibro 22, fu condannato a 21 anni di carcere. Oggi la città in cui nacque e in cui fu ucciso gli dedica una piazza.Beppe era un insegnante di educazione tecnica che aveva fatto dell’impegno civile e della passione per il giornalismo d’inchiesta la ragione della sua vita. Corrispondente della “Sicilia” di Catania, aveva rivelato un grande scandalo che coinvolgeva nell’uso disinvolto di finanziamenti regionali alcuni amministratori pubblici della sua città e personaggi in odor di mafia. Si era fatto così molti nemici. Ma non si era fatto intimidire. Il suo fiuto e le sue fonti gli avevano fatto capire che i piccoli mafiosi di provincia di Barcellona e dintorni stavano facendo qualcosa di grosso. Aveva intuito che proprio vicino a casa sua nascondevano il capomafia super latitante Nitto Santapaola. Aveva cercato di segnalarlo alle autorità senza ottenere l’attenzione che sperava. A marzo del 1991 gli avevano bruciato l’automobile. A novembre del 1992 gli avevano offerto 39 milioni di lire per chiudergli la bocca e lui aveva rifiutato. E aveva capito che con quel “no” aveva deciso la sua condanna a morte.
Beppe lo aveva capito. Aveva capito che era scattata una trappola mortale alla quale difficilmente sarebbe riuscito a scampare. Pensava che non gli sarebbe bastato neppure lasciare la sua città. Aveva guardato in faccia la morte annunciata e perciò cominciato a preparare i suoi familiari, la moglie, il figlio Chicco e la figlia Sonia, a sopportare quell’evento. Il corruttore gli aveva annunciato: “non arriverai al 20 gennaio”. E lui lo aveva datto a sua figlia, a sua moglie, che da quel giorno vivevano in uno stato di angoscia e di oppressione permanente come racconta Sonia Alfano, con una lucidità che non nasconde lo strazio, nel libro autobiografico “La zona d’ombra. La lezione di mio padre ucciso dalla mafia e abbandonato dallo Stato”, Rizzoli 2011.
Sonia Alfano, che ha ereditato l’impegno del padre di lottare la mafia e il malaffare, è oggi parlamentare europeo e presidente della Commissione Antimafia del Parlamento Europeo. Scrive a pagina 48 del nel libro, sull’attività di suo padre: “Ad ogni articolo che pubblicava, scoperchiava un vaso di Pandora ed era ben conscio che così facendo dava fastidio a molti. Chi parlava troppo in Sicilia rischiava la fine di Libero Grassi (ucciso dalla mafia il 29 agosto 1991 per avere rifiutato platealmente di pagare il ‘pizzo’ alla mafia, ndr) e lui lo sapeva. Ma alle persone cui pestava i piedi mandava un messaggio molto chiaro: io non mi fermo. In un suo pezzo di quel periodo scrisse: ‘Barcellona ancora una volta è passata agli onori delle cronache nazionali e purtroppo nel modo e per i motivi peggiori. E non certo per colpa del cronista che ha certo il dovere di riferire e informare. Non è la stampa a incoraggiare, facendo da cassa di risonanza all’industria del crimine. Solo cervelli distorti o peggio ancora illanguiditi da puerili illusioni possono pensare di credere a simili balordaggini’. Non ne parlava bene, della sua città, Beppe Alfano. D’altronde, non poteva farlo: quello che raccontava era la verità”.
Quest’anno l’anniversario della morte di Beppe Alfano, soprattutto grazie all’impegno della figlia Sonia e dell’attenzione internazionale che ha saputo suscitare in Europa per la necessità di lottare più attivamente contro la criminalità organizzata, viene celebrato per la prima volta a Barcellona Pozzo di Gotto con grande rilievo, con due giorni di iniziative.
Lunedì 7 gennaio si svolge in città un vertice internazionale tra le forze di polizia. La giornata, organizzata come occasione di studio sul tema del contrasto alle mafie, prevede un momento dedicato alle tecniche investigative, uno sulla cooperazione giudiziaria e un altro sul ruolo dell’informazione e del giornalismo investigativo. L’incontro vede la partecipazione ai massimi livelli degli organismi investigativi e di contrasto al crimine organizzato italiani e internazionali. Tra questi l’Fbi e la Dea per gli Stati Uniti, la Bka – Ufficio federale per la lotta al crimine organizzato – per la Germania, Interpol, Europol, la Dia e lo Scico per l’Italia, oltre a magistrati antimafia e giornalisti. Martedì 8 gennaio le iniziative sono dedicate al ricordo del giornalista. Al Palazzetto dello Sport di Barcellona si svolge il dibattito sul tema: ‘La mafia odia la cultura: legalità e scuola per un futuro migliore’, alla presenza di centinaia di studenti provenienti da tutta la Sicilia. Mentre nel pomeriggio, dopo la messa, celebrata da don Luigi Ciotti al Duomo di Santa Maria Assunta, e l’intitolazione a Beppe Alfano della piazza antistante la sua casa, si tiene un convegno sul delitto e sull’ormai ventennale percorso per la ricerca della verità. Un percorso che dopo 13 anni ha visto affermarsi una verità giudiziaria, prima con la condanna definitiva a 30 anni di reclusione, il 22 marzo 1999, del boss Giuseppe Gullotti e, sette anni più tardi, il 27 aprile 2006, con quella di Antonino Merlino, l’esecutore materiale del delitto, condannato a 21 anni e sei mesi di carcere. Sentenze che però non risolvono tutti i sospetti, relativi alle trame dietro cui è maturato l’omicidio del giornalista, che aveva avuto il merito di un lavoro di rigorosa ricostruzione dell’organigramma delle cosche di quella zona, allora non ancora considerata ‘terra di mafia’. Tre giorni prima di morire, Alfano aveva consegnato alle autorità un dettagliato dossier, indicando il probabile rifugio del super boss Nitto Santapaola, allora latitante e secondo Alfano nascosto proprio a Barcellona Pozzo di Gotto.
Alla due giorni sono previste, nella giornata di lunedì 7, anche la presenza del figlio della giornalista Anna Politkovskaja, un contributo di Roberto Saviano e una esibizione dell’attore teatrale e consigliere regionale di Sel in Lombardia Giulio Cavalli, con uno spettacolo di denuncia sulla ‘ndrangheta.
www.ossigenoinformazione.it - martedì, gennaio 8

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