domenica, gennaio 07, 2024

 


Sebastiano Caspanello

L’emergenza sanità, in Sicilia, la toccano con mano quasi quotidianamente i siciliani stessi. Riscontrando l’assenza dei medici di base nei territori più periferici, trascorrendo ore in attesa nei pronto soccorso, facendo ricorso – chi può – alla sanità privata, laddove il pubblico non è in grado di dare risposte e di darne, soprattutto, in tempi accettabili. 

Se poi anche la commissione Salute dell’Ars, presieduta dal deputato messinese della Lega Giuseppe Laccoto, mette in piedi un convegno nel quale riunisce attorno allo stesso tavolo tutti gli attori di questa complessa scena regionale, e quel convegno lo chiama, appunto, “Emergenza sanità”, significa che le stesse istituzioni sono consapevoli di una crisi dalla quale – questo è il sottotitolo del convegno che si terrà il 18 gennaio a Palermo – bisogna uscire cercando “prospettive e soluzioni”.

«L’emergenza sta innanzitutto nella mancanza di medici – sintetizza Laccoto –, nei pronto soccorso, nell’assenza di figure chiave come anestesisti, cardiologi , ortopedici. Sta in una programmazione sbagliata nel passato e per questo abbiamo chiamato tutti gli attori principali del campo sanitario per focalizzare questa situazione, cercando di trovare una visione d’insieme. La sanità pubblica è in crisi in Sicilia, così come in tutta Italia. In tante audizioni, in commissione Salute, abbiamo raccolto le richieste e i disagi del territorio, specie delle aree più periferiche». 

I cittadini vivono i disagi e ne chiedono i motivi. Ad esempio chiedono il perché di questa carenza di medici.

«Una delle ragioni è da ricercare nel numero chiuso nelle facoltà di Medicina. Per avere uno specializzato dobbiamo aspettare 11 anni. E da qui a 2 anni la situazione sarà ancora peggiore, perché molti medici, o anche pediatri di base, andranno in pensione. Oggi dobbiamo pensare a delle soluzioni, partendo dalle nomine dei direttori generali, dalla programmazione triennale, dalla rete ospedaliera. Dobbiamo frenare la fuga dei medici dal pubblico». 

Perché c’è questa fuga?

«Certamente ci sono motivi economici, nel privato non c’è il limite imposto nel pubblico dal contratto nazionale. Oggi i medici hanno troppe responsabilità, nei pronto soccorso sono rimaste vuote 6 mila borse di specializzazione. E più i medici sono pochi, più i turni sono massacranti. Per questo chi è rimasto deve essere davvero considerato un eroe».

Il presidente Schifani ribadisce che i medici bisogna andarli a cercare all’estero.

«È una soluzione temporanea, che evidentemente non può essere definitiva. Anche perché, ad esempio, ad Agrigento alcuni medici stranieri presi dal pubblico sono poi passati nel privato».

E quali sono le soluzioni più strutturali?

«In Finanziaria regionale abbiamo previsto, ad esempio, un incremento delle ore eccedenti e degli incentivi per chi va nei pronto soccorso e nelle zone disagiate. Per l’emergenza urgenza bisogna tornare al passato, con la formazione e gli incentivi economici». 

Non si paga anche un gap infrastrutturale, nel pubblico?

«Non credo, nel pubblico, anzi, ci sono più possibilità, il punto è che i singoli medici non si sentono più soddisfatti. Poi bisognerebbe aprire un’altra parentesi e dire che il privato convenzionato non può rappresentare la concorrenza del pubblico».

Una linea di indirizzo era stata data con la riforma della sanità territoriale.

«Il Dm 77 e gli ospedali di comunità, certo. Ma il personale dov’è?».

La ratio, però, non sembra sbagliata. Potenziare la medicina del territorio per non sovraccaricare gli ospedali, che in fondo è la lezione impartita dal Covid. 

«La ratio è giusta, anche oggi, con il boom dell’influenza, gli ospedali sono intasati, perché manca la struttura territoriale. Ma ci sono anche altre criticità, il medico di base, ad esempio, non può essere un burocrate. E poi va potenziata la digitalizzazione del sistema sanitario. L’obiettivo del convegno del 18 gennaio è proprio quello di passare dal teorico ai problemi pratici, che ogni giorno sto vivendo, sia da presidente della commissione Salute che da sindaco».

Accennava al problema del numero chiuso di Medicina. Un tema sul quale c’è una certa resistenza nel mondo accademico.

«I rettori dicono che non possono garantire tirocini per tutti. Ma le soluzioni ci sono, la “scrematura” può avvenire dopo i primi due anni, non nella fase di accesso. Tanti giovani avevano l’ambizione di fare il medico e sono andati via, e non possiamo permettercelo».

A proposito dei direttori generali, invece, la politica non dovrebbe fare un passo indietro? 

«La politica deve scegliere i migliori, non possiamo permetterci una gestione clientelare della sanità. Da questa situazione di stallo e di emergenza bisogna uscire con visione e programmazione. Per questo il convegno vuol essere da una parte un campanello d’allarme, dall’altro un modo per dare risposte».

GdS, 7 gennaio 2024

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