domenica, gennaio 07, 2024

Fantozzi va alla guerra


Alberto Stabile

L’ineffabile ministro dell’insicurezza nazionale, Itamar Ben Gvir, quello che con largo anticipo sulla guerra contro Hamas ha deciso di inondare Israele e i particolar modo gli Insefuamenti nei Territori occupati, di armi “per la difesa personale” distribuite senza alcuna autorizzazione, ha rilanciato in un’intervista televisiva l’idea del “trasferimento volontario” e di massa dei palestinesi di Gaza nei paesi del mondo disposti ad ospitarli in cambio di danaro: Africa e America Latina, soprattutto. 

Il cosiddetto “Transfer”, parola presente da decenni nel lessico dell’estrema destra israeliana, a lungo censurata dalla maggioranza del paese, ma oggi diventata di gran moda, come gli stessi esponenti nazionalisti religiosi, passati dalle denunce dello Shin Bet alla guida del paese grazie alla fame di alleati di Bibi Netanyahu che ne ha bisogno come dell’aria per respirare, o per evitare di finire in galera, non è altro che la deportazione in massa di una popolazione dalla propria terra e, come tale, è un crimine contro l’umanità. Ma i vari Ben Gvir e

Smotrich e Amichai Eliyahu, tutte personalità di un sistema che si vuole democratico ma che rivela tratti di evidente suprematismo, preferiscono parlare di “voluntary relocation “, trasferimento volontario. Quasi fosse, quella di trasferirsi in Congo, una libera scelta dovuta all’aggravarsi delle condizioni di vita a Gaza, senza alcun ruolo o responsabilità da parte d’Israele. Che anzi, fantozzianamente, bisognerebbe ringraziare per la solerzia con cui si sta occupando del problema, prendendo i dovuti contatti con i paesi per così dire ospitanti: “Ma come è buono lei !”

In realtà, un piccolo promemoria può aiutare a capire che quello che si profila nelle proposte di Ben Gvir e compagni è un progetto di vera e propria pulizia etnica dell’intera Striscia di Gaza, privata della popolazione palestinese e resa nuovamente disponibile alla fondazione di nuovi insediamenti ebraici, senza il pretesto della legittimazione religiosa, ma con l’intento evidente di farne degli avamposti securitari.

Tre mesi di guerra, dal giorno del cruento attacco delle milizie di Hamas contro le comunità israeliane al confine con Gaza (1.137 morti e 139 ostaggi tutt’ora nelle mani del movimento islamista) non hanno permesso all’IDF di raggiungere gli obbiettivi stabiliti: distruggere Hamas ed impedire che possa continuare a rappresentare una minaccia per Israele. 

La tattica della terra bruciata si è trasformata in un’immane cc ecatombe di civili palestinesi. I morti sono quasi 23.000, i feriti oltre 50.000, secondo stime del ministero della Sanità di Gaza, retto da Hamas, ma convalidare dalle agenzie dell’Onu. Ma anche se, come si dice in Israele, dell’insieme di queste perdite, ottomila sarebbero di miliziani di Hamas, i conti per Israele sarebbero terribilmente in perdita. Di contro, interi quartieri sono stati rasi al suolo, 350.000 case sono state distrutte o rese inabitabili. Gli sfollati, forzati ad abbandonare le loro case per trovare rifugio altrove sono circa 1.900.000. Una massa di disperati in movimento, tra ricoveri sovraffollati nelle scuole dell’UNRWA, l’ente per il sostegno e il lavoro dei rifugiati palestinesi, provvisorie tendopoli sprofondare nel fango, campi profughi costretti a triplicare la popolazione puntualmente bombardati. Un inferno con centinaia di migliaia di bambini esposti alla fame, alla sete, alle malattie, perché, nonostante la risoluzione approvata il 21 dicembre dal Consiglio di sicurezza dell’Onu, di aiuti a Gaza continuano a non arrivarne, ne cibo, ne carburante, ne medicinali, con soli 12 su 35 ospedali per così dire funzionanti nell’intera Striscia.

E forse adesso si capisce perché ogni tentativo internazionale di attenuare quest’inferno imposto sui civili di Gaza abbia finito con l’arenarsi nelle sabbie mobili delle polemiche sollevate dai ministri dell’estrema destra, nello sterile attivismo più che altro verbale dell’amministrazione Biden, con il Segretariodi Stato Blinken ormai alla sua millesima, inutile missione, nella teatrale doppiezza del premier Netanyahu per il quale ormai s’e capito che la guerra è la soluzione al suo inesorabile declino giudiziario e politico.

Ma intanto è a Beirut e non a Gaza che cadono le teste dei capi di Hamas, con il rischio di un’estensione del conflitto che si gonfia ogni giorno di più. Mentre da Gaza continuano a partire i missili Kassam contro Israele.

Alberto Stabile

L’Ora, edizione straordinaria, 7/1/24

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