venerdì, gennaio 26, 2024

La tecnologia degli aguzzini. Così trasferivano i deportati

di DARIO VENEGONI 

La scheda originale di Mauthausen di Italo Tibaldi

A quasi ottant'anni dalla fine della guerra alcune ricerche gettano una luce nuova sui numeri della deportazione italiana, tanto da imporre una revisione anche di convinzioni consolidate. Non cambiano soltanto i numeri, ma la percezione stessa della vita – e della morte – degli italiani nei campi nazisti. 

Dovremo cominciare a modificare il nostro modo di vedere il fenomeno della deportazione politica. Purtroppo non sembrano essersene accorti gli atenei italiani, nessuno dei quali prevede un corso specifico sull'argomento, quasi che non ci sia più nulla da dire o da aggiungere a quanto già scritto ormai diversi anni fa.

Al contrario, la contemporanea apertura di diversi archivi – a cominciare dal più importante di tutti, quello di Bad Arolsen, in Germania – ci consente oggi di modificare il nostro punto di vista. È quasi una nuova storia della deportazione italiana, e segnatamente di quella politica, quella che bisognerebbe scrivere. L'Aned, l'Associazione degli ex deportati, ha avviato uno studio che non sarà concluso certamente prima del maggio 2025, ma che ha già dato delle importanti indicazioni.

Una storia da riscrivere

Nella sua ricerca l'associazione comprende tutti i deportati dall'Italia – compresi quelli che le Ss rinchiusero nei campi italiani di Fossoli, Bolzano e della Risiera di San Sabba – oltre agli italiani arrestati e deportati dall'estero. Di ciascuno di questi si cercano una cinquantina di informazioni, oltre alle foto: dare un nome a tutti è importante, lo è ancora di più restituire il volto a chi non c'è più. La ricerca sui deportati dall'estero è forse la più delicata. Occorre stabilire un confine netto che delimiti l'ambito della banca dati. Si è deciso così di inserire solo coloro che al momento della deportazione erano in possesso della cittadinanza italiana. Tale scelta ha comportato rinunce significative, come nel caso di Vittoria, la figlia di Pietro Nenni, morta ad Auschwitz, che però al momento dell'arresto aveva già assunto da tempo la cittadinanza francese: il suo nome non figurerà nell'elenco, mentre è già inserito nello studio sui deportati francesi. Sono comunque almeno un migliaio gli italiani arrestati e deportati in un lager nazista dalla Francia (soprattutto), dalla Germania, dall'Austria, dal Belgio e da altri paesi. 

Quelli che emergono in misura più vistosa sono però gli spostamenti da un campo all'altro. Sono oltre 16.000 gli italiani che furono trasferiti altrove rispetto al primo campo di arrivo. Un incessante andirivieni che ha coinvolto migliaia e migliaia di uomini e donne trasferiti da un luogo di concentramento a un altro, secondo logiche di cui non afferriamo ancora tutte le motivazioni, in pieno conflitto mondiale, quando verrebbe da dire che i trasporti avrebbero potuto essere impiegati altrimenti dai nazisti per cercare di vincere la guerra.

La tecnologia

Come gestivano le Ss questo colossale traffico? Si sapeva da decenni che esse utilizzarono anche una tecnologia americana, fondata su un sistema di schede perforate sulle quali venivano trasferite le caratteristiche di ciascun prigioniero, così da poter individuare meccanicamente in tempi strettissimi le persone adatte a seconda delle esigenze che si creassero in questo o quel lager. Si trattava della tecnologia Hollerith, dal nome del fondatore della Ibm che l'aveva brevettata, e che la casa americana era andata a vendere a Berlino ancora nel 1938, quando ormai le politiche criminali di Hitler contro gli ebrei e gli oppositori politici erano ben note al mondo intero. Il libero accesso a larga parte dell'archivio di Bad Arolsen, che custodisce milioni di record di vittime del nazismo, consente a chiunque oggi di verificare direttamente quanto fosse diffuso l'utilizzo delle schede perforate Hollerith nei lager. Nei luoghi nei quali si concretizzava l'obiettivo dello sterminio dei nemici del nazismo, Hitler utilizzava tecnologie che rappresentavano lo stato dell'arte non solo nella Germania, ma anche negli stessi Stati Uniti. Tutto ciò ci aiuta a riconsiderare la convinzione diffusa tra gli stessi superstiti, che nei loro racconti hanno spesso parlato di un criterio di sostanziale casualità nelle decisioni su questi spostamenti di prigionieri da un luogo all'altro, da una mansione all'altra. Niente di più lontano dal vero, sembrerebbe: nelle schede che seguivano i deportati nei loro trasferimenti da un luogo all'altro erano annotati non solo i dati anagrafici, ma anche il mestiere, le lingue conosciute e persino l'altezza e il colore degli occhi.

È accaduto in questo modo che Lodovico Belgiojoso, protagonista di primo piano dell'architettura italiana, una volta deportato a Mauthausen sia stato trasferito dove sarebbero tornate utili le sue competenze professionali, e magari anche la sua conoscenza, debitamente trascritta nella scheda perforata Hollerith, del tedesco, del francese e dell'inglese. 

Ci sono lager – come quello di Dachau – nei quali il trasferimento ha interessato addirittura la maggioranza dei deportati originariamente giunti lì.

Le cifre

Vanno conseguentemente aggiornati i numeri degli italiani deportati nei diversi campi. Per Dachau oggi conosciamo i nomi di ben 10.655 italiani; per Mauthausen 8.198; per Buchenwald 4.069 (quasi il doppio delle vecchie stime); a Flossenbürg 3.303 (anche qui, circa il doppio di quanto sapevamo).

Il caso più eclatante è quello di Natzweiler, lager oggi in territorio francese, non distante da Strasburgo, dove non arrivò mai un solo treno direttamente dal nostro paese, ma dove furono trasferiti ben 1.765 deportati politici italiani. È Natzweiler, dunque, il quinto campo per numero di prigionieri, prima di Dora e prima di Ravensbrück (in quest'ultimo furono deportate prevalentemente donne). Anche ad Auschwitz i deportati politici italiani furono molti di più di quanto ci era noto fin qui: furono oltre 1.200, in larghissima maggioranza donne delle province del nord-est della penisola. I luoghi nei quali il nazismo realizzò lo sterminio attraverso il lavoro degli oppositori politici italiani furono principalmente quelli del circondario di Mauthausen. A Gusen su 3.138 italiani ne furono uccisi 2.200, il 70,1 per cento. A Ebensee su 991 italiani gli uccisi furono 750, il 75,7 per cento. A Melk morirono in 384 su 491: il 78,2 per cento. Dal centro di sterminio del Castello di Hartheim nessuno è uscito vivo: 309 deportati, 309 uccisi con il gas. In totale a oggi conosciamo i nomi di 18.698 connazionali uccisi nei Lager nazisti: 7.703 ebrei e ben 10.995 politici. 

Si tratta di cifre terrificanti. Non sono giustificabili con il lavoro duro, col freddo, con le scarse razioni alimentari: non è un incidente se su oltre 4.500 antifascisti deportati nei campi citati prima tre su quattro non hanno fatto ritorno. Quando si parla di "sterminio attraverso il lavoro" si parla proprio di uno sterminio: questi numeri lo dimostrano. C'era da parte del nazismo la volontà di eliminare fisicamente qualsiasi voce di opposizione, e purtroppo questo disegno nel circondario di Mauthausen è stato realizzato con teutonica efficienza. Eppure tutto questo non interessa ad alcuna università italiana. Non è strano?

DARIO VENEGONI

presidente nazionale Aned


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