giovedì, gennaio 11, 2024

L’istituzione dell’Opera Nazionale Maternità e Infanzia nel 1925 e il ruolo delle donne negli anni ‘30-‘40. L’esempio di Solarino (Sr)

 

Ospedale Vasquez, Solarino, esterni, archivio comunale

di LAURA LIISTRO

La «questione femminile», affrontata dal capo del governo Benito Mussolini durante il discorso pronunciato il 26 maggio del 1927 dinanzi alla Camera dei Deputati, fu presentata come uno dei temi fondanti della politica estera e interna del regime in quanto fu sottolineava l’importanza della donna come fattore sociale produttivo. Lo Stato fascista collocava la campagna demografica all’interno della più ampia questione del «risanamento fisico e della razza», teso a contrastare i pericoli biologici che - secondo il regime - minacciavano l’Italia del primo dopoguerra.

Le donne vennero investite dalla società fascista di una missione da compiere «non meno sacra di quella del soldato verso la patria»: espletare con dedizione i compiti riproduttivi e materni per vegliare e «curare la razza» a partire dall’infanzia. La donna, quindi, non era una persona con i suoi diritti e i suoi doveri, ma un fattore riproduttivo della Nazione. 

Ospedale Vasquez, Solarino, esterni, archivio comunale


“Come donne italiane e fasciste voi avete dei particolari doveri da compiere: voi dovete essere le custodi dei focolari, voi dovete dare con la vostra vigilante attenzione, col vostro indefettibile amore, la prima impronta alla prole che noi desideriamo numerosa e gagliarda” (Mussolini, Discorso dell’ascensione). Ovviamente nessun riferimento e nessuna decisione a sostegno del lavoro femminile e dei servizi necessari per consentire alle donne e alle famiglie di mantenere i figli.

L’orientamento politico del regime in materia femminile iniziò a delinearsi meglio nel 1925, quando venne istituita l’Opera Nazionale Maternità e Infanzia (ONMI), ente assistenziale voluto dal ministro dell’Interno Luigi Federzoni che riuscì a materializzare il progetto d’assistenza sociale in tutti i centri urbani d’Italia sia grandi sia piccoli. 

Ciò lo dimostrano una serie di scatti fotografici e documenti comunali, conservati nell’Archivio comunale di Solarino (Sr) in cui sono visibili alcuni ambienti della struttura presso l’edificio Ospedale Vasquez.

Dagli antichi documenti comunali si evidenziano caratteristiche della gestione dell’ente come la disciplina adoperata nei confronti degli assistenti che non dovevano permettersi di “furtare” (rubare) neppure un semplice uovo previsto nella dieta dei fanciulli ed, infine, l’ideologia imposta ai dirigenti medici. Quest’ultimi erano il fulcro dell’amministrazione OMNI e, spesso, erano costretti a vivere nell’incoerenza politica e personale. Avevano, possiamo dire, una ‘doppia personalita’ politica: tenevano la tessera fascista, obbligatoria per lavorare, mentre in cuor loro mantenevano una ‘simpatia d’interesse’ verso il pensiero politico democratico. Non tutti ebbero lo stesso coraggio e la stessa coerenza di quei professionisti che, per restare fedeli con la loro ideologia antifascista, subirono in silenzio il confino.

L’ONMI, in Italia, presentò circa 5700 strutture già esistenti e fu incaricata di dimostrare la forza dello Stato capace di mutare la società e perfezionarla secondo progetti imperialistici.

L’escamotage per il finanziamento dell’ingente organismo, preposto al sostegno delle future madri, venne presto indicato dalla tassa sui celibi, entrata in vigore con decreto regio il 13 febbraio, caratteristica della lex Iulia de maritandis ordinibus augustea che rappresentò l’unica misura demografica fascista interamente rivolta agli uomini.

Questa campagna popolazionista fu essenziale al regime per ragioni di ordine sia economico sia di prestigio internazionale, infatti, si dimostrò altresì idonea ad implementare la bramosia di un governo  vilmente sessista.

La donna impiegata era invadente nel mondo patriarcale, perciò, il regime mussoliniano si dichiarò determinato a restaurare il tipo di famiglia pre-capitalistica, incentrato sulla subordinazione economica e morale della moglie al marito, nonché sulla rigida divisione delle mansioni.

La complicità della classe medica risultò determinante per la creazione dell’imponente opera di propaganda per la profilassi sociale.

Il regime, allo scopo di diffondere argomenti scientifici a sostegno della maternità, pubblicizzò, ad esempio, la relazione (inesistente) tra infecondità e sviluppo del cancro e le pratiche anticoncezionali e la manifestazione di malattie nervose.

La donna ed il suo sentimento risultò, incredibilmente, oggetto di studio legato all’intima «verità fisiologica» che governava la sua vita riproduttiva. Insomma, se  da una parte era indubbio che, per conformazione, «l’uomo ama(sse) la donna per la vulva» era molto chiaro che quest’ultima, organicamente tenuta estranea all’erotismo, potesse amare nell’uomo soltanto «il marito e il padre».

Ciò fu dimostrato anche dalla legislazione penale del tempo che, in materia di adulterio, disponeva per le mogli pene più severe, infatti, l’atto di infedeltà del marito aveva l’attenuante per cui la poligamia fosse da considerare nell’uomo come un fatto di natura.

Il Codice Rocco (1930) abbassava la pena in caso di abuso dei mezzi di correzione su moglie e figli ed erano ridotte anche le pene previste per i maltrattamenti (art. 572), mentre in caso di omicidio il massimo della pena era di otto anni e si limitava ad introdurre solamente un freno all’abuso, da parte degli uomini di casa, dei cosiddetti «correttivi» dell’uso di sistemi violenti che potevano legittimamente essere adoperati per correggere o per punire la condotta delle donne disobbedienti.

Il regime fascista tentò di rafforzare  uno stereotipo femminile, istituendo una serie di modelli esemplari, universi simbolici, come quello agreste, indifferenti alle reali condizioni di vita delle donne segnate, per lo più, dall’analfabetismo, dalla fatica e dalla povertà.

La natura della donna venne impiegata dal regime per rafforzare la norma del proprio valore politico. La maternità, fatta essenza della donna, divenne un modello ideale, assoluto e incondizionato. La funzione materna si tramutò nell’emblema della femminilità, raccogliendo in sé un codice di comportamenti pensati come coerenti alla stessa sostanza femminile: abnegazione, sacrificio e oblio di sé.

La donna dovrà attendere, purtroppo, molti anni ancora per respirare un cambiamento. Infatti, In Italia lo Ius corrigendi, ossia il diritto dell’uomo di educare e correggere la donna con metodi violenti, retaggio del mondo romano, sarà abolito dalla Corte Costituzionale nel 1956; invece il modello famigliare fondato sulla gerarchia dei sessi verrà sostituito da quello paritario soltanto nel 1975.

Laura Liistro 

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