sabato, gennaio 13, 2024

Lercara Friddi ha ricordato i caduti nella strage del 25 dicembre 1893. Una pagina tragica, che ha segnato l’esito della stagione dei Fasci

Il mio intervento di ieri sera a Lercara


DINO PATERNOSTRO

Lercara ha ricordato ieri sera, nel salone di Sartorio, la terribile strage del Natale 1893, all’epoca dei fasci siciliani, dove persero la vita ben 11 manifestanti, uomini e donne. Era il 130mo anniversario di quel 25 dicembre di sangue. 

Ed è importante che, a distanza di tanto tempo, nel terzo millennio, la comunità ricordi ancora simili tragedie. Merito dell’associazione “Segni e Sogni” e del suo presidente Pippo Furnari; merito del Rotary club e del Comune di Lercara. Bravissima l’attrice Liliana Sinagra, che ha letto brani struggenti di una mattanza voluta dal potere municipale, dalla mafia, dal padronato agrario e industriale per fermare contadini e zolfatari, che rivendicavano il loro diritto ad avere diritti. Insieme a loro, il docente Carmelo Botta, la dirigente scolastica Francesca Lo Nigro (appassionata la sua descrizione del ruolo da protagoniste delle donne durante i fasci), Antonio Mazzarisi, presidente del Rotary, il giovane assessore di Lercara, Fabio Oliveri, il prof. Michelangelo Ingrassia e chi scrive, direttore di Città Nuove e responsabile del Dipartimento Archivio e Memoria storica Cgil Palermo.  

Paradossale che la strage di Lercara e le altre stragi volute dalle forze dominanti (furono più di 100 i caduti tra i manifestanti, e solamente 2 i soldati dell’esercito) siano state utilizzate per chiedere (ed ottenere) dal governo Crispi la proclamazione dello stato d’assedio, lo scioglimento dei fasci, l’arresto dei suoi capi, il processo davanti ai tribunali militari e le condanne dai 12 ai 16 anni. 

Il corleonese Bernardino Verro, uno dei capi più influenti dei fasci siciliani, si era adoperato per liberare la sezione del fascio di Lercara da elementi “spurii”, interessati più alle lotte per il potere municipale che al miglioramento delle condizioni dei contadini d degli zolfatari. Aveva commissariato il sodalizio, tornandosene a Corleone. Non era a Lercara il 24-25 dicembre 1893, eppure venne accusato di avere aizzato i manifestanti. E, processato, fu condannato a 16 anni di carcere. Un’enormità. 

L’incapacità del giovane Stato unitario e della classe dirigente siciliana di dare risposte positive ai disagi dei contadini e degli operai, l’incapacità di far sentire protagonisti di un possibile sviluppo le classi popolari, determinarono l’acuirsi di una questione meridionale e siciliana, per certi versi, ancora oggi irrisolta. Ricordare dovrebbe significare adoperarsi per dare soluzione ai problemi del lavoro e dello sviluppo nella legalità dei nostri comuni, della Sicilia. Ma nascerà mai una classe dirigente capace di farlo?

Dino Paternostro 














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