martedì, gennaio 23, 2024

L'ORA/ Le pagine della memoria. CENT’ANNI FA LA MORTE DI LENIN, IL PADRE DELLA RIVOLUZIONE D'OTTOBRE

Lenin

di SERGIO BUONADONNA

Il 21 gennaio di cento anni fa, alle ore 18,50, moriva nella sua residenza di Gorki nell'oblast di Mosca, Vladimir Il'ič Ul'janov detto Lenin. Il padre della Rivoluzione d'ottobre, il bolscevico che mise in pratica le teorie di Carlo Marx, il capo del governo dei Soviet, aveva 54 anni. Pochi per morire, ma questo fu frutto di un tragico destino.

L'Ora – nei limiti della grafica e dell'impostazione dei giornali del tempo – dette il giusto rilievo alla notizia, che commentò e seguì fino ai funerali di popolo seguiti da un milione di persone.

Quelle che pubblichiamo oggi sono pagine straordinarie. Se potete, ingranditele e leggetele. Le dobbiamo alla preziosa collaborazione di Antonella Bentivegna della Biblioteca Centrale della Regione Siciliana da sempre attentissima alla storia, agli articoli, alle foto, alla documentazione dell'Ora, e alla passione che Gaetano Perricone pone alle pagine della memoria per la migliore riuscita della nostra pagina Facebook.

Dopo un secolo poche persone a Mosca hanno reso omaggio al fondatore dell'Unione Sovietica. A deporre un fiore presso il Mausoleo nella Piazza Rossa, dove è conservata la salma imbalsamata di Lenin, c'erano solo i membri del Partito comunista russo e alcuni nostalgici dal resto del mondo. Almeno fino a ieri nessuna dichiarazione di Putin, Vladimir anche lui ma quanto diverso, lontano e lugubre dal padre del socialismo reale.

È stato più celebrato in Italia, a Cavriago, il paese natale di Orietta Berti, un piccolo comune ancora “rosso” in provincia di Reggio Emilia, dove sabato mattina si sono date appuntamento le sigle politiche con falce e martello: dal Pmli al Pci, da Rifondazione a Socialismo italico. Si sono riunite in piazza Lenin, davanti al Busto del filosofo-statista, tra i pochi monumenti sopravvissuti nel mondo occidentale: quello principale è a Cuba. Il ricordo dei manifestanti in una nota dai toni retorici e d'altri tempi: “Siano le parole di Lenin, ancora una volta, a guidarci e spronarci, a darci forza e fiducia nella titanica ma esaltante lotta contro il marcio ed inumano sistema capitalista, per la conquista del socialismo e del comunismo”.

 

“La piazza – si legge in un dispaccio d'agenzia - fiammeggiante di bandiere e garofani scarlatti, è stata teatro di canti e slogan, di discorsi storici, analisi geopolitiche e comizi d’attualità sui diritti dei lavoratori e delle donne, contro "le guerre di invasione" come quella in Palestina; contro l’imperialismo americano e cinese, "fase suprema del capitalismo"; contro il "governo fascista della ducessa" Meloni". In tutto una sessantina di persone giunte dal nord e centro Italia; qualcuno da Napoli, perché il maltempo ha impedito. la trasferta a Capri dove resiste un monumento a Lenin.  

Ma nelle edizioni del 22, 23 e 24 gennaio 1924 che cosa racconta L'Ora, in quegli anni diretto da Salvatore Tessitore, ex docente di diritto canonico all'Università di Torino, perseguitato dai fascisti sia in Piemonte che a Palermo?

“Zut! Non parlate di Lenin”. Così Kamenev, uno degli storici dirigenti del Pcus, poi epurato e vittima delle Grandi Purghe ordinate da Stalin, allora dirigente del Soviet di Mosca, si rivolse ai giornalisti stranieri: Accidenti! Non occupatevi di questo argomento. Esso interessa solo i russi”.

Non c'è dubbio che il trauma fosse stato forte, ma Lenin era gravemente malato da anni. Anzi si può dire che aveva cominciato a morire cinque anni e mezzo prima quando al termine di un comizio in una fabbrica di Mosca e dopo essersi fermato a lungo a parlare con gli operai, subì l'attentato che gli sarebbe stato fatale.

Scrive Ezio Mauro su Repubblica di domenica: “Vladimir Ilic era a un passo dall’auto ma si voltò e fece in tempo a vedere la pistola nella mano destra di Fanja Kaplan, socialista rivoluzionaria che aveva già scontato dieci anni di prigione per un attentato contro un funzionario zarista. Tre spari, uno va a vuoto, una pallottola colpisce Lenin alla spalla sinistra e quel terzo proiettile perfora il polmone, risale, arrivando quasi fino al collo. Lo trasportano di corsa al Cremlino sulla sua auto, temono altri assalti, una manovra organizzata. Fanja, chiamata anche Dora, verrà condannata a morte in soli quattro giorni e subito giustiziata con un colpo alla nuca, come se la rivoluzione avesse fretta di chiudere la ferita. Ma proprio quel suo proiettile, con incisa una croce intinta nel curaro, verrà infine estratto quattro anni dopo all’ospedale militare di Mosca, perché secondo il professor Felix Klemperer rilasciava piombo nella carne di Lenin ed era quindi la vera causa del malessere, della stanchezza improvvisa, del nervosismo e dei mal di testa continui del Capo bolscevico, minando per sempre il suo vigore fisico. In realtà, la moglie di Lenin, Nadezda Krupskaja  sapeva che quella pallottola aveva agito più nel profondo, violando per la prima volta il corpo carismatico del leader sovietico e insieme il corpo mistico del comunismo rivoluzionario”.

Delle cause della morte – dovuta a un'emorragia cerebrale – dà conto L'Ora nell'edizione del 23 gennaio 1924, Lenin era assistito notte e giorno dalla sua compagna e da due infermieri. Viene annunciato “il lutto proletario per la durata di sei giorni”; in un comunicato dell'Internazionale comunista, firmato per l'Italia da Umberto Terracini, allora ventinovenne, si sottolinea che “l'opera di Lenin rimarrà incrollabile”.

Ancora il 24 il giornale dà conto dei funerali: “Una folla immensa l'accompagnava”. La folla piangeva sulla Piazza Rossa coi berretti calati sulle orecchie – ha scritto l'Unità di domenica -, bianchi di un nevischio gelato che si fermava sulle sopracciglia e sui baffi, cresceva sui giacconi. Un milione di persone, molti venuti da lontano appena si era diffusa la conferma che era successo davvero: Lenin è morto. Da lontano tutti fissavano il pallore della salma nella bara sulla piattaforma e le spoglie di Lenin portate a braccia da Stalin, Zinoviev, Kalinin e Kamenev, finché la bara fu issata in alto, davanti al vertice politico e al popolo. Adesso, secondo le intenzioni del Politbjuro che aveva deciso ogni cosa, il corpo simbolo della rivoluzione attraversava la soglia dell’eternità, e per la sua custodia era stato costruito il mausoleo di legno in cui Lenin veniva trasportato al suono della marcia funebre di Chopin, quando l’orologio sulla torre Spasskaja batteva le quattro del pomeriggio”.

Il mausoleo in legno fatto erigere per lui diventerà il mausoleo forse più famoso del mondo. Chi andando a Mosca, non ha visitato nella piazza Rossa la salma imbalsamata di Lenin, capolavoro di un gruppo di scienziati tra i più famosi del mondo?

L'Ora informa anche che al capo del comunismo “succede un triumvirato formato da Truviupa, Rykovv e Kamenev  che dovrà dar luogo all'elezione del nuovo presidente entro un mese”. In più il giornale dice la sua sulla Russia bolscevica. Mosca è vista come l'erede dell'antica e gloriosa Bisanzio; sulle sorti del comunismo il giornale ha molti dubbi, ma severissimi sono “La Tribuna” e “Il Giornale d'Italia”, ripresi dal quotidiano palermitano, secondo cui “Lenin era un mattoide carnefice del suo popolo, anche se questo nostro fratello è rimasto vittima di un fatale errore”.

Chiudiamo con il giudizio di un grande storico marxista. Scrive Eric J. Hobsbawm nel suo famosissimo “Il secolo breve”: “La rivoluzione era stata fatta non per portare la libertà e il socialismo alla Russia, ma per innescare nel mondo la rivoluzione proletaria. Nella mente di Lenin e dei suoi compagni, la vittoria del bolscevismo in Russia era innanzitutto una battaglia nella campagna che doveva portare alla vittoria del bolscevismo su una scala mondiale assai più vasta, e solo in tal senso era giustificabile”.

Dal Messico a Cuba, dalla Cina alla Corea del nord è andata così, e formalmente anche nell'Europa dell'Est dopo la seconda guerra mondiale. Ma questa è un'altra storia.  

Nelle foto: le pagine dell’Ora sulla morte di Lenin; Vladimir Il'ič Ul'janov, detto Lenin; lo storico inglese Eric J. Hobsbawm nella sua casa londinese il 7 settembre 1997, intervistato da Sergio Buonadonna

L’Ora, edizione straordinaria, 23/1/2024






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