giovedì, giugno 29, 2023

Palermo. Una “trattativa” Stato-mafia al Pagliarelli durante il lockdown

Salvino Sorrentino e il figlio Vincenzo 

Il clamoroso retroscena emerge dalle indagini sul clan del Villaggio Santa Rosalia Furono i boss a intercedere con la direzione del carcere per allentare le restrizioni ai detenuti

di Salvo Palazzolo

Durante i giorni più difficili del lockdown erano i boss di Cosa nostra a fare da ambasciatori di tutta la popolazione carceraria di Pagliarelli. È l’incredibile retroscena che emerge dall’ultima indagine della procura sul clan del Villaggio Santa Rosalia. 
Scrive il gip Walter Turturici nell’ordinanza di custodia cautelare che ha portato in carcere 26 persone: «In quel periodo, i detenuti intrapresero iniziative volte ad intercedere con la direzione dell’istituto di pena per avanzare alcune istanze volte ad implementare la lista dei generi vittuari da poter acquistare e, dunque, ridurre le limitazioni causate dalle restrizioni imposte a seguito dell’emergenza Covid». Queste rivendicazioni «in nome e per conto di tutta la popolazione carceraria sono state assunte dai detenuti dell’area cosiddetta “Alta Sicurezza”.

In questo contesto emergeva il ruolo di responsabilità di Andrea Ferrante all’interno del carcere, quale imprescindibile punto di riferimento per tutti gli altri esponenti mafiosi detenuti». Ferrante è uno dei boss più autorevoli del Villaggio: i finanzieri del Gico, con il contributo della polizia penitenziaria, lo hanno video intercettato mentre nella saletta della società parla con un altro mafioso importante del Villaggio, Giovanni Cancemi. Avevano sempre lo stesso tavolo riservato. E avevano a disposizione anche alcuni detenuti “lavoranti”, quelli che girano per il carcere con varie mansioni. Erano loro a portare notizie e pizzini, i biglietti erano sistemati dentro le bottigliette di caffè. 
Ma era la “trattativa” condotta dai boss a dare forza e autorevolezza ai capimafia. «Il 13 dicembre 2020 – scrive il giudice delle indagini preliminari - veniva richiesto ed ottenuto un incontro con la direzione da parte di una delegazione dei detenuti in regime di Alta Sicurezza così composta: Michele Madonia, Salvatore Sansone, Agostino D’Alterio, Francesco Pitarresi, Salvatore Ariolo, Cristian Cinà, Giuseppe Vassallo » . Insomma, il fior fiore della mafia palermitana. «Nel corso dell’incontro – si legge ancor nel provvedimento del giudice - i detenuti avanzavano alcune richieste, tra cui l’ampliamento di generi vittuari da acquistare per tramite del cosiddetto sopravvitto». Naturalmente, i boss sono abituati alle trattative a modo loro. E, allora, per portare avanti le loro istanze il giorno prima avevano fatto pressioni: Andrea Ferrante aveva organizzato una manifestazione di protesta con la battitura delle inferriate. Il boss venne intercettato mentre diceva: «Voi, per come sentite noi, iniziate» . Scrive ancora il giudice: «Tali direttive erano state impartite anche ad altri esponenti mafiosi di rilievo, di altri mandamenti, tra i quali Giuseppe Di Cara, uomo d’onore di spicco del mandamento di Porta Nuova» . Ferrante aveva pianificato la strategia dei boss: «E’ il discorso della spesa, la spesa la dobbiamo fare». Spesa che, fanno notare i finanzieri del Gico nel loro rapporto alla procura distrettuale antimafia, era uno dei «canali privilegiati per l’interscambio di comunicazioni riservate, sia a voce che tramite pizzini». I video registrati all’interno del carcere di Pagliarelli raccontano anche della riverenza che i detenuti avevano nei confronti di Ferrante. Nelle intercettazioni è finita la richiesta di un ospite della struttura che chiedeva aiuto al boss del Villagio per essere spostato di cella. 
Nel luglio del 2021, ci furono altre proteste dei detenuti. Ferrante venne intercettato in carcere mentre diceva a un compagno: «Dimmi una cosa… quella lista dove abbiamo messo le firme…appena tu ce l’hai nelle mani me la devi fare avere». La lista di altri generi alimentari da poter acquistare. Ferrante scoprì che due detenuti avevano poi cancellato la propria firma, andò su tutte le furie: «Lui cose mie non ne deve cancellare più! … te la posso dire una cosa io? Se la faceva un palermitano abbuscava di mia». 
L’indagine del nucleo di polizia economico finanziaria coordinata dal procuratore aggiunto Paolo Guido e dalla sostituta procuratrice Federica La Chioma è entrata nei segreti di una delle cosche più attive di Palermo: dal carcere i boss continuavano a gestire soprattutto affari. Il padrino più autorevole del clan, Salvino Sorrentino, era detenuto nel carcere romano di Rebibbia, ma neanche per lui era un problema interloquire con i complici in libertà: utilizzava le videoconferenze con la famiglia varate durante la stagione del Covid per organizzare dei veri e propri summit. I giudici autorizzavano solo i familiari al colloquio, ma a casa di Sorrentino arrivavano sempre i colonnelli della cosca. 

La Repubblica Palermo, 29 giugno 2023

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