domenica, marzo 24, 2024

La Resistenza a Roma e le Fosse Ardeatine

L’opera di RENATO GUTTUSO. L’artista tra il 1943 e il 1950 dedica tantissime opere ai massacri e agli orrori della guerra. “Fosse Ardeatine”, olio su tela del 1950, è esposto a Roma al Museo dei cimeli 

I nazisti massacrano 335 italiani È l’ora più buia ma dal loro sacrificio nascerà l’alba della speranza. La nostra memoria ottant’anni dopo

di Maurizio Molinari 

Dalle Fosse Ardeatine alla Liberazione, nel 1944 Roma vive la stagione della Resistenza contro i nazifascisti. L’ho conosciuta attraverso le testimonianze e i racconti di due personaggi che hanno accompagnato la mia formazione, Arrigo Paladini e Pacifico Di Consiglio. Diversi in tutto, tranne che nell’indomita volontà di battersi per la libertà contro l’invasore tedesco e chi collaborava con lui. Arrigo Paladini è un tenente dell’esercito italiano che l’8 settembre si trova alla stazione di Padova quando vede passare i carri bestiame con i detenuti e i deportati. È assieme ad altri soldati italiani. Aveva combattuto in Russia e stava tornando a casa. Quando vede i carri bestiame tenta di dare del pane ai deportati. I tedeschi lo notano e gli sparano addosso.

Da quel momento Paladini, che è stato in Russia come ufficiale, vede l’orrore del comportamento dei soldati tedeschi e decide di entrare nella Resistenza, di andare con gli Alleati: passa le linee clandestinamente, si consegna agli Alleati a Napoli e i servizi segreti americani dell’epoca diretti da Peter Tompkins lo incaricano di creare una stazione radio per coordinare l’azione delle bande partigiane e delle forze angloamericane a Roma. 

È l’avventura clandestina che affronta assieme a quella che è la sua fidanzata dell’epoca, Elvira Sabbatini. Entrambi sono stati alunni di Pilo Albertelli, ucciso proprio alle Fosse Ardeatine. I tedeschi danno la caccia a Paladini, che viene catturato nella notte fra il 30 aprile e il primo maggio 1944. A tradirlo è una delazione, una spia, e poi viene subito portato a via Tasso, il carcere della Gestapo, per essere interrogato. Davanti a lui ci sono Herbert Kappler e Erich Priebke, due fra gli aguzzini più feroci. 
Polizia tedesca ed SS si affidano a Kappler poiché considerano Paladini un prigioniero importante. Vogliono ottenere da lui informazioni sulla Resistenza e sugli Alleati. Subisce ben 24 interrogatori, ma Arrigo Paladini non parla. Ogni volta gli infliggono percosse violente, gli spezzano le ossa, gli tolgono le unghie. Sono torture fisiche, a cui si aggiungono anche quelle psicologiche, perché gli dicono che se non avesse parlato, se non avesse collaborato, avrebbero ucciso il padre Eugenio, un colonnello che era stato anche lui nell’esercito, catturato nei Balcani e deportato. 
Ma Paladini non si piega, non collabora con i nazisti. E quando decidono di ucciderlo, i tedeschi - fra il 4 e il 5 giugno - devono affrontare l’improvvisa avanzata degli Alleati e così lo lasciano in vita. Non riescono a portarlo con loro perché non è in grado di camminare. Il suo corpo è troppo devastato dalle torture, così lui sente l’ufficiale tedesco che gli dice che lo avrebbe ucciso l’indomani. Ma l’indomani mattina i tedeschi si sono già allontanati, verso la Cassia per poter fuggire, portando con loro alcuni altri detenuti di via Tasso, fra cui il sindacalista Bruno Buozzi che venne assassinato alla Storta. A via Tasso restano Giuliano Vassalli, che sarebbe diventato giurista, ma anche resistenti molto differenti, come il Gobbo del Quarticciolo, arrestato dai tedeschi perché si opponeva a modo suo, in quanto nella vita era un criminale. Sono stato più volte a via Tasso con Arrigo Paladini e mi ha mostrato la cella, al secondo piano, dove era stato detenuto. Con le sue mani mi ha fatto vedere sulle pareti le dediche incise con il chiodo di una scarpa alla sua fidanzata Elvira, così come i versi incisi, di Dante e Petrarca, considerati dai partigiani punti di riferimento di un’idea di patria italiana che in quel momento veniva violentata dai nazifascisti. Entrare con lui in quel secondo piano mi ha segnato, così come è avvenuto per i suoi racconti in cui descriveva la sua esperienza alle scolaresche, italiane e non. Anche tedesche. 
Anche Pacifico Di Consiglio è stato un resistente. Figlio del quartiere ebraico lungo il Tevere, nato e cresciuto in una famiglia molto povera, di fronte alle leggi razziali scelse di fare il pugile per essere pronto a battersi contro i fascisti, che facevano delle incursioni a Portico d’Ottavia. Quando sfugge alla razzia del 16 ottobre 1943 sceglie di tornare nel quartiere ebraico, di nascondersi nelle case abbandonate. E di dare la caccia a chi voleva deportarlo. I nazisti lo consideravano una preda da mandare al macello, e lui decise di battersi contro di loro. Sfidando non solo l’esercito occupante, ma anche molti correligionari che gli chiedevano di non essere “imprudente”. Ed anche lui, come Arrigo Paladini, aveva una fidanzata, Ada Di Segni. 
Pacifico Di Consiglio, detto “Moretto” per il colore dei suoi capelli, diventa in breve tempo l’unico partigiano ebreo a Roma. Si batte da solo, a mani nude o con le vanghe, contro i tedeschi. Li affronta, ruba le loro armi e gli spara addosso. Ed ognuna delle tre volte nelle quali viene catturato riesce a scappare in maniera rocambolesca. Grazie ad una fidanzata, apparentemente, perché in realtà si trattava della figlia di uno degli italiani che collaboravano con i fascisti. 
“Moretto” riusciva, attraverso di lei, a conoscere in anticipo le mosse di chi gli dava la caccia. Anche lui catturato, viene torturato. Quando si getta dalla sede della polizia fascista a piazza Farnese, rimane ferito. E quando capisce che gli americani stanno arrivando, il 4 giugno, gli va incontro, si unisce a loro e li affianca, aiutandoli a identificare i luoghi attorno a Porta San Paolo dove stavano i cecchini tedeschi. “Moretto” è stato un leone, un combattente. Proprio come un leone, un combattente, è stato Arrigo Paladini. Non credo che Paladino e Pacifico Di Consiglio si siano mai incontrati, ma sono due volti di una Roma unica, straordinaria, indomita, che non si è piegata all’orrore nazista, al giogo dell’occupante, non si è mai affiancata ai collaborazionisti fascisti. E che costituisce ancora oggi, con gli esempi che ci hanno consegnato, un modello per le nuove generazioni. Che la memoria di Arrigo Paladini e di Pacifico Di Consiglio siano in benedizione. 
È per ricordare i tanti Arrigo e Pacifico a cui ogni romano deve l’esempio della Resistenza, che Repubblica ha realizzato un libro e questo inserto con testimonianze e racconti che consentono alle nuove generazioni di rivivere un periodo buio, nel quale chi seppe avere il coraggio della Ragione ha consentito a tutti noi di godere del bene più grande: la nostra libertà.

La Repubblica, 23/3/2024

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