lunedì, marzo 25, 2024

A PALERMO SPARATORIE FUORI CONTROLLO NON C’È PIÙ LA MAFIA DI UNA VOLTA…


di GIOVANNI BURGIO

Un omicidio, un ferito e scontri tra bande

A Palermo, il pomeriggio di sangue di lunedì 26 febbraio 2024, con un morto e un ferito grave nel quartiere di Brancaccio, conferma che la Cosa Nostra di un tempo non c’è più. Non esiste più la Cupola che decide strategie e omicidi, non ci sono le figure autorevoli che comandano nelle famiglie mafiose, non scorrazzano indisturbati i gruppi di fuoco che mietono vittime. Inoltre, le nuove leve criminali non hanno più la “caratura” dei loro vecchi padrini. In sintesi: la Palermo di oggi non è più quella degli anni ’80 dominata dagli alleati dei corleonesi.

Abbiamo invece pseudo-boss che si atteggiano a “uomini d’onore” e giovani rampanti che si credono invincibili. Ma soprattutto, e questo è il fatto più importante, si affacciano sulla scena delinquenziale tanti affaristi-speculatori che non riconoscendo più l’autorità delle cosche, non solo non obbediscono alle loro regole, ma, quando vengono colpiti, reagiscono e vanno all’attacco. E addirittura, come i 26 febbraio, hanno la meglio uccidendo i boss locali. Si profila, in sostanza, nei quartieri di Palermo un rapporto da pari a pari tra mafiosi e nuovi criminali, tra chi vorrebbe comandare intere zone della città e chi fa soldi con i traffici illeciti.

La gestione dei “pannelli.com attraverso i quali passano le scommesse illegali on line è lacausa della morte il 26 febbraio di Giancarlo RomanoLa famiglia Mira, che forniva questo software ai vari centri dislocati sul territorio, negli ultimi due-tre anni avrebbe accumulato alcuni debiti nei confronti dei boss della zona, Giuseppe Arduino e Giancarlo Romano in testa, che rivendicavano la loro quota dovuta in quanto esponenti della famiglia mafiosa di Corso dei mille.

Andato a vuoto l’ultimo tentativo di riscuotere queste somme, Alessio Salvo Caruso, uomo di fiducia del Romano, avrebbe ferito con un tirapugni Pietro Mira nel garage di via XXVII maggio proprio dove si trovava la centrale dei pannelli on line. Saputo del pestaggio del figlio, Camillo Mira, per vendicare l’affronto, con un altro figlio, Antonio, va in corso dei mille dove è sicuro di trovare il Caruso. E davanti a un centro scommesse avviene la sparatoria che si conclude con il ferimento dell’anziano Mira. Immediatamente Caruso inforca la sua moto e va nel tabacchi di Romano per organizzare la risposta all’agguato subìto.

La spedizione di ritorsione ha come obiettivo via XXVII maggio, dove c’è anche l’abitazione dei Mira. Ed è qui che nel conflitto a fuoco fra i Mira, Romano e Caruso, viene colpito a morte Giancarlo Romano e ferito gravemente Salvo Caruso. Il confronto-scontro fra malavitosi di quartiere e boss locali si risolve quindi con i primi che prevalgono sugli altri.

Il duello a colpi di pistola tra la gente, l’inseguimento nelle vie del quartiere avvenuto in pieno giorno, l’omicidio e il ferimento, accelerano le indagini, già avviate da tempo, da parte della DIA che il 3 marzo emette 9 mandati di cattura nei confronti delle cosche di Brancaccio-Corso dei mille.

A capo di queste famiglie mafiose ricadenti nei territori di Roccella, Guarnaschelli, Corso dei mille e Sperone, ci sarebbe Giuseppe Arduino, ex portiere dell’albergo San Paolo che, scarcerato quattro anni fa, dalle retrovie della cosca ha fatto strada, fino a sostituire Cesare Lupo, Antonino Sacco e Giuseppe Faraone.

Nelle intercettazioni abbiamo la conferma che se da un lato dentro Cosa Nostra le regole oggi non sono più tanto rigide come un tempo, dall’altro allontanarsi dai clan per questi uomini non è una scelta tanto semplice. Dicono infatti fra loro le nuore dell’Arduino “Ora sono cambiate le cose e uno può fare quello che vuole”, alludendo all’eventualità del ritiro del suocero dall’attività criminale. Decisione che comunque il capofamiglia non avrebbe mai preso perché “avrebbe perso il potere e diventato niente. Questo per loro è una vergogna”.

Il numero due di questa zona di Palermo sembra essere stato proprio la vittima dell’omicidio del 26 febbraio, Giancarlo Romano, 37 anni, che viene definito dagli inquirenti come il reggente della famiglia di Corso dei mille. Oltre a controllare le estorsioni, il traffico di stupefacenti, il gioco d’azzardo, avrebbe gestito la cassa della famiglia mafiosa.

Con precedenti penali, il 6 maggio 2018 è stato fermato a Cassino insieme a Antonio Lo Nigro, detto “’u ciolla”, cugino dello stragista Cosimo Lo Nigro. Dopo l’arresto di Antonio Lo Nigro nel maggio del 2022, Romano ne avrebbe raccolto l’eredità, scalando rapidamente le cariche all’interno della cosca.

Nelle intercettazioni si può ascoltare il suo proclama a favore della mafia e l’invettiva contro lo Stato: “Noi abbiamo degli scopi, degli ideali, che non dobbiamo fare morire. E preghiamo il Signore che certe cose non finiscano mai. Noi siamo contro lo Stato, siamo contro la polizia.”. Poi c’è lo sconcerto per l’attuale stato di Cosa Nostra: “A Palermo siamo a terra, siamo in ginocchio, siamo gli ultimi, siamo Zingari. Il livello è basso, bassissimo, perché parliamo di una panetta di fumo. Quelli di una volta (i boss di una volta, ndr), se ti parlavano di fumo, una nave di fumo ti facevano arrivare. Cioè oggi tu rischi 30 anni di carcere per 10.000 euro. Io vedo invece questi yacht, queste persone che scendono dagli yacht, ed è lì che si fanno gli affari seri. Il business è lì. Lì si muovono 300 milioni e rischi 3 anni”.

Romano quindi esprime il suo sogno di potenza e scalata sociale che si infrange però contro la triste realtà di oggi: “Quello che ho in testa non è prendermi a schiaffi con lo spacciatore, ma avere pensieri di politica, manovre politiche. Se tu vai all’università conoscerai quelli che hanno comandato l’Italia e l’Europa. Quando si parla di massoni, sono gente con certi ideali e messi nei posti importanti. E noi invece cosa possiamo fare? Oggi il livello è basso. Arrestano uno e si fa pentito. Entrano in carcere e parlano”. Infine, ancora una volta manifesta il suo dissenso per come vanno le cose: “Allo Sperone ci sono un macello di picciriddi che hanno problemi con la giustizia. Io non lo permetterei mai che un bambino spacciasse droga, perché è contro i miei principi, contro i miei valori”.


Anche Alessio Salvo Caruso, il ferito nella sparatoria, avrebbe avuto un ruolo di primo piano nella cosca. Già condannato per estorsione a cinque anni, appena scarcerato sarebbe diventato l’uomo di fiducia di Romano compiendo intimidazioni e prendendo parte a riunioni riservate di capimafia.

Gli investigatori hanno descritto come l’intero clan avrebbe gestito le estorsioni con la tecnica della “tenaglia”, cioè il sistema attraverso il quale un particolare territorio veniva chiuso in un cerchio all’interno del quale tutte le attività avrebbero dovuto pagare, dal piccolo esercente al grande imprenditore. E infatti si sono riscontrate estorsioni non solo nei confronti di un albergo, di bar, di negozi d’abbigliamento, ma anche verso piccoli esercizi come panifici e barbieri, fino a riscuotere pure dagli ambulanti. Perfino gli abusivi che vendono i rotoloni di carta per strada dovevano chiedere il permesso, perché comunque non si permetteva di fare concorrenza ad altri ambulanti amici dei boss. E tra gli altri si è pure registrato il caso del pagamento del pizzo attraverso le cassate che venivano distribuite in quantità tra gli uomini della cosca.

Nell’inchiesta sfociata in questi arresti si è documentato il controllo sui cosiddetti “sfasci”, le autodemolizioni dove finiscono le vetture da rottamare; in particolare su quelli di viale Regione siciliana ricadenti nella zona Roccella-Guarnaschelli. Ed è emersa anche la vicenda dell’autorizzazione dei boss all’apertura di un parcheggio privato vincolata all’assunzione di un guardiano appositamente indicato.

L’ulteriore tassello messo a segno dal blitz del 3 marzo è il collegamento, seppur lontano e parziale, con le risse e l’omicidio di Lino Celesia del dicembre 2023. I duelli, gli scontri, le pistolettate, l’omicidio, avvenuti il 10, 16, 21 dicembre 2023 in via Quintino Sella, via Isidoro La Lumia, via Pasquale Calvi, sarebbero tutti connessi fra loro essendo stati ingaggiati da due opposte bande rivali dello Sperone e della Zisa.

Da alcune conversazioni telefoniche registrate dopo questi fatti è emerso che alcuni ragazzi che avevano partecipato agli episodi di violenza sarebbero stati in contatto con Alessio Salvo Caruso, e che ci sarebbe stato il successivo intervento del Romano per far cessare gli scontri. Ma l’atmosfera era talmente surriscaldata che lo stesso Romano si mostrava scettico sul tentativo di placare gli animi, tanto da affermare “Pacificazione per ora niente”. Infatti il 21 dicembre, davanti la discoteca Notr3, dopo l’ennesimo confronto armato fra le due fazioni c’è stata l’uccisione di Lino Celesia.

Giovanni Burgio

25 marzo 2024

https://gioburgio.wordpress.com/2024/03/25/a-palermo-sparatorie-fuori-controllo/

Nessun commento: