giovedì, marzo 23, 2023

La difesa dell’oro blu. Due miliardi di persone hanno sete: «Siamo sull’orlo di una crisi globale»

Un gruppo di ragazzi attinge acqua dai pozzi in un villaggio africano: la sete endemica del continente viene affrontata sempre più spesso attraverso i progetti di cooperazione che, prima ancora dei governi, vedono protagonisti organizzazioni della società civile e del mondo cattolico

DANIELE ZAPPALÀ

Tornano alla mente le parole di San Francesco d’Assisi: «Laudato si’ mi’ Signore per sora acqua, la quale è molto utile et umile et pretiosa et casta». In queste parole semplici sentiamo la bellezza del creato e la consapevolezza delle sfide che implica il prendersene cura. In questi giorni si svolge a New York la seconda Conferenza dell’Acqua dell’Onu... Auspico che l’importante evento possa accelerare le iniziative in favore di quanti soffrono la scarsità di acqua, questo bene primario. L’acqua non può essere oggetto di sprechi e di abusi o motivo di guerre, ma va preservata a beneficio nostro e delle generazioni future. (Papa Francesco all’Udienza generale di ieri)

Quei «non sappiamo» proferiti o messi per iscritto dagli esperti non rimano con omertà. Ma con l’ammissione di un’ignoranza che, a proposito della sfida cruciale di dissetare l’umanità, pare oggi sempre meno giustificabile e vieppiù colpevole. In effetti, in tanti Paesi e regioni, la ricerca d’acqua non avanza e si ignora spesso dove forare per attingerne dal sottosuolo.

Ma una cosa invece emerge chiaramente, come s’evince dall’ultimo rapporto annuale specifico dell’Unesco, pubblicato ieri per la Giornata mondiale dell’acqua e l’apertura a New York d’una cruciale conferenza internazionale sul tema: l’umanità ha sempre più sete e resta altissima la proporzione di quanti non accedono ad acqua e servizi igienico-sanitari sicuri. La conferenza di New York, considerata la più importante sull’argomento dal lontano 1977, s’è dunque aperta in uno strano clima sospeso fra grande allarme e forti speranze. L’allarme riguarda il «rischio imminente d’una crisi globale dell’acqua», come martellano l’Unesco e l’agenzia Un-Water, evidenziando che a più d’un quarto della popolazione mondiale, ovvero a circa 2 miliardi di persone, è negato «l’accesso a una fornitura d’acqua potabile gestita in sicurezza ». Insomma, acqua pulita per dissetarsi senza ammalarsi. D’altra parte, sull’altro versante dell’uso idrico individuale, l’igiene e i servizi sanitari, la fetta d’umanità ai margini sale ancor più spaventosamente, fin quasi a metà del totale, ovvero circa 3,6 miliardi di persone senza «accesso a impianti igienico-sanitari gestiti in sicurezza». Due cifre che da sole la dicono lunga su quanta strada resti da percorrere per raggiungere il sesto obiettivo di sviluppo sostenibile dell’Agenda Onu 2030. Numeri che mettono pure rabbia, dopo anni e anni d’avvertimenti ascoltati spesso dai politici con un solo orecchio.

Eppure, ed è qui che si viene catapultati in una speranza non meno accesa, la Terra è tutt’altro che priva d’acqua dolce potenzialmente a disposizione dell’umanità, anche considerando l’aggravarsi della minaccia del cambiamento climatico. Nonostante i tanti fiumi e laghi in secca in mezzo a terreni riarsi, il sottosuolo terrestre cela quantità d’acqua dolce che in teoria potrebbero largamente soddisfare quell’1% ormai costante di crescita annuale nel consumo idrico da parte di un’umanità più numerosa che impiega il grosso dell’acqua captata per agricoltura e siti industriali.

In questo mondo «terribilmente lontano» dagli obiettivi sottoscritti dalla comunità internazionale, « possiamo fare tutti qualcosa per accelerare il cambiamento», ha esortato nelle ultime ore il portoghese António Guterres, segretario generale dell’Onu. Non si può più tergiversare prima di «un programma ambizioso d’azione sull’acqua che possa offrire a quest’elemento vitale per il nostro mondo l’impegno che merita».

Organizzata proprio per spronare una comunità internazionale ancora troppo inerte davanti al nodo fondamentale, la conferenza di 3 giorni a New York giunge nel bel mezzo del Decennio d’azione delle Nazioni Unite per l’acqua e la sanificazione delle risorse idriche.

In termini finanziari, secondo uno studio citato nel rapporto, lo sforzo necessario sarebbe dell’ordine di oltre 1.000 miliardi di dollari l’anno d’investimenti entro il 2030. Occorrerebbe anche molta più cooperazione, tanto internazionale, quanto locale, fra tutte le parti coinvolte — questo il tema approfondito nel rapporto appena pubblicato —, dato che le principali riserve sotterranee d’acqua non obbediscono di certo alle frontiere. Ma occorrerebbero pure più scienza, più consapevolezza, più tecnici e professionisti ben formati, più volontà politica per sormontare un’emergenza che prende pieghe vieppiù drammatiche in ampie aree del pianeta.

A Bassa, un quartiere povero di Douala, capitale economica del Camerun e metropoli fra le più popolose d’Africa centrale, la gente s’accalca affannosamente a ogni ora davanti ai rubinetti del pozzo privato del locale birrificio Guinness.

Ma dall’Africa in piena crescita demografica giungono pure certi esempi incoraggianti d’accordi virtuosi che hanno propiziato passi da gigante a livello locale, come nel caso dell’uso concertato del bacino idrografico del fiume Tana, in Kenya, da cui proviene oggi il 95% dell’acqua dolce bevuta a Nairobi. Spostandosi nelle Americhe, il rapporto cita invece l’esempio del Fondo per l’acqua di Monterrey, in Messico, che ha preservato la qualità dell’acqua e fra l’altro limitato le inondazioni.

Avvenire.it, 23/3/2023


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