sabato, marzo 11, 2023

Mafia, Spatuzza libero dopo 26 anni


Da due settimane non ha i vincoli della detenzione in casa a cui era sottoposto dal 2014

Virgilio Fagone

Il superkiller di Brancaccio torna in libertà. Gaspare Spatuzza, il mafioso al soldo dei boss Graviano accusato di quaranta omicidi e poi passato tra le fila dei collaboratori di giustizia, ha ottenuto dopo 26 anni di carcere e domiciliari la liberazione condizionale. Spatuzza, 59 anni, catturato nel 1997 durante un movimentato blitz della squadra mobile tra i viali dell’ospedale Cervello di Palermo, da due settimane non ha più i vincoli della detenzione domiciliare a cui era sottoposto dal 2014.

Per cinque anni dovrà osservare alcune prescrizioni, come non frequentare «abitualmente» pregiudicati o non uscire dalla provincia in cui abita senza autorizzazione. La decisione sulla liberazione condizionale è arrivata dopo che la Cassazione, nell’aprile scorso, aveva annullato con rinvio l’ordinanza del Tribunale di Sorveglianza di Roma che in precedenza aveva negato la liberazione condizionale. Ora la nuova pronuncia della stessa Sorveglianza, su parere favorevole delle procure antimafia interpellate. Dopo una lunga detenione, così, Spatuzza può godere dei benefici della cosiddetta legislazione premiale per i collaboratori di giustizia.

Spatuzza, detto ‘u tignusu pervia della sua calvizie, condannato all’ergastolo per le stragi del ‘92, sulle quali ha fornito preziose indicazioni, soprattutto sulla preparazione dell’autobomba usata per uccidere il giudice Paolo Borsellino e gli agenti della scorta il 19 luglio del ‘92 in via D’Amelio, fornendo particolari utili allo smchermento del depistaggio, dopo 11 anni di carcere ha deciso di parlare con i magistrati. Le sue dichiarazioni sono servite, peraltro, a mandare a processo per le stragi di Capaci e via D’Amelio anche Matteo Messina Denaro, procedimento ancora in corso davanti alla corte d’assise d’appello di Caltanissetta. Durante la detenzione, Spatuzza, che all’epoca della sua latitanza era solito girare con una mitraglietta e che si è reso protagonista di atroci delitti, come quello del piccolo Giuseppe Di Matteo, ha iniziato un percorso di conversione religiosa, ha chiesto il perdono alle vittime. Ha presentato anche un memoriale sulla morte di padre Pino Puglisi, assassinato dalla mafia a Brancaccio da un commando del quale faceva parte egli stesso. Un delitto voluto per interrompere il percorso di riscatto avviato dal sacerdote, poi divenuto Beato, a Brancaccio, il quartiere dominato dai Graviano.

Ieri il fratello di don Puglisi ha ricordato il suo incontro con Spatuzza. «L’incontro con il killer che chiedeva perdono ha cambiato anche me. Mi sono sentito liberato, sollevato da un peso», ha affermato Franco Puglisi. Dopo dieci anni di isolamento, Gaspare Spatuzza aveva manifestato l’intenzione di parlare con i parenti della vittima. Scrisse una lettera. A consegnarla fu don Vincenzo Russo, cappellano del carcere di Sollicciano, a Firenze, che si precipitò a Palermo.

«All’inizio ero perplesso, titubante - ha ricordato Puglisi - ma ero curioso di conoscere questa persona che scriveva di aver fatto un percorso di pentimento rispetto al passato da mafioso. Accettai di vederlo dopo alcuni mesi di riflessione. Non era facile per me conoscendo tutte le malefatte di cui era accusato». L’incontro si tenne in Toscana al di fuori delle strutture penitenziarie. Durò un’intera giornata. Ma i due, il killer reo confesso e il fratello della vittima, non furono mai soli. «Era diverso da come appariva nelle immagini delle televisioni e dei giornali. Era commosso, mi sembrava davvero addolorato per quello che aveva fatto. Capivo che le sue parole erano espressione di una macerazione interna aiutata dal cappellano del carcere dov’era rinchiuso. Più volte richiamava brani della Bibbia. Diceva che la lettura del Vangelo lo aveva trasformato. Non ho avuto l’impressione si trattasse di una impostura».

Non sappiamo quanto quella giornata abbia confermato Spatuzza nella sua scelta di collaborazione con la giustizia e di pentimento interiore. «Ma so che quelle ore passate insieme, l’aver sentito direttamente il dolore che provava, mi hanno lasciato più sereno. Non so se l’ho perdonato. Ma non ho più avuto l’astio di prima. Forse è stato un incontro importante per entrambi. Per me sicuramente. Del resto il perdono è un dono reciproco del Signore». Intanto la giustizia ha fatto il suo corso. «Sentire che adesso è libero non mi provoca alcuna emozione, né caldo né freddo, sono indifferente a questa notizia. Se non avessi passato con lui una giornata forse non sarebbe stato lo stesso - ha aggiunto Franco Puglisi - non so se lo incontrerei nuovamente, non ho alcun interesse. Ma gli auguro di rifarsi una vita, se ciò è possibile. Adesso nei suoi confronti non ho alcun rancore. Se lui si è pentito veramente, sarà stato perdonato da Dio e se è cosi perché dovrei condannarlo io?».

GdS, 11/3/2023


Sabella: «È un vero pentimento, rilevante il suo contributo»

Andrea D’Orazio

«Grazie al cielo la nostra legge prevede dei benefici penitenziari per quei detenuti che, collaborando con la giustizia, portano contributi attendibili e rilevanti alle indagini. E non c’è il minimo dubbio che Gaspare Spatuzza rientri nel novero di queste persone». Alfonso Sabella, giudice al Tribunale di Roma, per anni nel pool antimafia di Palermo guidato da Giancarlo Caselli, dove come sostituto procuratore ebbe un ruolo determinate nell’arresto di alcune figure di spicco di Cosa nostra tra le quali Bagarella, Brusca, Aglieri e lo stesso Spatuzza, commenta così il ritorno in libertà del «Tignusu», sottolineando subito che la normativa che ha consentito la fine della detenzione domiciliare «non va certo valutata con il metro etico - perché se così fosse, visto che parliamo di criminali, andrebbe rigettata de plano - ma va accettata come strumento, senza il quale, nel contrasto alla criminalità organizzata, saremmo ancora all’Abc».

Sabella, come definirebbe Spatuzza: vero pentito o «solo» collaboratore di giustizia?

«Durante la detenzione il mafioso ha iniziato un percorso di conversione religiosa e chiesto perdono».

Dobbiamo credergli?

«Nella mia carriera professionale ho incontrato tantissimi collaboratori e pochissimi pentiti. Credo che Spatuzza rientri in questa seconda categoria, anche perché i criminali che hanno fatto una vera, profonda revisione morale non erano in realtà di origine mafiosa, così come la persona di cui stiamo parlando. Spatuzza, difatti, non aveva né genitori mafiosi né un background culturale profondamente legato a Cosa nostra, e fu “combinato” uomo d’onore da Brusca e Messina Denaro solo dopo l’arresto di Fifetto Cannella, nel 1996, perché non c’era più nessuno da affiliare nel mandamento di Brancaccio intorno al quale avevamo fatto terra bruciata. Detto ciò, è bene ricordare che per accedere ai benefici penitenziari lo Stato non richiede pentimento interiore».

Quanto ha dato Spatuzza alle indagini su Cosa nostra?

«Ha avuto un ruolo molto importante. Determiniate per quanto riguarda la strage di via D’Amelio. Nel mio libro “Cacciatori di mafiosi”, pubblicato nel 2008, dunque prima che il mafioso cominciasse a parlare, scrivevo che l’attentato in cui morirono Borsellino e la sua scorta, accollato dalla Cassazione agli uomini della Guadagna di Pietro Aglieri, l’avevano invece compiuto quelli di Brancaccio: una verità sulla quale Spatuzza fece poi luce, squarciando il velo sul depistaggio di Stato».

Si aspetta qualcosa di simile da Messina Denaro, anche se il boss ha già disertato il processo in cui è imputato come mandante delle stragi di Capaci e via D’Amelio?

«Non parlerà, e il fatto che abbia nominato la nipote come legale difensore rappresenta un segnale chiaro, rivolto ai suoi: non ha la minima intenzione di collaborare. Poi per carità, tutto può succedere, ma non credo cambi idea, anche in ragione della sua malattia, che non lascia molte aspettative».

E se invece, proprio per la grave malattia, arrivasse addirittura un pentimento?

«È un’eventualità che può valere per le persone che non hanno nulla da perdere. Non è il caso di Messina Denaro, che ha una famiglia molto ampia: se inizia a collaborare, non potrà non parlare anche di chi gli sta più vicino».

La liberazione di Spatuzza richiama subito la legge sull’ergastolo ostativo, varata di recente. Da giudice, come vede la riforma?

«In Italia abbiamo fatto degli errori gravissimi sia sul 41 bis, strumento essenziale per la lotta alla mafia ma fuori misura per altri reati, sia sull’ergastolo ostativo esteso anche a materie criminose che non giustificano la privazione dei diritti fondamentali. Ciò premesso, la riforma mi sembra equilibrata, perché lega i benefici penitenziari non più solo alla collaborazione, ma anche ad una comprovata interruzione dei rapporti tra il detenuto e le mafie». (*ADO*)


GdS, 11/3/2023

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