martedì, marzo 28, 2023

IL LIBRO. Storia del pesce d’aprile: Pitrè racconta le burle ai più stolti


di Amelia Crisantino

Nel suo continuo esplorare il continente delle tradizioni siciliane Giuseppe Pitrè si ritrova a fare i conti anche col pesce d’aprile, e l’argomento quasi gli sguscia tra le mani: nel 1886 pubblica degli Appunti per il “Giornale di Sicilia»”, ci torna sopra nel 1889 e nel 1902 arriva a un’edizione definitiva di sole cinquantuno pagine, che però raddoppiano le sedici pagine degli Appunti iniziali, ed è quest’ultima edizione che viene adesso pubblicata come Breve storia del pesce d’aprile, con saggio introduttivo di Carlo Lapucci e un’appendice di Roberta Barbi (edizioni Graphe.it, 95 pagine, 9 euro). Il pesce d’aprile non è siciliano, Pitrè è pronto a dimostrarlo. Scrive lo studioso che «trenta e più anni fa, novanta su cento Siciliani che sapessero di lettere

non conoscevano la burla del pesce d’aprile»: solo quei pochi che avevano relazioni commerciali con la Francia o con Genova potevano saperne qualcosa. 
La confidenza con le burle di quest’allegorico pesce è pertanto recentissima per la sua epoca: anche il pesce d’aprile è arrivato con l’Unità e, a giudizio dell’etnoantropologo, si limita alle medie e alte sfere sociali. Insomma a quei «Siciliani che leggiucchiano un giornale qualunque» senza mai arrivare al popolino propriamente detto. E i giornali non sembrano ispirare molta fiducia al nostro autore, sono fogli che ogni santo giorno «ci fanno raccapricciare con descrizioni minute di disastri ferroviari… esecuzioni capitali, avvelenamenti, suicidi e amorazzi infami». Tutte cose che vanno a disturbare quella cultura tradizionale propria della Sicilia più autentica, sempre più percepita a rischio dissolvimento man mano che passano gli anni. 
Pitrè riepiloga le usanze che si ripetono simili in tutta Europa tranne che in Spagna, ed è sempre lo stesso meccanismo a fare scattare la burla: prendere in giro qualche semplicione incaricandolo d’assolvere incombenze impossibili, ad esempio trovare una fune per legare il vento oppure oggetti che non esistono, come un bastone con una sola estremità. 
Nell’Alta Bretagna s’accoglieva il malcapitato che aveva fallito nella sua missione «con una padella in mano e al grido Poisson da rilancio » si fingeva di metterlo in padella per correre a friggerlo. E certo, nei paesini dove di ognuno si conoscono vita, morte e miracoli, se uno è finito nella metaforica padella che a tutti quanti ne mostra la dabbenaggine c’è da star sicuri che gli altri non lo dimenticano, e da qui risate e versacci ogni volta che lo incontrano. 
Le origini di un’usanza in fondo poco rassicurante sono doverosamente oscure e controverse, gli indagatori sono stati tanti ma non abbastanza eruditi da arrivare a qualche certezza: addirittura, qualcuno ha ricondotto il pesce d’aprile a «uno scandaloso significato fallico» ma il pudico Pitrè in nota chiarisce che, se non s’inganna, «le nostre signore non sono le principale attrici delle farse d’aprile». E la morale è salva. 
Lo scherzo “equivalente” al pesce d’aprile che Pitrè ritrova in Sicilia è l’Alleluia, che quasi sempre ricorre in aprile: nelle funzioni del sabato santo, al primo apparire del Cristo risorto si pronunciava “Alleluia” e questa voce ebraica dal significato sconosciuto era stata trasformata in oggetto misterioso, da tenere sotto chiave. La mattina del sabato santo c’era sempre qualcuno a cui dare l’incarico di andare a prendere la chiave dell’Alleluia, lo si mandava di qua e di là in posti sempre più improbabili perché «di grulli non fu mai penuria in questo mondo», conclude Pitrè. 
E alla fine lo studioso recupera anche la Spagna, un Paese che non conosce il pesce d’aprile ma il 28 dicembre anche là si fanno burle non sempre innocenti; dalla Spagna l’usanza è arrivata in America, dove il 28 dicembre ci si diverte a spese degli sciocchi perché in fondo, fatti i dovuti distinguo, «tutto il mondo è paese!». 

La Repubblica Palermo, 28/3/2022

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