giovedì, aprile 24, 2014

Giuliana, è "guerra" in paese per il Crocifisso della pioggia!

Il Crocifisso di Giuliana, scultura lignea
cinquecentesca, su croce 
di diaspro
di ANTONINO G. MARCHESE
Il “caso” del Crocifisso della pioggia: una errata corrige da ri-correggere. Memoriale (tra cronaca e storia) 
«Bisogna sapere che la storia ci appartiene», soleva dire il grande medievista francese Jaques Le Goff, recentemente scomparso, che passò la vita all’ombra delle cattedrali, per indagare l’anima e la mentalità dell’uomo medievale (non solo santi e banchieri), colto nella sua “quotidianità”. Un pensiero sinergico a quello di Giovanni Paolo II, il papa Santo, allorché soleva affermare che «un popolo senza memoria non ha futuro», dopo aver dato una sua personale definizione del termine “cultura” (nel discorso pronunciato all’UNESCO nel 1980): «Cultura è ciò per cui l’uomo, in quanto uomo, diventa più uomo». Sulla stessa lunghezza d’onda di papa Wojtyla si muoveva il pensiero di un nostro grande arcivescovo della Chiesa monrealese, il compianto mons. Cataldo Naro, il quale, intervenendo in data 12 aprile 2003 all’apertura dei lavori del convegno di Campofiorito sulla storiografia municipale, dopo aver trattato della “forza e debolezza dell’identità locale” e della “importanza e delicatezza dell’opera dello storico locale”, così concludeva: «Un’ultima considerazione mi sia permessa, anche in forza della mia veste di vescovo.


Mi rivolgo a storici che si occupano di storia locale in cui ha avuto una parte determinante la presenza della Chiesa e i cui libri sono, di fatto, ricostruzioni delle vicende delle comunità ecclesiali locali, illustrazione degli edifici di culto, valorizzazione di prodotti dell’arte cristiana […]. Su questa strada ancora oggi è possibile sperimentare forme positive di sinergia tra identità cristiana e identità locale, intesa come articolazione imprescindibile dell’identità civile. Senza dire che, per la tradizione della Chiesa, il radicamento nella località non esclude ed anzi postula un allargamento alla dimensione universalista del cattolicesimo» (C. Naro, Presentazione a L’isola ricercata. Inchieste sui centri minori della Sicilia. Secoli XVI-XVIII, a cura di A.G. Marchese, Palermo 2008, p. 16).
Ciò premesso, passo a riportare alcuni brani dagli scritti di due grandi storici ecclesiastici della Sicilia del Novecento: il canonico Gaetano Millunzi (del primo ‘900), della Chiesa monrealese, e il canonico Domenico De Gregorio (ultimo ‘900), della Chiesa agrigentina, sebbene in ordine inverso. Quest’ultimo, nel secondo volume della sua storia della Chiesa agrigentina (Agrigento, 1998), trattando delle devozioni religiose della diocesi, tra l’altro così scrive: «La devozione a Gesù Crocifisso come è doveroso per un popolo cristiano, è molto diffusa nella diocesi agrigentina: lo si onora particolarmente durante la quaresima e la settimana santa, nei venerdì sacri o sacrati dei vari periodi dell’anno secondo le costumanze dei paesi e con feste esterne alle tradizionali del 3 maggio, invenzione della croce, secondo il vecchio calendario, e del 14 settembre, sua esaltazione (corsivo mio).
Tra quest’ultime rientra la devozione al Crocifisso di Giuliana, che ab antiquo cade nel primo venerdì dopo Pasqua, o «infra l’ottava di Pasqua», come attestano gli antichi documenti ecclesiastici della diocesi agrigentina, alla quale Giuliana appartenne sino al 1844, anno in cui (con la bolla “In suprema militantis Ecclesiae” di papa Gregorio XVI) passò all’arcidiocesi di Monreale, alla quale appartiene a tutt’oggi. Anche la Chiesa monrealese “ratificò”, per così dire, tale tradizione, come attesta il canonico Gaetano Millunzi nel suo “Prospetto storico dell’arcidiocesi di Monreale” (edito nel Bollettino Ecclesiastico del 1911), laddove, trattando della “Chiesa del SS. Crocifisso” di Giuliana, così scrive: «Antica leggenda dice che persona sconosciuta abbia consegnato in quell’epoca un divoto simulacro del Crocifisso ai PP. Carmelitani di S. Antonio, i quali alla lor volta lo consegnarono alla Compagnia di S. Margherita. Questa lo espose al pubblico culto nella propria chiesa, e se ne valse nelle processioni di penitenza e nelle adunanze mensili del sodalizio. Il 24 aprile 1579, venerdì infra l’ottava di Pasqua, a causa di una grande siccità il popolo e il clero tenendo dietro al proprio Crocifisso, mosse in religioso pellegrinaggio verso Caltabellotta per impetrare la pioggia dal SS. Crocifisso che ha una statua assai pietosa in quel Comune. Però quando il pellegrinaggio era a circa tre miglia da Giuliana [in contrada Piscopo], si turbò improvvisamente il tempo, e ne venne giù una pioggia abbondantissima. Allora l’arciprete Cesare D’Anastasio rivolto al popolo con entusiasmo di fede e di gioia disse: speravamo la grazia dal Crocifisso di Caltabellotta, ma ecco l’abbiamo ricevuta da questa santa imagine nostra! E a questa santa imagine io devo in questo momento la miracolosa guarigione di un male che da anni mi tormentava all’inguine! Da questo giorno comincia la sacra celebrità del Crocifisso di Giuliana: allora molta gente dai comuni circonvicini venne a offrire preghiere e voti di ringraziamento, e il popolo di Sciacca offri per il pavimento della chiesa mattonelli bellamente smaltati, sui quali era rappresentata la processione di penitenza del 24 aprile, e la grazia della pioggia». Trent’anni dopo, il 12 novembre 1609, il vescovo agrigentino Vincenzo Bonincontro, in Sacra Visita a Giuliana, poteva ammirare «l’altare maggiore con l’imagine del detto Santissimo Crocifisso benissimo ornato e di giusta misura».
Dopo avere descritta la chiesa del Crocifisso (come fu poi chiamata quella di S. Margherita) nelle sue linee architettoniche, il Millunzi così procede: «Sin dal 1580 la festa del Crocifisso si celebra con pompa solennissima il venerdì dopo la Pasqua, e però quel giorno chiamasi volgarmente il Venerdì di Giuliana ossia la festa del Crocifisso dell’acqua», accennando brevemente alla «tradizionale devozione dei marinai di Sciacca», che era quella di portare a Giuliana per il dì festivo una gran quantità di pesce, al punto che ben presto la “pasta con sarde” assurse per i giulianesi a cibo rituale della festa del Crocifisso. Questa forma di “sagra del pesce”, sopravvive ancora oggi (con la presenza dell’ultimo pescivendolo saccense, Luigi, peraltro ormai giulianese pro ductionem uxoris) e si sposa bene con il lezionario feriale della messa del Crocifisso di Giuliana, che essendo una festa mobile (oltre che feriale), legata alla Pasqua, rimane identico riguardo alla lettura del Vangelo, che riporta proprio il brano de “la pesca miracolosa” (Giovanni, 21, 1-14 “Gesù appare ad alcuni discepoli”). Diversamente dagli altri evangelisti, che presentano significative diversità cronologiche, dunque San Giovanni posiziona questo miracolo «in un momento successivo alla risurrezione, dando a Gesù l’occasione di mangiare del pesce e di dimostrare così di non essere un fantasma, ma un uomo in carne ed ossa» (R. Debray, La Bibbia nei capolavori della pittura. Nuovo Testamento, 2004, p. 8). Numerosi artisti, nel corso dei secoli, si sono ispirati a questo episodio evangelico, tra cui il pittore rinascimentale tedesco Konrad Witz, autore de La pesca miracolosa del Museo d’Arte e di Storia di Ginevra.
Una festa mobile, dunque, legata alla Pasqua, quella del Crocifisso di Giuliana, detta per antonomasia “U Jornu ‘u Signuri” dai giulianesi, approvata e riconfermata ufficialmente dalle autorità ecclesiastiche diocesane (i vescovi di Agrigento e poi di Monreale) e persino da due sommi pontefici, se anche Clemente VIII, con sua bolla del 22 aprile 1602, concesse l’indulgenza straordinaria parziale di 500 giorni, poi resa plenaria da Benedetto XIV, «a chi visitasse divotamente la detta imagine del Crocifisso [di Giuliana] dai primi vespri sino all’occaso della ferie VI dopo Pasqua» (la fonte è sempre il Millunzi). Precisiamo che i vescovi di Agrigento che si sono succeduti nel governo della diocesi da quell’epoca (1579-80) al 1844 (anno in cui Giuliana passò alla circoscrizione diocesana di Monreale) sono ben 25, da monsignor Antonio Lombardo (1579-84) a monsignor Ignazio Montemagno (1837-39), e che gli arcivescovi di Monreale da questa data a oggi sono ben 14, da monsignor Domenico Benedetto Balsamo (1816-1844) a monsignor Michele Pennisi (dal 2013). Senza dire che monsignor Naro riconfermò la festa del Crocifisso di Giuliana, secondo il calendario tradizionale, nella circostanza della Visita pastorale del 2005, effettuata nei giorni dal 27 febbraio al 1° marzo, e poi ancora nel nuovo statuto della stessa confraternita del Crocifisso (2006). Né vanno trascurati i 17 parroci arcipreti di Giuliana che si sono succeduti da don Cesare D’Anastasio (1576-1621), il parroco testimone dell’evento miracoloso, a don Mariano Giaccone (1983-2012). Quest’ultimo, nel corso del suo trentennale ministero sacerdotale a Giuliana, ha più volte chiesto alla Curia monrealese il relativo “nulla-osta” per la celebrazione della festa del Crocifisso nella sua data propria.
 La Vara del Crocifisso portata a spalla 
dai confratelli e fedeli il primo venerdì 
dopo Pasqua
La celebrità per tutto il Regno di Sicilia del Crocifisso di Giuliana, dovuta ai suoi miracoli, fu registrata per tempo dallo storico della Sicilia sacra Rocco Pirro (vedi l’ediz. del 1713, vol. I, pp. 749-50), mentre dal canto suo il viceré Francesco de Lemos, conte di Castro, nel 1619 rilasciava una speciale licenza per la questua alla confraternita di Giuliana, «essendo il Crocifisso di Giuliana tanto miracoloso, come è noto per tutto il regno» (Millunzi). La confraternita (o compagnia) del Crocifisso di Giuliana assunse tale nome nel 1602, sotto il governo del vescovo di Agrigento Giovanni Horoczo De Cavarruvios (1594-1606), ma era la stessa che, sotto il titolo di Santa Margherita, esisteva già nella seconda metà del XV secolo, al tempo dei vescovi agrigentini Domenico Xarth (1452-1471) e Giovanni De Cardellis (1472-1479). Vestiva «di sacchi bianchi con li mantelli verdi», come apprendiamo dalla citata Visita Pastorale di Monsignor Vincenzo Bonincontro del novembre 1609 (Archivio Storico Diocesano di Agrigento, Registro visite, anno 1608-1609).
Tuttavia, il valore della tradizione conta ben poco per il nuovo parroco don Luca Leone, corleonese, subentrato nell’ottobre 2012 al bisacquinese don Mariano Giaccone, il quale lo scorso anno (2013) ha cancellato ex-abrupto (e con motu proprio) la festa religiosa del Crocifisso, che cadeva il 5 aprile (primo venerdì dopo Pasqua), allorché la chiesa del SS. Crocifisso (che custodisce il venerato simulacro ligneo cinquecentesco) rimase “chiusa”, per così dire, per “errata corrige”. Proprio così, poiché quella cadenza calendariale, a suo avviso, è sbagliata. Quali siano, poi, le reali motivazioni di siffatta radicale scelta il parroco in effetti non le ha mai chiarite esaustivamente, né tantomeno con un documento scritto; ma sembra che si tratti di motivazioni d’ordine liturgico, trovando una incongruenza, o incompatibilità, bell’e buona quella dei giulianesi di festeggiare il loro Crocifisso, ovvero il Cristo morto, nell’ottava di Pasqua, cioè del Cristo risorto. Ma se le cose stanno davvero in questo modo, perché non debba essere l’arcivescovo di Monreale a “rettificare” con un documento ufficiale tale incongruenza passata inosservata ai suoi predecessori? (dopo evidentemente aver modificato lo statuto della confraternita del Crocifisso). E’ quanto si sono chiesti numerosi fedeli giulianesi sin dallo scorso anno. Un dubbio che ha arrovellato le menti dei membri più in vista della confraternita del SS. Crocifisso (“custode” primaria della tradizione festiva del proprio patrono), che ritenne opportuno lo scorso anno “non” organizzare neppure la rituale processione penitenziale, proposta dal parroco per il venerdì successivo a quello tradizionale. Ma l’armistizio è durato appena un anno, poiché quest’anno la “guerra santa” si è ripresentata puntualmente e negli stessi termini, ma con una novità sensazionale, cioè la retromarcia della confraternita o, ancor meglio,  del suo team amministrativo, che alla fine ha accettato inspiegabilmente la proposta del parroco di differire di una settimana la data della festa (venerdì 2 maggio anziché venerdì 25 aprile). E ciò dopo avere annunciato una levata di scudi con il proposito sensato di sottoporre il “caso” del Crocifisso di Giuliana all’attenzione dell’arcivescovo di Monreale. Peraltro alla delegazione confraternale avevano dato l’adesione alcune delle consorelle e, su espressa richiesta, qualche libero cittadino (nonché libero pensatore) appartenente ad altra confraternita (la classica furbizia giulianese dell’armamuni e jtici!). Tuttavia, la spaccatura nel seno della Confraternita persiste, come riferisce uno dei confratelli («Aguannu comu finìu finìu, ma n’atr’annu jemu nnô Viscuvu»), mentre tanti altri confratelli, tra cui il giovane Vincenzo Fazio hanno rifiutato l’offerta; persino il vice-superiore Giovanni Grimaldi ha preso le distanze dalla scelta puramente personale del superiore Cinquemani, defilandosi dal comitato per la questua, ristrettosi alla fine ad un… terzetto.
Ormai, dunque, la frattura fra «tradizionalisti» (o «legittimisti») e «novatori» all’interno della confraternita si è consumata, con una netta prevalenza dei primi, anche l’intera comunità ecclesiale di Giuliana risulta spaccata, ma sempre con una netta prevalenza dei favorevoli alla data tradizionale della festa. Una scelta infelice è stata, perciò, quella dell’Amministrazione Civica di legittimare (con la concessione della banda musicale) la data «illegittima» della festa del Crocifisso di quest’anno, come fanno notare taluni cittadini. Anche l’ex sindaco Francesco Quartararo, al rifiuto dell’offerta chiestagli direttamente dal superiore, aggiunge la seguente opinione: «E’ una scelta sconsiderata quella del parroco, che non fa che calpestare la dignità e l’intelligenza dei giulianesi, perfettamente in linea peraltro con le sue precedenti autoritarie prese di posizione. La cosa più grave è che il parroco, come sembra, abbia sottovalutato i poteri che sono propri del vescovo, a parte il fatto che ha violato gli statuti di due confraternite, quella del Crocifisso e quella degli Agonizzanti (alla quale io stesso appartengo) che tra i suoi obblighi ha pure quello di partecipare alla processione del Crocifisso secondo la sua data propria (art. 13)». In verità anche la confraternita del Sacramento ha tale obbligo, come mi informa il decano dei confratelli del Crocifisso Vincenzo Salerno. Notizia puntualmente confermatami dal superiore del Sacramento, Mariano Musso, con riferimento all’art. 8 del nuovo statuto del 2003 convalidato dall’arcivescovo Cataldo Naro. Solo la confraternita di Maria SS. dei Sette Dolori (forse per il suo carattere un po’ elitario) non prevedeva tale adesione sino allo statuto del 1929, approvato dall’arcivescovo Ernesto E. Filippi. Non so cosa prevede il nuovo statuto, improntato ad un processo di democratizzazione, poiché non mi è stato consentito  verificarlo, nonostante la buona volontà del commissario Salvatore Ragusa.
Konrad Wits, La pesca miracolosa (1444), 
Ginevra, Museo d'arte e di storia

Abbiamo chiesto a padre Giaccone, arciprete-parroco emerito di Giuliana, come mai non si sia accorto, nel suo trentennale magistero sacerdotale, dell’incompatibilità liturgica della festa del Crocifisso di Giuliana. «In effetti un tantino c’è», risponde, «tuttavia sono prevalsi sempre il valore della tradizione e della pietà popolare; ma anche il beneplacito dei vari vescovi succedutisi nelle due diocesi di Agrigento e Monreale, compreso monsignor Cataldo Naro, che è stato in Visita pastorale a Giuliana nel 2005, riconfermando la cadenza calendariale tradizionale della festa del Crocifisso di Giuliana nel rinnovo dello statuto della stessa Confraternita, in data 16 /12/2006, controfirmato da me stesso in qualità di assistente spirituale e dal vicario Don Antonino Dolce. Ad ogni modo dovrà essere il vescovo di Monreale a risolvere la questione, sulla base delle norme del Diritto Canonico, fermo restando che si tratta non  di una solennità liturgica, bensì di un rito memoriale di natura locale con consuetudini proprie, secondo i calendari particolari, peraltro previste dalle citate Norme generali della Sacra Congregazione dei Riti, che parlano pure di “Memorie del patrono secondario del luogo, della diocesi, della regione o provincia, della nazione”». Aggiungiamo che il decreto distingue tra feste di I classe (i giorni liturgici indicati come “solennità”), di II classe (quelli che vengono dette “feste”) e di III classe (quelli denominati “memorie”, cui appartiene la nostra festività del Crocifisso), senza peraltro parlare di incompatibilità, sebbene di celebrazione “facoltativa”, limitatamente però a quelle memorie che cadono «nelle ferie di Avvento dal 17 al 24 dicembre, nei giorni durante l’ottava di Natale e nelle ferie di Quaresima», senza alcuna menzione dell’ottava di Pasqua. 
Un caso, dunque, più unico che raro, quello del Crocifisso di Giuliana, ma con regolare dispensa degli ordinari diocesani, confermata da due sommi pontefici, come più unico che raro è il Giubileo di Zafferia (villaggio di Messina) o “Privilegio dell’Anno Santo”, risalente al XVII secolo, che si verifica tre volte ogni cento anni, allorché il Sabato Santo coincide con la festa della SS. Annunziata. Un privilegio di antica data, riconfermato il 9 febbraio 1817 da papa Pio VII.
Lungi dal volere invadere il campo dei teologi, io mi chiedo dove stia poi questa incompatibilità liturgica se la morte e la resurrezione di Cristo sono due aspetti del mistero della Redenzione, in ciò confortato dalle invocazioni dell’antico rosario del Crocifisso di Giuliana che si recita durante il “triduo”, senz’altro formulato in illo tempore da un sacerdote-teologo: «-E ludamulu tutti l’uri / lu nostru amatu Ridinturi»; «-Prigamulu sempri spissu / lu Santissimu Crucifissu». Si tratta, dunque, di un’aporia, risolta brillantemente con un apparente ossimoro. Per cui la presunta incompatibilità voluta dal parroco don Luca, pur con tutto il rispetto per la sua preparazione, mi sembra una conclusione pseudologica. Tanto più che le invocazioni alludono chiaramente alla Croce  come «soluzione degli opposti o, piuttosto, dei complementari», come scrive Salvino Greco nel suo volume I Santi Patroni di Sicilia (1995); specificando che il culto allude alla nozione «di uomo universale, colui che ha realizzato tutte le possibilità di espansione e di esaltazione». In ogni caso le citate Norme generali della Congregazione dei Riti definiscono l’ottava di Pasqua come «solennità del Signore», proprio come la festa o memoria del Crocifisso di Giuliana intesa da sempre come ‘U Jornu ‘u Signuri (cioè “Il Giorno del Signore”).
Le invocazioni del rosario del Crocifisso di Giuliana sono riportate sia nel mio libro Il Crocifisso di Giuliana. Tradizione e sacralità (Palermo, 1997) che nella raccolta di preghiere dialettali in uso a Giuliana di V. Campo, che prendono il titolo proprio dalla prima invocazione: E ludamulu tutti l’uri (Corleone, 2006), un libro apprezzato, peraltro, da don Massimo Naro, che conclude la sua dotta e densa prefazione con queste parole: «Questo libro antico – in quanto scritto in dialetto giulianese e costituito dalle preghiere della tradizione paesana – vale ancora, perché si propone come uno strumento di trasmissione della pietà e della fede – più o meno calorose e senz’altro colorite, più o meno vive e sicuramente vivaci – dei padri di ieri che i figli di oggi, proprio come tali, si portano dentro, benché a volte inconsapevolmente».
«A prescindere se il parroco abbia ragione o no», osserva Piero Altamore, impiegato comunale ed ex presidente della confraternita degli Agonizzanti, «noi fedeli di Giuliana ci sottoponiamo al verdetto dell’arcivescovo, che tuttavia non può non ascoltare le nostre ragioni, che sono poi quelle dei nostri padri, ragioni di fede e di storia identitaria della comunità. L’articolo 13 dello statuto della mia confraternita prevede pure “il dovere di partecipare con l’abito e le insegne alla celebrazione del SS. Crocifisso”, a parte ovviamente a quella della Madonna dell’Udienza». In ogni caso, negli statuti delle confraternite giulianesi rinnovati dagli arcivescovi Pio Vigo e Cataldo Naro, un articolo recita che “le controversie circa l’interpretazione del presente Statuto saranno decise secondo quanto previsto dal codice di Diritto Canonico in merito ad associazioni pubbliche di fedeli”.
«Noi l’abbiamo scritto nello statuto della confraternita del SS. Crocifisso (rinnovato nel 2006, art. 4) di celebrare il nostro patrono nella ricorrenza della festa del SS. Crocifisso il venerdì dopo Pasqua», osserva Santo Giarracco, ex presidente della confraternita del Crocifisso: «questo statuto è come la nostra costituzione e può essere modificato solo col consenso dell’assemblea dei confratelli e l’assistenza del vescovo di Monreale, nonostante quest’anno sia stato violato apertamente sia dal superiore che dall’assistente spirituale». Uno statuto che si richiama praticamente all’articolo 12 di quello del 1913 (riedito nel 1956), visto e approvato dal vicario generale dell’arcidiocesi di Monreale canonico Francesco Evola. Tale articolo obbliga tutti i confrati a partecipare con il distintivo alla processione del SS. Crocifisso, prevedendo per il confrate inadempiente «la multa di kg 14 di frumento» (ormai abolita con il nuovo statuto), cioè il doppio della pena per la mancata partecipazione, pure obbligatoria, «all’adorazione a turno nei giorni delle Quarant’ore di carnevale che si celebrano nella propria chiesa». Evidentemente la “multa” in frumento era il retaggio della civiltà agro-pastorale imperante nella nostra comunità, come nel resto della Sicilia, sino all’immediato secondo dopoguerra, innanzi cioè l’epoca del boom economico, prima, e della globalizzazione, poi.
 E proprio alla dimensione agraria, che è anche quella di «sacralizzare il tempo e lo spazio», l’illustre antropologo culturale Antonino Buttitta riconduce le feste contadine tradizionali, osservando che «erano riti intesi a propiziare l’ordinata successione dei cicli stagionali, da cui dipendeva il buono o il cattivo destino del raccolto. Nulla al pari della sopravvivenza della specie sembrava sottoposto più rigidamente ai ritmi naturali. Dalla loro annuale ripetizione dipendeva la vita della comunità» (in «Nuove Effemeridi Siciliane», VIII, 32, 1995/IV, p.7).
Alla voce “Feste”, firmata da G.B. Bronzini per il Grande Dizionario Enciclopedico Utet (IV ed., Torino 1987, vol. VIII, p. 216), si legge, tra l’altro, quanto segue: «Dalle cerimonie cicliche si distinguono le festività della chiesa, le sagre religiose, le Feste patronali e i pellegrinaggi, che si succedono secondo il calendario liturgico o secondo la tradizione locale e si svolgono generalmente in un solo giorno». Aggiungiamo anche che, nel suo famoso saggio Le feste religiose in Italia (1911), il canonico F. Polese classifica tali Feste in ben otto tipologie: 1) Feste patronali di acculturazione etnografica; 2) Feste d’ispirazione locale, con intercalazioni liturgiche; 3) Feste su tema liturgico; 4) Feste su tema leggendario; 5) Feste stagionali; 6) Feste su fondo miracoloso; 7) Feste d’indole extra-liturgica; 8) Feste processionali espiatorie. Sulla base di tale classificazione, dunque, la Festa del Crocifisso di Giuliana può rientrare benissimo nelle ultime tre categorie, per cui la scelta del parroco di volerla fare “rientrare” ad ogni costo nella categoria n°3 (Feste su tema liturgico) è palesemente una forzatura antistorica e in contrasto con le citate Norme generali della Sacra Congregazione dei Riti, emanate il 21 marzo 1969.
«Jeu ‘a pasta cu i sardi mi la mangiu sempri pi ‘u Jornu ‘u Signuri», afferma ‘u zzu Ninu (cioè il primo venerdì dopo Pasqua, che quest’anno cade il 25 aprile). Tale riferimento al cibo rituale a base di pesce è collegato, come abbiamo già visto, alla lettura del Vangelo della messa feriale del venerdì dell’ottava di Pasqua, tratta da Giovanni (21, 1-14), nota come «la pesca miracolosa», di cui riportiamo il brano centrale: «Quando già era l’alba, Gesù stette sulla riva [del lago di Tiberiade], ma i discepoli non si erano accorti che era Gesù. Gesù disse loro “Figlioli, non avete nulla da mangiare?”. Allora egli disse loro: “Gettate la rete dalla parte destra della barca e troverete”. La gettarono e non riuscivano più a tirarla su per la grande quantità di pesci. Allora quel discepolo che Gesù amava disse a Pietro: “E’ il Signore”». La scena evangelica, nota anche come L’Apparizione di Cristo sul lago di Tiberiade, è rappresentata, tra l’altro, nell’apparato musivo bizantino del Duomo di Monreale (XII-XIII sec., braccio sinistro del transetto).
 Come si può vedere dunque non si celebra per il Crocifisso di Giuliana una liturgia propriamente “festiva”, bensì “feriale”, mentre la processione non fa altro che commemorare un rito propiziatorio col relativo miracolo, quello della pioggia, avvenuto a Giuliana in un giorno ben preciso, di un anno ben preciso, con coordinate spazio-temporali ben definite, per cui il voler trasportare oggi di una settimana tale celebrazione è come voler ricordare i caduti della guerra dell’unità nazionale non il 4 novembre bensì l’11 novembre. Aggiungiamo, altresì, come la qualifica di ‘U Jornu ‘u Signuri, per indicare la festa del Crocifisso di Giuliana, ricorra nella più qualificata letteratura periegetica dell’Isola, come pure nella prestigiosa Enciclopedia della Sicilia, a cura di C. Napoleone (Parma 2006, p. 456, ad vocem “Giuliana”).
Sul problema dell’identità cristiana-civile-locale interviene uno studente di scuola superiore, il quale osserva come «l’identità religiosa di Giuliana si basi sulla triade: festa del SS. Crocifisso (compatrono), festa della Madonna dell’Udienza (patrona) e festa di Gesù Bambino, per cui, se si comincia a scardinare tale triade…, sarà come un tripode che non potrà stare in piedi». Sulla stessa lunghezza d’onda si muove il pensiero espresso dal giovane Vincenzo Fazio (componente della banda musicale locale) che nel suo profilo Facebook, in data 19 marzo 2014, faceva delle considerazioni spontanee e  genuine: «Anke quest’anno la festa di San Giuseppe non si è fatta ed è una tradizione che andiamo perdendo! Peccato, vedo ke in tutti i paesi si festeggia e tutti i cittadini partecipano con allegria alla festa di nostro Signore! Abbiamo una festa che ci invidiano tutti xchè Gesù gira x tutte le case e mette allegria, gioia e tanta serenità!»
Anche Maria Rosaria Cicchirillo, impiegata ed ex assessore alla cultura del Comune di Giuliana, procede su questa linea, ma con delle considerazioni più intimiste: «Penso che ciascuno di noi abbia delle immagini che lo accompagnano nella vita e alle quali fa ricorso in particolari momenti dell’esistenza. Tra le altre io mi porto dentro tre istantanee: la Madonna dell’Udienza che scende la gradinata del Carmine per venire incontro ad accompagnare una preghiera; la statuetta di Gesù Bambino vestita di fiocchi colorati che si posa sul mio letto e sembra carica di promesse per il futuro; la vara del Crocifisso abbandonata sotto la pioggia a Porta Palermo che aspetta il rientro di tutti dopo la burrasca. Solo la penna di un grande poeta riuscirebbe a trovare le parole adatte per raccontare tali atmosfere. Io posso solo dire che queste immagini/ricordi per me non sono né una credenza né una tradizione: sono la richiesta d’aiuto, il desiderio di continuare a sperare e la certezza del perdono; quindi concludo che il desiderio di rivivere quei riti nelle loro cadenze calendariali non è né scaramanzia né idolatria ma un’emozione intrisa di “presente”, un punto di tangenza con l’eternità». Una studentessa universitaria osserva: «Senza volere entrare nel merito della scelta del parroco, dico solo che si tratta pur sempre di una sentenza di primo grado; ma noi fedeli di Giuliana rimaniamo in attesa della sentenza di secondo grado, che spetta formulare al vescovo di Monreale, che sicuramente sarà il frutto di una più informata e serena lettura dei fatti inerenti il caso del Crocifisso di Giuliana». In proposito, don Calogero Giovinco, ex delegato diocesano delle Confraternite (nonché attuale parroco della chiesa di San Leoluca in Corleone), taglia corto, ricordando il canone 944, paragrafo 2, del Codice di Diritto Canonico, il quale recita apoditticamente: «Spetta al Vescovo Diocesano stabilire delle direttive circa le processioni, con cui provvedere alla loro partecipazione e dignità».
«Per me va bene quello che fa e dice il parroco», osserva una cattolica praticante, «poiché egli rappresenta il Vescovo nella realtà ecclesiale di Giuliana». «Va bene che lo rappresenta», osserva un altro fedele, «ma non lo può certamente sostituire, specie nelle questioni più delicate». «Il voler trasportare di una settimana la data della festa del nostro Crocifisso, a me sembra una delle tante “originalità” del parroco», afferma un fedele giulianese residente a Palermo. «Come ad esempio, per rimanere nell’ambito di questo periodo peripasquale, l’abolizione della formula “scambiatevi il segno di pace” nelle messe del periodo della Quaresima, l’abolizione dei “sepolcri” del Giovedì santo («i sepolcri sono al cimitero»), per non parlare della irriverenza nei confronti della statuetta di Gesù Bambino («è un pezzo di legno») della nostra tradizionale festa “du Bamminu”. «Bedda Matri! A mia chista mi pari n’atra riligioni, chi ci pozzu fari», osserva ‘a zza Francisca.
Intanto, nell’approssimarsi della festa, gli animi dei fedeli si vanno surriscaldando. Numerosi sono, infatti, i “dissidenti” che rifiutano l’offerta per la questua, soprattutto tra le fila della stessa Confraternita del Crocifisso. C’è chi propone di fare un referendum pro o contro lo spostamento della data (o per la conferma di quella tradizionale) e c’è chi, tra gli elementi più irriducibili, è disposto ad inviare una lettera a papa Francesco, il papa del dialogo e dell’ascolto; il quale ha tra l’altro affermato efficacemente come il cristianesimo vada annunciato con dolcezza e non con il bastone inquisitoriale. E ancora, tra i fedeli più irriducibili, c’è chi intende abolire la donazione dell’8‰ alla Chiesa Cattolica nel modello di dichiarazione dei redditi.
«Ma insomma, erano tutti sprovveduti i numerosi vescovi che si sono succeduti nei secoli nelle due diocesi di Agrigento e di Monreale? Pure il grande Cataldo Naro era distratto?», osserva Giuseppe Guella, libero professionista, confratello degli Agonizzanti. «Non vorrei proprio crederlo. Siamo di fronte alle solite prese di posizione autoritarie del parroco, con dei risvolti pirandelliani, poiché proprio il parroco, che da direttore spirituale delle confraternite di Giuliana dovrebbe vigilare sull’osservanza degli statuti, è poi il primo a violarli».
Alla luce di quanto sopra esposto, manca, dunque, al parroco il senso della prospettiva storica, poiché la festa del venerdì di Giuliana non va letta con i suoi parametri “razionali” (che non possono avere, in ogni caso, valore retroattivo) né  con i parametri culturali  dell’hic et nunc, quando cioè i danni provocati dalla natura (alluvioni, grandine) all’agricoltura vengono sovvenzionati da mamma Regione, ma dell’illo tempore, allorché la siccità era causa diretta di carestia per la mancata raccolta del grano, acuendo ulteriormente la precarietà esistenziale delle comunità rurali; per cui la “paura cosmica” dell’individuo veniva fugata col ricorso al Sacro, un individuo che si faceva solidale dell’altro in una comunità di vita e destino, i cui membri «vivevano insieme in attaccamento indissolubile» (S. Kracauer). Certamente siffatta solidarietà tra individui rendeva la comunità di Giuliana un “luogo”, mentre con la perdita dell’identità essa si avvia a diventare un “nonluogo”, secondo il concetto del grande antropologo francese Marc Augè.
Prima di avviarmi alla conclusione, vorrei fare un’ultima considerazione: la presunta incompatibilità liturgica della festa del Crocifisso di Giuliana con il venerdì dell’ottava di Pasqua dovrebbe durare, a rigor di termini, sino alla conclusione della Grande Pasqua, che dura cinquanta giorni, sino cioè alla Domenica di Pentecoste (A. Cattabiani, Calendario. Le feste, i miti, le leggende e i riti dell’anno, Milano 1989, p. 202). La Grande Pasqua coincide, praticamente, con «la Grande Domenica» de il tempo pasquale del ciclo dell’anno liturgico definito dalle citate Norme generali della Sacra Congregazione dei Riti, che al cap. II del titolo III recita: «Le domeniche di questo tempo vengono considerate come domeniche di Pasqua e, dopo la domenica di Risurrezione, si chiamano domeniche II, III, IV, V, VI, VII di Pasqua. Questo sacro tempo dei cinquanta giorni si conclude con la domenica di Pentecoste». (Vorrei precisare come, ai tempi della mia prima infanzia, la Domenica di Pentecoste venisse appellata a Giuliana “Pasqua di sciuri”, dall’usanza di cospargere la chiesa di petali di rose durante le messe, secondo la sopravvivenza di antichi elementi cultural-liturgici della chiesa tridentina, elementi che monsignor Cataldo Naro, neo-vescovo di Monreale, ebbe modo di riscontrare sin dal suo insediamento (2002), nelle comunità ecclesiali di Giuliana e Chiusa Sclafani, paesi al limite meridionale dell’arcidiocesi, chiedendomi il “perché” e rimanendo appagato della mia chiave di lettura storica, cioè la vecchia appartenenza di questi due centri alla diocesi di Agrigento).
 Alla luce di ciò, dobbiamo constatare che delle tre feste del Crocifisso dei centri del “triangolo del Triona” (Bisacquino, Giuliana, Chiusa Sclafani), solo la festa del Crocifisso di Chiusa è “in regola”, collocandosi al martedì dopo la Pentecoste, mentre la festa del Crocifisso di Bisaquino (3 maggio, data che ricorda l’Invenzione della Croce) andrebbe pure differita, e così anche quella del Crocifisso di Monreale (anch’essa del 3 maggio). Un vero terremoto, dunque, con l’epicentro (Giuliana) alla periferia della diocesi di Monreale, ma con le sue onde sismiche che arrivano al centro della stessa diocesi.
In conclusione, con tutto il rispetto per il pensiero “razionale” del parroco (seppur basato, a mio parere, su elementi capziosi e riduttivi), devo constatare che esso va “confrontato”, non dico con il pensiero “plurale” della comunità locale, ma almeno con il pensiero del nostro Arcivescovo, cui spetta dire l’ultima parola riguardo al “caso” del Crocifisso di Giuliana. Vorrei ricordare, infine, uno dei tanti pensieri di Pascal: «E’ il cuore che sente Dio, non la ragione. Ecco cos’è la fede: Dio sensibile al cuore, non alla ragione». E’ questo anche il pensiero di chi scrive, il quale, rispetto all’aut aut di un illustre pensatore dell’800, quale Schopenhauer, espresso nel suo aforisma «O si pensa o si crede» (che ha dato il titolo ad una sua opera postuma), sceglie la “terza via”, che è quella di «pensare credendo o di credere pensando»; una “terza via” che mi riporta direttamente al pensiero del più grande pensatore e santo del primo millennio cristiano, Sant’Agostino: «Credo ut intelligam, intelligo ut credam» (Credo per capire, capisco per credere). Dunque, caro don Luca mi dispiace dire che Lei non si può permettere di cancellare, con un colpo di spugna, una splendida pagina di storia religiosa e civile della comunità giulianese, poiché rimango perfettamente d’accordo con il pensiero del papa Santo Giovanni Paolo II espresso nell’incipit di questo mio saggio: «Un popolo senza memoria non ha futuro». Per cui, l’espressione del libero pensiero da parte di qualche giulianese non costituisce essere “contro” qualcuno, bensì “a favore” di qualcuno o di qualcosa, in particolare delle cose belle e buone, il kalós kai agathós degli antichi greci, che si identifica, in ultima analisi con la verità. Quella “Verità” che il Doctor Gratiae ricercava nell’interiorità umana: «Riconosci quindi in cosa consista la suprema armonia: non uscire fuori di te, ritorna in te stesso: la verità abita nell’uomo interiore e, se troverai che la tua natura è mutevole, trascendi anche te stesso» (Agostino, La Vera Religione, 39, 72, trad. di A. Pieretti, Roma 1995, p. 109).
«Ave Crux Spes unica» (Ti saluto o Croce nostra unica speranza). Con questo motto, scritto nel braccio orizzontale della Croce processionale della confraternita del SS. Crocifisso di Giuliana, concludo questo mio saggio, scritto non certamente per me stesso (che non ne avevo alcun bisogno), ma per venire incontro alle esigenze di chiarezza reclamatemi da varie persone intelligenti di Giuliana sulla stressante querelle che ha portato a dubitare della legittimità storico-teologico-liturgica della festa du Jornu ‘u Signuri.
Giuliana, 20 aprile 2014
 Antonino Giuseppe Marchese
Via Tomasini, 9, 90030-Giuliana (Pa)
Tel. 091 8356492          cell. 377 9636689377 9636689                          e-mail: dotagmarchese@libero.it

--------------------------------------------------------------------
Dopo aver ospitato questo lungo ed interessante intervento di Peppino Marchese, ci piacerebbe che anche don LUCA LEONE, parroco a Giuliana, dicesse la sua: scrivendo un articolo oppure rilasciandoci un'intervista. Restiamo in attesa... (dp)

15 commenti:

Anonimo ha detto...

Finalmente è finito. .don luca non si abbassa a queste inutili provocazioni. .

Anonimo ha detto...

Non capisco come questa persona (di mentalità bassa, nonostante abbia una laurea in medicina) possa scrivere queste cose e ancora una volta, non capisco come si sia permesso a pubblicare certe foto di alcuni Giulianesi.

DINO PATERNOSTRO ha detto...

Per la verità, esprimere le proprie convinzioni attraverso gli organi di informazione è un diritto garantito dall'art. 21 della Costituzione. Quindi, non capisco lo stupore. Piuttosto mi aspetterei interventi nel merito della tesi sostenuta dal dott. Marchese. E, per favore, NON ANONIMI!

Antonino M ha detto...

Ammiro tantissimo il Dott. marchese, perche quasi tutti i giulianesi ci nascondiamo dietro il Dott. .....ma non abbiamo il coraggio di sostenerlo.Comunque ci sono tante cose che non si possono pubblicare.Comunque aspettiamo con urgenza la risposta dell"Arcivescovo di Monreale.

Anonimo ha detto...

Questa è una risposta all'anonimo che critica il Dott. Antonino Marchese, persona molto illustra, che si è permesso di scrivere e portare a conoscenza dei giulianesi, quello che è stato il percorso storico per quanto riguarda la festa del Santissimo Crocifisso, festa di grande valore storico e di grande devozione popolare. Voglio ricordare che la festa del Santissimo Crocifisso fin da tempi remoti non era soltanto un giorno di festa ma era un giorno molto atteso, per il popolo giulianese, in quanto sperava ad una pioggia d'acqua che andava ad arricchire la produzione agricola, fonde economica principale.
Voglio dire ai giulianesi prendete posizione e scendete in piazza a difendere quelle che sono le tradizioni storiche del paese e non nascondetevi dietro le porte o come si dice dietro il più alto.

Anonimo ha detto...

Concordo in tutto e per tutto con quanto riportato dal Dott. Marchese sul caso del Crocifisso di Giuliana.Ritengo che abbia scritto con "ispirazione" la più bella pagina delle sue numerose opere, sapendo interpretare il comune sentire della comunità (ecclesiale) Giulianese, con rara sensibilità storica, antropologica e culturale. Il suo sentire è quello della comunità intera, che vede nel rispetto delle tradizioni, un momento di identità civile e religiosa, che va rimarcata proprio oggi in cui ,nella nostra civiltà "liquida", abbiamo più bisogno di punti di riferimento

Francesca G. ha detto...

Una "vara", una processione rinfocolano la nostra fede, ripercorrendo le orme dei nostri padri dal 1579 ad oggi.Da quel miracolo della pioggia, ripetutosi anche quest'anno il 25 Aprile, giorno legittimo della festa, allorchè dopo una splendida giornata di sole ,alle 21, ora prevista per l'inizio della processione del crocifisso, arriva miracolosamente la pioggia .Segni divini o superstizioni ? A mio avviso chiara volontà divina.Non scherzare con i Santi e lascia stare i fanti.

Giuseppe F. ha detto...

Anch'io anche quest'anno per la legittima data della festa del Crocifisso, ( 25 Aprile), ho mangiato il rituale cibo, cioè la pasta con le sarde,la cui origine è legata , come ha spiegato per la prima volta il Dott.Marchese (autore fra l'altro del volumetto"Il Crocifisso di Giuliana.Tradizioni e sacralità") all'episodio Evangelico "La pesca Miracolosa", tratto da San Giovanni,la cui lettura è propria della liturgia feriale del primo venerdì dopo Pasqua.

Anonimo ha detto...

Come si può nel nome di Gesù Cristo operare fratture e fomentare discordia all'interno della comunità, anzichè lavorare per la pace, come Gesù ci ha insegnato?Che cos'è più importante per la nostra vita e per i nostri figli: una festa che che cerca di tenere in vita il ricordo lontanissimo di una presunta pioggia miracolosa o la FEDE in Dio che si proclama con le opere prima che con le parole e che ci dona la vera libertà e la vera felicità? Chi ha avuto la fortuna di studiare dovrebbe essere al servizio della comunità e del suo bene e non alimentare le discordie al suo interno. Ci rifletta bene il dottore Marchese.

Anonimo ha detto...

Con quale coraggio, da storico, parla di "guerra santa"?come fa a parlare di una netta prevalenza?ha fatto per caso un referendum?La "dimensione agraria" è una parte importante delle nostre radici ma noi giovani non vogliamo una FEDE "agraria" vogliamo una FEDE viva che ci faccia guardare avanti e non arrovellati su noi stessi nella contemplazione sterile di un passato morto.

Anonimo ha detto...

Per spostare la festa del Crocifisso si porta la motivazione che essa cade nell’Ottava di Pasqua e ciò risulterebbe incompatibile con il Concilio Vaticano II e la riforma liturgica. In verità l’Ottava di Pasqua non nasce con il Concilio ma da sempre la Chiesa ha considerato la settimana pasquale come un unico giorno. Quando inizia la festa del SS. Crocifisso di Giuliana già esisteva l’ottava di Pasqua ed è proprio per questo che veniva chiamata Lu jornu du Signuri. E sempre per la stessa ragione la festa del Crocifisso non ha mai avuto una liturgia propria, ma ha sempre seguito la liturgia del Venerdì fra l’Ottava di Pasqua. E la sagra del pesce va direttamente collegata al Vangelo del giorno che è quello della pesca miracolosa quando Gesù Risorto appare sulle rive del Lago di Tiberiade. Inoltre la processione del Crocifisso di Giuliana non è penitenziale ma festosa per ricordare il miracolo della pioggia avvenuto il 24 aprile 1579, che era il venerdì dopo Pasqua. La tradizione non intacca quindi la liturgia del giorno anzi è strettamente collegata ad essa e, come ha ricordato nell’articolo il dott. Marchese, è stata approvata nei secoli da due papi e da numerosi vescovi. D’altra parte ci si chiede: perché tutto questo accade solo a Giuliana, quando ad esempio a Partinico, nella nostra stessa diocesi di Monreale, nell’Ottava di Pasqua si svolgono i festeggiamenti della Madonna del Ponte? E perché il giorno dell’Ascensione è possibile celebrare la festa della Madonna di Tagliavia?

Anonimo ha detto...

Siete ridicoli e continuate a commentare. . Vergognatevi.. se nn credete comportatevi tali anziché criticare e criticare.. il male vi fa fare qst azioni.. ma l onnipotente sta al di sopra di tutto.

Anonimo ha detto...

Il sindaco che fà? Giusto che ha il paese di Giuliana nel cuore.O nel cuore della sua tasca.

Anonimo ha detto...

Bello leggere la comunità ecclesiastica che anonimamente posta commenti per screditare il Dott. Marchese! Prima di tutto a Giuliana occorrerebbe CULTURA, poi tutto sarebbe più semplice e la gente capirebbe il significato di quello che sta legando. Criticare, accusare, screditare le persone con una coltura più elevata della vostra ha solo portato a questa situazione di fatiscenza. Chi critica il Dott Marchese dovrebbe solo vergognarsi per la sua ignoranza... Poveracci imparate a leggere e comprendere!

DINO PATERNOSTRO ha detto...

Non voglio entrare nel merito delle questioni sollevate, ma mi sembra doveroso precisare che l'articolo in risposta a quello del dott. Marchese non è anonimo. Mi è stato inviato da Antonella Campisi per conto della Comunità ecclesiale giulianese.