martedì, aprile 15, 2014

Lassù nel regno di Nino, eremita che scruta Palermo dall’alto

Il "santuario" dell'eremita (Foto: Giulio Giallombardo)
A Palermo c’è una “via santa” che non tutti conoscono. Un sentiero “iniziatico” che s’innalza per oltre quattrocento metri fino a raggiungere la cima del Monte Gallo, tra Mondello e Sferracavallo. È lì che Nino “l’eremita”, noto anche col nome di Israele, ha scelto di consacrare il suo personalissimo “santuario”, ricavato all’interno del Semaforo borbonico, vecchio faro poi utilizzato come osservatorio militare.

Se il presidio, che ricade all’interno della Riserva naturale di Capo Gallo, è ancora in piedi, lo si deve agli interventi di ristrutturazione dell’eremita che lì abita, estate e inverno, ormai da una quindicina d’anni. Il merito più grande di questo bizzarro personaggio è quello di aver ricoperto gli interni del Semaforo con straordinari mosaici dal fortissimo impatto visivo. Un lavoro cesellino, fatto in solitudine e in silenzioso accordo con la natura, un’opera di riscrittura dello spazio che adesso è quasi del tutto completata.
Già all’inizio del cammino che porta all’ex faro, nel punto dove termina via Tolomea ed inizia via Del Semaforo, Nino ha voluto lasciare i “segni” del suo passaggio, ribattezzando la strada col nome di“via santa”. L’odonomastica “sacra” è scritta sui muri di contenimento che costeggiano il percorso e stride con lo spettrale spettacolo degli scheletri abusivi di Pizzo Sella, che di “santo” non hanno proprio nulla. Poi, quando il cemento lascia posto al sentiero, diventano sempre più frequenti le decorazioni sulle pietre che rimandano all’esagramma di Davide, insieme a cuori, triangoli e stelle comete. L’intenzione dell’eremita è chiara: guidare i “pellegrini” nel suo regno esoterico, attraverso i simboli che lo animano, anticipando ciò che sarà rivelato all’interno del “santuario”, come nelle migliori tradizioni iniziatiche.
Così, dopo esser passati tra due alberi decorati da esagrammi, come colonne di un tempio, ci si trova davanti al Semaforo. La porta è sempre aperta, anche se è molto difficile incontrare Nino, che di solito si allontana quando vede salire qualcuno. Una luminosa anticamera accoglie il visitatore che si trova di fronte ad un uscio coperto da una tenda rossa con una stella di Davide e un triangolo ricamati sopra. Al di là della tenda, si apre un tripudio di mosaici: ogni centimetro delle pareti è decorato da teorie di angeli, motivi geometrici, croci, cuori e stelle, tutto segnato da un grande equilibrio di forme e colori, che mescola sincreticamente motivi cristiani, islamici, ebraici e pagani.
Attorno al corpo centrale dell’edificio, su cui si arrampica una scala a chiocciola che porta alla torre, si dispongono altri ambienti, dove Nino ha ricavato una pulitissima e ordinata cucina, la sua camera da letto, il bagno, un ambiente con un piccolo altare ed altre stanze ancora vuote, ma anch’esse splendidamente decorate. Ma sacro e profano si mescolano nell’art brut di Israele, tra un mosaico e l’altro, spuntano ritagli e fotografie del Don Camillo di Fernandel, di Moana Pozzi, di Papa Wojtyla e figure infantili come quella di un “orsetto” che torna spesso nella sua iconografia.
Poco si conosce della vita di Nino. Sessantenne, cresciuto nella borgata di Partanna-Mondello, si arrangiava facendo il muratore. Poi intorno alla metà degli anni Ottanta ha ricevuto “la chiamata del Signore”, lasciando moglie e figli e dando inizio ai suoi pellegrinaggi. “Lo conosco da quando era un ragazzino, – racconta Salvatore Callivà, 62 anni, artigiano edile di Piana degli Albanesi – ha lavorato con me per un po’ di mesi, era puntuale, onesto, disponibile agli straordinari, poi era molto intelligente”.
A Partanna, i più anziani si ricordano bene di lui. Nino scende spesso nella sua borgata, coperto da un pastrano e con uno zaino in spalla, dove raccoglie provviste e materiale per continuare il suo lavoro. Se qualcuno gli chiede quando lascerà il suo eremo risponde: “Quando il Signore mi chiederà di farlo”.
Nel frattempo, Israele ha creato dal nulla uno straordinario esempio di arte “ecologica”, utilizzando per i suoi mosaici pietre e vetri trovati lungo il cammino. Un’opera che è il risultato dell’accesa ispirazione di un visionario in continuo dialogo con la natura. Nino, con la sua arte “irregolare”, invita ad un viaggio misterico che porta alla scoperta di un “ideale” luogo perduto, dove la forza evocativa del paesaggio si fa interrogativo escatologico, all’insegna di un’arte che diventa rivelazione.
 Fonte: Siciliainformazioni.com

(Foto: Giulio Giallombardo - © Riproduzione riservata)

1 commento:

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