domenica, ottobre 02, 2022

Intervista all’ultimo segretario del PCI. Occhetto: “Il Pd è antipatico ma prima di cambiare nome deve trovare la sua identità”

Achille Occhetto

Achille Occhetto, lei cambierebbe nome al Pd? «Ho sempre sostenuto che uno dei difetti della Svolta, nel 1989, fu che l’attenzione si concentrò sul cambio del nome del Pci, quando invece sostenevo che prima andavano definiti i contenuti del nuovo partito: nomina sunt consequentia rerum».
E quindi? «Il Pd prima dovrebbe capire cosa vuole fare, chi intende rappresentare. Qual è la sua identità? Non lo sa più». Oggi cos’è? «C’è chi lo definisce un partito radicale di massa, che ha separato i valori dei diritti civili da quelli sociali. Ma per i primi bastano delle semplici dichiarazioni, per i secondiinvece bisogna rimboccarsi le maniche ogni giorno nella pratica sociale.

È esattamente quello che non è avvenuto». Il Pd è diventato antipatico? «Non c’è dubbio. È saltato l’equilibrio tra ragione e sentimento; la ragione della responsabilità e il sentimento verso le passioni forti. Il governismo è stata la sua vera malattia». Evocare l’agenda Draghi? «Ci sono cose positive nell’agenda Draghi, che riconosce persino Giorgia Meloni quando si spende per la difesa dei conti pubblici ed invoca la compattezza europea sul prezzo al tetto del gas, mentre l’europeista Scholz gioca da solo. Ma l’errore del Pd è stato quello di fare suo il programma di unità nazionale,invece che proporne uno di suo, di sinistra». Lei l’ha votato? «Io a tutti quelli che me lo chiedevano avevo detto di votare centrosinistra, anche Bonino o Fratoianni, perché l’avversario era la destra». E lei cosa ha fatto? «Non ho mai preso la tessera del Pd, e sono stato il primo a parlare di fusione a freddo tra Ds e Margherita. Ma domenica ho poi votato Pd». Ha difeso Letta. «Sì, credo che non abbia più colpe di tanti altri». Gli rinfacciano il mancato campo largo. «Ma quello è fallito dentro il Pd, perché una parte era a favore di Calenda e un’altra guardava al M5S». Che farebbe adesso? «Si è parlato di scioglimento, ma io tradurrei questa proposta in positivo con l’avvio di un’ampia Costituente. Potrebbe avere due sbocchi: la nascita di una nuova formazione politica o un’alleanza tra soggetti diversi ma consapevoli che bisogna marciare uniti. La destra non è maggioranza nel Paese, ma governerà». La nuova sinistra è quella di Conte? «L’M5s ha fatto delle proposte di sinistra pur non dichiarandosi tale per tanto tempo, il Pd non le fa e si dice di sinistra. La verità è che tutti hanno le loro ragioni, dal Terzo Polo al Pd, dal M5S ai rossoverdi, ma sono solo spezzoni. Ci vorrebbe un esame di coscienza, perché tutti hanno perso di fronte alla destra». Perché ha vinto? «Siamo passati dalla Repubblica dei partiti al populismo: la gente è insoddisfatta di chi è al governo e scontenta ne prova un altro, i cui consensi poi crollano rapidamente. È così dai tempi di Berlusconi». Cosa teme di Meloni? «Bisognava puntare la campagna sul fatto che lei è parte di un’onda conservatrice che ha in Orbán il suo primattore». Rischiamo una democrazia illiberale? «Non penso che possa accadere qui da noi, ma certo l’impostazione di Giorgia Meloni guarda a quel modello». Ci sono analogie con la Bolognina? «No. Non c’era una crisi radicale della sinistra come adesso. Non feci abiure, capii però che col crollo del Muro tutto sarebbe cambiato: il nuovo inizio riguardava anche la destra». Il Pd è tutto concentrato nel trovare il nuovo segretario. «Non ha alcun senso indire un congresso per decidere se stare con Conte o con Calenda. Il Pd deve capire come stare con sé stesso e con la società italiana. Altrimenti muore».

La Repubblica, 2/10/2022

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