mercoledì, maggio 26, 2021

L’Archivio diaristico nazionale di Pieve Santo Stefano. La Città del diario


Il municipio di Pieve Santo Stefano

Nel lembo di Toscana che confina con Umbria, Marche ed Emilia Romagna, in una valle circondata da monti, protetta dall’Appennino, sorge la piccola cittadina di Pieve Santo Stefano, famosa per essere diventata dal 1984 la « Città del diario».
Al confine tra Toscana, Umbria e Romagna sorge il borgo di Pieve Santo Stefano. Siamo nel cuore della Valtiberina, lembo di Toscana ancora incontaminato dai flussi turistici, nonostante ci si trovi nella patria di Piero della Francesca, di Michelangelo, d’Alberto Burri. Il paese antico è stato completamente distrutto nell’agosto 1944 dalle mine dell’esercito tedesco, che, prima della ritirata, aveva tracciato sopra Pieve, verso Nord, un tratto della Linea Gotica. Tra i pochi edifici rimasti in piedi, il palazzo comunale, a forma di L come un libro aperto sul leggio, con gli stemmi delle casate alle pareti.

Quarant’anni dopo la fine della guerra, in un’ala di quell’edificio, è sorta una casa della memoria: una sede pubblica per conservare scritti di memorie private. Si tratta infatti di un Archivio pubblico, che raccoglie scritti di gente comune in cui si riflette, in varie forme, la vita di tutti e la storia d’Italia: sono diari, epistolari, memorie autobiografiche.

L’Archivio, che da tempo ha attirato l’attenzione di studiosi e giornalisti anche fuori d’Italia, è stato ideato e fondato dallo scrittore e giornalista Saverio Tutino (Milano 1923). Attivo resistente durante la guerra, Tutino ha lavorato in seguito nella stampa comunista come inviato e corrispondente in diversi paesi del mondo e in particolare in America Latina. Ha partecipato nel 1975 alla nascita del quotidiano « La Repubblica » dove ha lavorato fino al 1985. Nel 1984 ha l’idea di fondare a Pieve Santo Stefano un luogo in cui accogliere le scritture autobiografiche degli italiani e pensa subito di creare un concorso per diari.

Questo luogo serve non solo a conservare, come un museo, brani di scrittura popolare, vuole far fruttare in vario modo la ricchezza che in esso viene depositata. Fra taccuini delle trincee di guerra, lettere d’amore dei secoli passati, diari di giovani chiusi a chiave con il lucchetto, racconti di migranti, segreti affidati a pagine di quaderni, spicca il lenzuolo a due piazze che la Clelia Marchi, contadina, ha riempito di fitte righe con la storia della sua vita, composte con pazienza, con un pennarello, quando è morto suo marito Anteo. Una notte, Clelia non trova un pezzo di carta in tutta la casa. Di colpo la memoria le restituisce il volto della maestra elementare. « Martini Angiolina raccontava che gli Etruschi avvolgevano le mummie nelle lenzuola ». Apre l’armadio e prende un lenzuolo bianco del corredo, di una dote che non serve più. Lo poggia su un cuscino che adagia sulle ginocchia. Incolla sulla sinistra la foto del marito, sulla destra la sua e al centro il sacro cuore di Gesù. Di getto, incomincia a scrivere la storia della sua vita, solo verità e « Gnanca na busia » (neppure una bugia).

Il paese di Pieve è popolato da circa 3300 anime. Questo luogo unico, offre ospitalità a più di 5000 persone che hanno lasciato traccia delle loro vite. È proprio grazie all’Archivio, dunque, che Pieve, dopo aver vista cancellato il proprio passato, è diventata la capitale della memoria. Come una sorta di risarcimento per il danno subito.

Barbara Musetti

altritaliani.net, 20/5/2021

Nessun commento: