martedì, maggio 11, 2021

Maria Falcone: “Dall’ergastolo il mafioso può uscire solo collaborando con la giustizia”

Maria Falcone (al centro)

di LIANA MILELLA

Alla vigilia dell’anniversario di Capaci la sorella del giudice commenta l’ordinanza della Consulta sull’ergastolo ostativo, apprezza la decisione di affidare al Parlamento l’ultima parola  

ROMA - La sua voce, al telefono, assomiglia incredibilmente a quella del fratello. Maria Falcone parla proprio come Giovanni, con un modo tutto loro di sottolineare, col tono che si abbassa di poco, l'importanza o la gravità di un accadimento. E adesso Maria, con Repubblica, affronta la decisione della Consulta sul destino dell'ergastolo ostativo - è di oggi il deposito dell'ordinanza - che tra un anno sarà decisa dalle Camere. "Per me non c'è altra via che la collaborazione per concedere benefici ai mafiosi" è la sua drastica sintesi. Tra 12 giorni arriverà di nuovo il 23 maggio. E quell'ora, pochi minuti alle 18, che ha portato via Giovanni. A lei, a tutti noi, al mondo della giustizia, all'Italia, ai tanti che lo ricordano nel mondo. Partiamo da qui, dall'immagine e dal ricordo di suo fratello...e dal suo dolore. 

"Ogni volta, per me, è un trauma che si ripete, ma è giusto che gli italiani sappiano, cosa colpisce chi resta quando se ne va un uomo da ammirare per quello che era e per quello che stava facendo. Il 23 maggio del 1992 ha cambiato radicalmente la mia vita. Sino ad allora ero stata una mamma e un'insegnante, una sorella che amava il fratallo che lavorava per tutti noi. Quel 23 maggio si chiude per sempre una stagione della mia vita e se ne apre una diversa".  Quella di quotidiana testimone di una tremenda strage?  "Ogni anno si rinnova un momento di grandissimo dolore personale, ma anche di scoramento come cittadina italiana, perché con la morte di Giovanni, e subito dopo con quella di Paolo Borsellino, tutto quello che avevano fatto fino a quel momento era finito, tutto il patrimonio di idee e di metodi nella lotta contro la mafia rischiava di scomparire con loro. Per questo mi sono costretta ad agire, perché questo non accadesse. Come insegnante ho continuato a fare il mio lavoro, perché educando i giovani potevo contribuire a dar vita a una società diversa nella quale mettere da parte tutti gli atteggiamenti che sono propri di una società culturalmente accondiscendente nei confronti della mafia, dall'indifferenza verso i crimini all'omertà nella testimonianza. Il 23 maggio - per me - non è solo un anniversario di dolore, ma il momento della speranza che prima o poi si arrivi a una grande festa di liberazione dalla criminalità i cui protagonisti saranno i giovani e la loro voglia di cambiamento".  È solo un caso, ma proprio adesso viene pubblicata l'ordinanza della Consulta che chiede alle Camere, entro 12 mesi, di riscrivere le regole dell'ergastolo ostativo, di quella libertà condizionale che oggi può essere concessa ai mafiosi solo se collaborano. Ma la Corte, dopo i rilievi della Cassazione, vede un automatismo che giunge all'incostituzionalità nel momento in cui rende l'ergastolo una pena senza fine. Qual è il suo giudizio?  "Nonostante tutto, la decisione della Consulta è stata ponderata, perché aver rinviato al Parlamento la possibilità di legiferare rappresenta una svolta importante. Solo le Camere possono decidere se nelle nuove disposizioni sul carcere per i mafiosi debba prevalere la sicurezza di tutti noi e della società rispetto all'interesse del singolo. Siamo stati allevati tutti e siamo cresciuti nell'ammirazione di Beccaria. Sappiamo bene come la pena sia un mezzo per tornare poi a vivere. Ma il legislatore deve avere ben presente che il mafioso non è un criminale comune, un criminale isolato. Il mafioso è un soggetto che appartiene a un'organizzazione solidissima di cui lui è una parte, un ingranaggio essenziale e che uscirà da lì solo con la morte. O, come diceva Tommaso Buscetta, con la collaborazione".  E quindi, per lei, proprio la collaborazione rappresenta l'unica, e sottolineo l'unica, via per rompere con la  mafia? "Abbiamo degli esempi davanti a noi. Tutti i mafiosi che non collaborano e ai quali sono state concesse agevolazioni per buona condotta, le stesse che vengono riconosciute ai detenuti comuni, quando sono usciti dal carcere sono rientrati subito nell'organizzazione, commettendo nuovi delitti. Perché mio fratello Giovanni e Paolo hanno detto tante volte che il mafioso, dal punto di vista della pena, va trattato in modo del tutto particolare? Proprio per questo. Si badi bene, Giovanni e Paolo erano due grandi garantisti. Chi gli è stato accanto sa bene che non erano certo giustizialisti che volevano buttare via la chiave delle celle...".  La Corte però scrive che esistono anche le false collaborazioni, quelle strumentali proprio per ottenere dei benefici.... "Questo non è del tutto vero, perché il collaboratore che usufruisce di determinati benefici e poi viola il programma, li perde subito. Quindi questa interpretazione cade".   Ma il "fine pena mai" è contro la Costituzione... "Certo, ma chi commette un crimine ed è mafioso sa bene che può cambiare pagina e collaborare con la giustizia. Ma lei ricorda Giovanni Brusca? Era tra i carnefici di Giovanni, eppure ha collaborato con la giustizia e gli sono stati riconosciuti dei vantaggi. Brusca non morirà in carcere, però ha permesso di andare avanti in tante indagini, ha rivelato fatti importantissimi".  Quindi, per lei, la collaborazione non ammette alternative.  "Esatto, proprio così. Ma chi non la pensa come me perché non si pone una semplice domanda: perché quel mafioso non collabora?". Glielo dico io, può dire, ad esempio, che la collaborazione potrebbe provocare ritorsioni gravi nei confronti della sua famiglia... "Questo argomento non mi convince affatto, perché con il pentimento scatta un programma di protezione che permette di scongiurare questi pericoli".  La sua idea è che abbia ragione chi - come Di Matteo e Ardita - ritiene che questo passo realizzi le richieste di Riina dopo le stragi del '92-'93? "Io penso semplicemente che il mafioso che non collabora, che ha fatto o potrebbe fare ancora altre stragi, dev'essere fermato per quello che potrebbe fare ancora. Io penso di dire adesso le stesse cose che avrebbe detto Giovanni, anche se lui lo avrebbe fatto utilizzando il diritto. Il mafioso dev'essere trattato per quello che è, non può avere nulla se non esce dalla mafia, perché continuerà a farne parte, anzi sarà apprezzato proprio perché non ha collaborato".  Non ha dubbi su questo?  "Noi ci dobbiamo chiedere perché i più noti capimafia, anche sopportando il carcere duro fino alla morte, non si sono mai pentiti. Lo hanno fatto perché dovevano dare l'esempio. Per questo la collaborazione è stato il grimaldello che ci ha permesso di scardinare Cosa nostra. E allora dobbiamo chiederci se facendo concessioni ai mafiosi non ci sia il rischio che poi non si pentirà più nessuno. Ecco perché è importante che a decidere sia il Parlamento. Rispondendo a un interrogativo: conta di più la sicurezza dei cittadini o il mafioso che sembra diventato buono anche se non si pente? Per la lotta alla mafia l'ergastolo ostativo è, e deve restare, uno strumento fondamentale". Non è un segreto che Marta Cartabia la stimi tantissimo. Proprio l'atteggiamento della ministra verso il sempre possibile recupero di un detenuto non la convince?  "Io penso che il detenuto si può recuperare attraverso la collaborazione. Se collabora, la mafia non lo accetta più, lo considera un nemico, e se sgarra nei confronti dello Stato gli vengono tolti i benefici".  Ha visto però che la Consulta, nell'ordinanza firmata dal giudice Nicolò Zanon, che certo non è un giurista di sinistra ma un garantista, sottolinea come i detenuti al 41 bis siano del tutto esclusi comunque da possibili benefici. Questo non la rassicura? "E se il futuro intervento sull'ergastolo ostativo fosse propedeutico ad alleggerire o addirittura a togliere il 41bis? Quante volta ne abbiamo sentito parlare male? E comunque questa argomentazione non mi tranquillizza".

La Repubblica, 11 maggio 2021

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