martedì, maggio 11, 2021

IL LIBRO. I boss, i carusi, i comizi, il romanzo di una vita del compagno Macaluso

Emanuele Macaluso

di Andrea G. Cerra
«Non c’è paese della Sicilia in cui non abbia fatto un comizio. Una volta con Calogero Boccadutri, il capo del Pci clandestino a Caltanissetta, andammo a Riesi percorrendo cinquanta chilometri a piedi. Con trentasei sindacalisti uccisi, la lotta alla mafia allora non si faceva a chiacchiere» a parlare è il quasi centenario Emanuele Macaluso. La sua vita è simile a un film, una pellicola che attraversa il Novecento, sul filo della memoria, tra battaglie politiche e cambiamenti sociali che hanno segnato un’epoca.
Per oltre un anno e fino a pochi giorni prima della morte, Concetto Vecchio lo ha incontrato nella sua casa romana, per comporre un ritratto a figura intera, " L’ultimo compagno. Emanuele Macaluso, il romanzo di una vita" (Chiarelettere, Milano 2021), una biografia non solo politica, ma anche umana e sentimentale, dove pubblico e privato s’intrecciano.

Macaluso era nato nel 1924 a Caltanissetta, nell’entroterra siciliano legato al bacino minerario e alle zolfare, dove «i minatori si calavano nudi nelle viscere della terra, ingabbiati in fitti reticoli scarsamente illuminati a sessanta metri di profondità» . Lavori usuranti, in cui si sfruttava manodopera minorile: i carusi «a furia di ripetere ogni giorno quella fatica, diventavano precocemente gobbi. Nel mio quartiere ero circondato da gobbi. Altri soffrivano di malattie oculari o erano afflitti da rachitismo». Da quelle miniere sembrava che si emanasse «un senso di maleficio», per dirla con Nino Savarese.

La militanza politica del giovane Macaluso si forgiò in una città retta da figure carismatiche, protagoniste della Storia dell’Isola: il comunista Pompeo Colajanni e il democristiano Giuseppe Alessi, primo presidente della Regione Siciliana; un milieu culturale vivace, tanto che Sciascia definì Caltanissetta «la piccola Atene». Negli anni del regime Macaluso visse una doppia clandestinità «quella del Pci, che il fascismo aveva messo fuorilegge, e quella con Lina, che era sposata».

Lina, «la madre dei miei figli», l’aveva conosciuta nel 1941. Lei era una sposa bambina «Aveva marito e due figli, Enza e Franco. Si era sposata a quattordici anni con un uomo più anziano di lei di diciotto anni, una guardia municipale». Nel luglio del 1943 Caltanissetta fu la prima città liberata dagli Alleati. Macaluso era ormai stanco di vivere questo amore clandestino e una sera sbottò «ora che gli alleati hanno liberato l’Italia, dobbiamo liberarci anche noi». Proseguire quella relazione significava inimicarsi tutti, in primis la famiglia e il partito. Subì anche il carcere, accusato di adulterio. Sottopose il suo caso a Velio Spano, della direzione siciliana del partito: «Gli spiegarono il mio caso. Lo sciolse rapidamente e nella sorpresa generale mi assolse con formula piena. Potevo sovrintendere ai compiti di dirigente del partito, nonostante fossi concubino. Mi offrirono un ruolo. "Preferisco rimanere nel sindacato" risposi piccato».

A 23 anni diventa segretario della Cgil siciliana. Da capo del sindacato, batté l’isola palmo a palmo, occupò le terre nella zona d’influenza di Genco Russo, guidò i contadini nell’occupazione dei feudi, aprì sezioni del partito ovunque. Tra gli elementi fondanti dell’identità del Pci siciliano vi fu la lotta alla mafia «L’approccio cambiò con l’approdo sull’isola di Girolamo Li Causi». Con Li Causi intervenne nel settembre 1944 a Villalba «uno dei feudi della mafia, a sfidare il boss Calogero Vizzini e ci spararono addosso» . Il coraggio non poteva mancare negli anni del separatismo banditesco e di Portella della Ginestra. Si faceva opposizione in Sicilia, consapevoli di avere come avversari gli agrari legati a Cosa Nostra.

Gli anni delle lotte contadine conducono a risultati sino ad allora insperati «I contadini maturarono, nel fuoco delle lotte, la consapevolezza di essere cittadini. Sino a quel momento non avevano nemmeno una pensione. La ottennero grazie alla cocciutaggine di un dirigente sindacale, Domenico Cuffaro, il quale promosse una legge per dare trecento lire ai vecchi braccianti» . Negli anni dell’impegno sindacale incontrò Pio La Torre per la prima volta «era il 1947. Venne a Caltanissetta come delegato dei braccianti al congresso della Cgil». Nacque un’amicizia intensa tra i due.

Macaluso fu uomo di lotta e di governo. Nel 1958 Amintore Fanfani è contemporaneamente Presidente del Consiglio, Ministro degli Esteri e Segretario della Democrazia cristiana, sono gli anni dello "spregiudicato regime fanfaniano". In Sicilia scoppia una rivolta interna al parlamento isolano. A guidarla è Silvio Milazzo, allievo di Sturzo e dissidente Dc. Tra i protagonisti della ‘Operazione Milazzo’, come verrà chiamata, il missino Dino Grammatico ed Emanuele Macaluso, «io sono stato il promotore. Sono sessant’anni che me lo rinfacciano».

Macaluso definì la spaccatura della Dc «uno dei momenti più entusiasmanti della mia vita». In quella breve esperienza di governo si fece la legge di riforma agraria «che era molto più avanzata di quella nazionale, perché aveva il limite alla proprietà a duecento ettari», a testimonianza di come il milazzismo non poteva essere ridotto a mero trasformismo «una lettura superficiale. Una battuta giornalistica» . Dal 1967 tornerà a guidare la segreteria regionale del Pci. Parlamentare per sette legislature, direttore dell’Unità dal 1982 al 1986, amico personale di Napolitano, Berlinguer, Guttuso, Sciascia, Di Vittorio. Racchiudere in un volume la storia di Macaluso non è semplice. Concetto Vecchio ci propone un affresco denso, intimo, di uomo che fece della sua vita un romanzo militante.

La Repubblica Palermo, 11 maggio 2021

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