domenica, novembre 04, 2012

Bersani: «Così cambieremo l’Italia»

Pierluigi Bersani

Intervista al segretario del Partito Democratico: «Se sarò premier convocherò subito a Palazzo Chigi la Caritas, l’Arci e le associazioni per affrontare il disagio sociale». «Rilanciare il progetto europeo: a dicembre e a febbraio incontreremo a Roma i leader socialisti e democratici». L’«incontro» tra progressisti e moderati, la «collaborazione» con Monti che proseguirà anche dopo il 2013, le primarie che hanno «rinvigorito» il Pd. Ma in questa intervista a l’Unità Pier Luigi Bersani fa anche un paio di annunci.
Il primo: a dicembre saranno a Roma tutti i leader socialisti e democratici per rilanciare «una grande idea europeista» e per «creare una rete tra forze che vanno al di là delle antiche famiglie politiche». Il secondo: da presidente del Consiglio, nella Sala verde di Palazzo Chigi (quella in cui solitamente il governo riceve le parti sociali e i rappresentanti delle Regioni) convocherà prima di tutto associazioni e movimenti per discutere con loro come far fronte al disagio sociale che c’è nel Paese. Il leader del Pd guarda infatti già al futuro, e fa un ragionamento che può essere sintetizzato con questo titolo: così cambieremo l’Italia...

Anche all’interno del Pd c’è chi considera ingiustificato l’ottimismo che ha espresso dopo le elezioni in Sicilia: come risponde, segretario Bersani?

«Invitando a leggere i risultati elettorali, in particolare della lista del Pd e di quella di Crocetta, nella quale eravamo largamente presenti. Ancora una volta, nel marasma generale, la nostra forza rimane intatta. In un mare grande di disaffezione, di rabbia, di protesta, attorno al Pd e al suo candidato convergono sia le esigenze di cambiamento sia le esigenze di governo. E quindi il messaggio che dobbiamo ricavare dice che la protesta da sola non risolve ma anche un governo senza cambiamento non servirebbe. E questa è un’indicazione che vale anche sul piano nazionale». 

Prima di cambiare piano, due cose sempre sulla Sicilia. La prima: lei ha definito questo risultato “storico”, e Renzi, Castagnetti e altri le hanno rimproverato di aver dimenticato Piersanti Mattarella.

«Chi mi ha ascoltato in Sicilia, specialmente quando sono stato nei luoghi emblematici della lotta alla mafia, sa benissimo che non ho dimenticato Mattarella. È chiaro che con quella frase alludevo al fatto che per la prima volta le forze progressiste tutte insieme sono arrivate al governo della Regione». 

La seconda cosa: lei parla di vittoria ma non sarà il movimento di Grillo, col suo 15%, il vero vincitore?

«In quel movimento ci sono istanze che interrogano tutti e che devono essere una parte del cambiamento, sulla sobrietà della politica, per un rapporto più diretto con i cittadini e anche un utilizzo largo degli strumenti moderni. Dopodiché queste istanze sono messe in un contesto politico che non può essere utile a un Paese che sta affrontando una crisi gravissima, che ha bisogno di una chiara visione europeista e concentrata sui temi sociali e del lavoro, un Paese che ha bisogno di una democrazia rappresentativa riformata e che non può essere governato da un tabernacolo. Se il modello 5 Stelle, come meccanismo di partecipazione, fosse trasferito alla dimensione di governo, sarebbe un nuovo eccezionalismo italiano, sarebbe fuori da ogni esperienza di democrazia rappresentativa». 
E se il modello Sicilia fosse trasferito alla dimensione nazionale? Pd e Udc alleati e Sel fuori? 

«Io rimango fermo a quanto detto da un paio d’anni, che allora sembrava poco credibile e che invece si è rivelato via via più probabile, perché corrisponde a un’esigenza nazionale. Ovvero, noi aiutiamo a organizzare il campo dei progressisti che hanno una cultura di governo e che condividono l’idea di un confronto e di un incontro con le forze moderate europeiste. Questo è il messaggio politico fondamentale, che passa poi per applicazioni che possono avere un diverso segno. In Sicilia purtroppo non è stato possibile convincere una parte della sinistra a condividere un’esperienza importante. E il risultato ci dice che quello è stato un errore, che mi auguro ora faccia da insegnamento». 

Veramente Casini dice “no ai vecchi tabù della sinistra” e Vendola che il leader Udc “non può essere nella nostra compagnia”: come può realizzarsi l’incontro tra progressisti e moderati? 

«Guardi, siamo in una fase in cui prevalgono i fattori competitivi e l’esigenza di caratterizzarsi. Io però dico semplicemente: tenete conto tutti che il Pd è fermo su questa posizione, che peraltro figura nella carta d’intenti che ha lanciato le primarie». 

Non c’è il rischio “ammucchiata”? 

«La nostra proposta non è e non è mai stata di ammucchiata. C’è l’autonomia del campo progressista, che è disponibile a confrontarsi con le forze moderate che rifiutano una deriva populista e berlusconiana». 

Le “applicazioni”, come dice lei, di questo modello dipendono anche dalla legge elettorale: dovesse rimanere il Porcellum può esserci una coalizione elettorale che va dall’Udc a Sel? 

«Il Porcellum non può rimanere in vigore e vanno assolutamente accolti gli appelli del Presidente della Repubblica ad approvare una nuova legge elettorale. Sono convinto che se si prosegue la discussione al Senato sulla base della traccia fondamentale prevista, ovvero premio al partito o alla coalizione che arriva prima attorno al 12,5%, soglia di sbarramento, norme sulla democrazia paritaria e sull’esclusione di gruppi inventati, rimane come punto aperto solo il modo di scegliere i parlamentari da parte degli elettori, che può trovare una soluzione nella discussione parlamentare». 

Per quanto vi riguarda? 

«Siamo contrari alle liste bloccate e preferiamo i collegi alle preferenze». 

Nel Pd c’è chi giudica sbagliata anche la “traccia fondamentale”. 

«È chiaro che alla fine verrebbe fuori una legge che possiamo accettare ma che non è quella che vogliamo noi. Il doppio turno di collegio, lo dico a futura memoria, è per noi la vera soluzione. Ma non abbiamo la maggioranza in Parlamento e un compromesso lo possiamo trovare solo attorno a quella traccia». 

Approvata la legge elettorale si può andare a elezioni anticipate? 

«È una discussione che non capisco. Per noi lealtà vuol dire che il governo deve arrivare alla scadenza naturale della legislatura. Per fortuna abbiamo un Presidente della Repubblica che sa interpretare al meglio il suo ruolo, e inviterei tutti a non inventare soluzioni che non spettano ad altri che al Quirinale». 

Non avete la maggioranza in Parlamento, diceva: nel caso la aveste dal 2013, quale saranno le vostre priorità? 

«Tutto si riassume in due parole: moralità e lavoro. Prima di tutto serve una lenzuolata sui temi della democrazia, della sobrietà, della pulizia, dei diritti, della riscossa civica. È necessario partire da lì perché la barriera tra istituzioni ed elettori è diventata impressionante. Bisogna approvare norme che creino anche un certo rapporto sentimentale tra cittadini e politica. E l’operazione delle primarie è anticipatrice di questo, mostra che c’è una politica che si mette in gioco e che riprende con i cittadini un rapporto all’altezza degli occhi. Rivendico di aver visto giusto nel volere le primarie, e nel volerle aperte. Ci hanno rinvigorito. Ora, sapendo che servono per scegliere il candidato dei progressisti al governo, usiamole per parlare dell’Italia. E di farle funzionare, perché se le facciamo per bene poi non ci ammazza nessuno». 
Diceva del lavoro: quali politiche vanno adottate per creare occupazione? 

«Intanto, servono una fiscalità e investimenti che diano lavoro, non a caso sulla legge di stabilità stiamo convincendo a portare tutta l’operazione in direzione dell’alleggerimento del carico su lavoratori e pensionati. E poi bisogna attuare politiche industriali che aiutino le imprese a rafforzarsi, che sollecitino l’innovazione, che mobilitino nel campo delle ricerche. Un discorso che riguarda l’industria ma anche l’agricoltura e il terziario». 

Tra le nostre imprese principali c’è la Fiat, che ha messo 19 operai di Pomigliano in mobilità dopo che una sentenza della Corte d’appello di Roma ha disposto il reintegro di altrettanti iscritti Fiom: come giudica la mossa di Marchionne? 

«Inaccettabile perché urta la sensibilità di tutti, persino sul piano morale. Se hai commesso un errore o se ti viene riconosciuta una colpa, perché questo è il giudizio espresso dalla Corte, non puoi farla pagare ad altri». 

Il prossimo governo che rapporto dovrà avere con le parti sociali? 

«Intanto, dovrà evitare di ritenere che parlare con i corpi sociali sia un impaccio, che è un’assurdità. E poi non dovrà ribadire una concertazione vacua e verbale. Bisogna ripartire da dei rapporti concreti, trasparenti, esigibili, darsi degli obiettivi misurabili. Non possiamo più battezzare come concertazione una cosa troppo vaga perché ne perdono di credibilità il sistema e tutte le rappresentanze, non solo il governo. Mentre ritengo prezioso il rapporto dell’esecutivo con le organizzazioni sociali. Tutte, non solo quelle economiche». 

Cosa intende dire? 

«Che vorrei vedere nella Sala verde la Caritas, l’Arci, le Acli, le associazioni del terzo settore. Le chiamerei per prime a Palazzo Chigi per discutere con loro come dare sollievo alla crisi sociale che c’è nella realtà del Paese, per capire qual è lo stato di disagio più acuto e come dare una risposta. Dobbiamo riuscire a rilanciare i consumi interni e questo ha a che fare anche con la tenuta dei sistemi di welfare, perché se la gente si deve pagare anche la sanità e la scuola la situazione diventa veramente complicata. Sulla scuola abbiamo chiesto al governo di fermarsi perché non possiamo continuare a colpire l’istruzione parlandone solo in termini di costi. Serve un ragionamento più di impianto su come rafforzare l’offerta formativa perché l’aumento di abbandono scolastico e la diminuzione delle iscrizioni all’università è una tendenza che va arrestata». 

Dovesse arrivare a Palazzo Chigi, chiamerà Hollande come il presidente francese ha fatto con lei all’Eliseo? 

«Non solo. Con i leader progressisti europei c’è una convergenza di analisi sul fatto che serve una verifica reciproca dei bilanci dei nostri Paesi, in cambio di qualche operazione sull’occupazione. E questo va fatto in tempi rapidi. Perciò noi continueremo il lavoro sulla dimensione internazionale. A metà dicembre, a Roma, ospiteremo un grande appuntamento a cui parteciperanno progressisti e democratici provenienti da ogni parte del mondo, per creare una rete che va al di là delle antiche famiglie. E D’Alema, in qualità di presidente della Feps, sta lavorando per organizzare a febbraio un incontro che ha l’obiettivo di lanciare sul piano politico una grande idea europeista». 

È una risposta a chi sostiene che in Europa vogliono ancora Monti dopo Monti? 

«Nella prossima legislatura serve una maggioranza politica. Per noi Monti resta una risorsa preziosissima. Tanto è vero, per dire quanto lo abbiamo a cuore, che nel giorno in cui ha detto che i partiti stanno messi male, io ero in Campania, in mezzo a un tumultuoso incontro con gli operai Irisbus, ad affrontare i precari della scuola in agitazione, ad incontrare i lavoratori forestali che da undici mesi non prendono lo stipendio, a parlare con un gruppo di esodati che solo lì sono 20 mila. E in nessuno di questi casi ho detto andate da Monti. Stiamo collaborando, in realtà. Si sta collaborando con lealtà. E lo faremo anche in futuro». 

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